Il mistero dell'onnipotenza divina

Scritto da Francesco di Maria.

 

I nomi biblici di Dio che si ritrovano in lingua ebraica sono numerosi: Altissimo, Signore, Signore Dio, Signore di tutte le cose o Signore dominatore, Signore degli eserciti e delle schiere celesti, Re dei Re, Unto o Messia o Figlio di Dio. Ora, se anche, come sostiene molto velleitariamente qualche sedicente biblista, nella Bibbia ebraica non fosse rinvenibile in senso letterale la parola onnipotente, è del tutto evidente e intuitivo che i nomi suddetti implichino concettualmente il nome dei nomi divini che è, in modo inequivocabile, quello relativo alla onnipotenza di Dio. La Signoria di Dio è una Signoria ontologica, assoluta e invincibile, e tale Signoria non può che rinviare logicamente alla Onnipotenza, alla Omniscienza, e alla Onnipresenza di Dio stesso. San Girolano, al quale il mondo cristiano deve la prodigiosa e ispirata opera di traduzione della Parola di Dio dall’ebraico e in parte dal greco in lingua latina, nel definire Dio come l’Onnipotente non ha commesso dunque alcun errore di traduzione ma ha correttamente sintetizzato tutti i nomi e gli attributi divini sopra ricordati con la e nella parola Onnipotente.

Eppure, tra alcuni sedicenti biblisti cattolici, esiste la tendenza a ritenere arbitrario il concetto di Dio onnipotente, tranne che nel caso in cui si voglia sostenere l’onnipotenza dell’amore divino, non anche della giustizia divina ma solo della misericordia divina. Siamo alle solite! Dio è Amore, è Misericordia, è Perdono, è Carità, e via dicendo! E’ tutto ciò che può rassicurare, che può indurre a pensare che da lui ci si possa aspettare solo comprensione, giustificazione, tolleranza, pace. Dio è tutto, tranne che Giustizia, Giudizio, Intransigenza, Punizione, Condanna, Potenza vera e propria e dunque potenza anche nel senso che possa distruggere, annientare o annichilire.

Ma l’Onnipotenza biblica di Dio è in realtà una Onnipotenza non in senso parziale, non in senso riduttivo, ma in senso lato, in senso pieno, in senso poliedrico, in senso totale: per amore Dio può tutto, tutto ciò che all’amore sia riconducibile, ma, per questa stessa ragione, Egli non permette il trionfo definitivo del peccato sulla grazia, del falso sul vero, del male sul bene, dell’egoismo sull’altruismo, del malvagio e dell’empio sul giusto, né è incapace di distinguere tra le colpe e i meriti degli esseri umani e tra la pena inevitabilmente connessa alle prime e il premio concesso per i secondi. Dio è onnipotente persino nel senso che, per amore, può limitare il suo potere distruttivo e condannare se stesso alla impotenza più clamorosa come è quella di finire appeso su una croce. Dio è onnipotente infine proprio nel senso che a lui “nulla sia impossibile”. Nulla: è chiaro? Come si fa a dubitare dell’onnipotenza divina, non solo come amore e come servizio, ma anche come potere e come dominio, dinanzi alla Risurrezione di Cristo? Quale esempio più eclatante del potere divino di sconfiggere la morte e di donare vita per l’eternità?

L’onnipotenza è una prerogativa centrale della divinità, è una condizione costitutiva dell’essere divino, un elemento imprescindibile della stessa fede in Dio, perché fino a che punto ci si potrebbe sentire motivati a credere in un Dio che non fosse in cielo, in terra e in ogni luogo, in un Dio che non fosse totalmente padrone di tutto lo scibile reale e virtuale e di ogni segreto racchiuso nella mente e nel cuore di ogni creatura, e in un Dio cui fosse preclusa la possibilità di fare qualunque cosa e di compiere prodigi elettrizzanti ma anche terribili e spaventosi tra gli uomini? La sua onnipotenza non impedisce certo che egli desideri di essere amato più che temuto, di essere lodato e glorificato per la sua illimitata bontà più che per il suo infinito potere, ma questo non toglie che Dio, in quanto tale, sia pur sempre e comunque onnipotente. Né in virtù di tale onnipotenza la sapienza e la giustizia di Dio, del Signore, dell’Altissimo, del Santo dei santi, possono mai rischiare di andare a scapito della sua umanità e della sua misericordia, anche se le modalità in cui questi termini e queste qualità della realtà divina vengono articolandosi e reciprocamente richiamandosi o implicandosi restano in gran parte un mistero per gli uomini.

Ma, ci si chiede spesso, come spiegare l’onnipotenza divina col fatto che il mondo sia sempre pieno di avvenimenti terribili e disumani e di disgrazie che sembrano colpire gli uomini a casaccio e in modo indiscriminato, ovvero indipendentemente dal fatto che siano o non siano persone integre o almeno dotate di buona volontà agli occhi di Dio? La logica, una certa logica, sembrerebbe non lasciare scampo, perché se Dio è onnipotente allora non sarebbe buono (in quanto indifferente alle cose di questo mondo), mentre se è buono allora non sarebbe onnipotente in quanto non già indifferente al male che colpisce persone “innocenti” ma in quanto incapace di intervenire a difesa di quest’ultime.

Ora, francamente, dopo più di duemila anni di cristianesimo, domande di questo tipo, per quanto talvolta umanamente comprensibili, devono essere ormai considerate come manifestazioni di ignoranza biblico-evangelica e di un infantilismo spirituale che non di rado tende ad annidarsi persino in spiriti religiosi particolarmente colti o eruditi. Non che i dubbi siano estranei alla fede, perché questa si nutre anche di momenti di incertezza, di oscurità, di disorientamento, e di domande angosciose rivolte a Dio stesso; il male nel mondo è un mistero che incomberà sempre sulla storia dell’umanità e delle singole anime, ma il credente dispone di un racconto biblico che, essendo o dovendo essere parte integrante della sua fede, non può non aiutarlo a comprendere che, a causa del peccato originale, alla storia del mondo fu inflitta una ferita destinata a condizionare e a destabilizzare non poco la vita terrena dell’umanità nel suo insieme, e che lo stesso destino individuale di ognuno di noi non può non risentire, in un modo o nell’altro, di quel vulnus originario.

Non si tratta, beninteso, di semplificare una problematica esistenziale che è e resta in sé profondamente drammatica, ma una fede matura non può non essere consapevole che, per quanto la vita umana sia per molti aspetti avvolta nel mistero, una risposta importante e decisiva alle nostre perplessità e ai nostri più inquietanti interrogativi è stata già data da Dio in persona, da Dio fattosi persona storica e uomo tra uomini, da Dio-Cristo che, nell’imminenza della morte, si rivolge al Padre e gli dice angosciato: “perché io, io che sono il tuo figlio unigenito, io che tu hai inviato nel mondo per salvarlo attraverso la mia santità, la mia innocenza immacolata, il mio amore smisurato?”. Perché io, è la domanda di Cristo prima che la domanda di ognuno di noi o di molti di noi. E la risposta è ancora Gesù a darla senza arzigogolare: “liberami, Padre, da questo supplizio, ma in ogni caso la tua volontà sia fatta e non la mia”. Le cose stanno così, per la fede devono bastare ed è inutile e improduttivo voler andare oltre.

Quel che conta invece è, sia pure nel quadro di un travaglio spirituale che finirà con la nostra morte, la certezza dell’onnipotenza divina, che si esprime sia nell’amore, nella misericordia, nel perdono, nella remunerazione, sia anche nella giustizia, nel giudizio, nella condanna, nell’elargizione di un premio o di una pena per l’eternità. In particolare, è da tenere presente che Gesù è la potenza invincibile di Dio, che Egli opera potenti prodigi in favore dei suoi figli, che la sua potenza è eterna ed essa è la cifra più rappresentativa della sua Signoria, che egli tornerà con grande e incontenibile potenza e sarà glorificato insieme ai beati per l’eternità. Dio deve essere accettato per come è e non per come si vorrebbe che fosse; non è sui nostri schemi mentali, sui nostri desideri, sui nostri capricci che l’identità divina deve potersi modellare ma, al contrario, siamo noi, con le nostre miserie e le nostre inclinazioni peccaminose, che abbiamo il compito umano e spirituale di trasformare la nostra vita e di convertirla continuamente alla vera identità divina cui si può accedere solo attraverso un ascolto sereno e uno studio non preconcetto della Parola di Dio quale viene dipanandosi nei diversi contesti della narrazione biblico-evangelica.

Sarà allora sufficiente leggersi con attenzione la storia di Davide o di Salomone per comprendere come Dio non possa essere rappresentato univocamente e riduttivamente, ovvero né come un Dio sempre buono né come un Dio puramente vendicativo o punitivo, e come Egli, benché sempre amorevolmente e particolarmente vicino ai suoi figli migliori, non esiti tuttavia a mostrarsi intransigente e severo verso quest’ultimi allorché essi abbandonino la via dell’integrità e della fedeltà al Signore per intraprendere una via di corruzione e di immoralità.  

Onnipotenza divina significa che Dio ha la facoltà di fare sempre e comunque quello che vuole, anche ben al di là dei criteri ordinari di bene e di male e delle più ragionevoli aspettative umane. Significa in particolare che Dio perdona sempre ma non ha alcun obbligo di perdonare, che si prende amorevolmente cura delle sue creature pur lasciandole libere di restargli fedele oppure di incamminarsi su una via di perdizione. Dio onnipotente è un Dio perfettamente giusto ed è quindi un Dio tanto misericordioso verso coloro che ne riconoscono l’onnipotenza quanto implacabile e duro verso coloro che, dandone o proponendone anche false rappresentazioni, finiscano per trasgredire stabilmente i suoi precetti e per sottrarsi fino alla fine alla sua volontà.

L’Onnipotenza di Dio Padre non è solo un’onnipotenza “di amore, di perdono e di vita” ma è anche un’onnipotenza di giustizia e di giudizio, di condanna e di morte, perché altrimenti si verrebbe ad esaltare l’onnipotenza spirituale di Dio ma anche a negarne l’onnipotenza materiale (un potere distruttivo, un potere di castigare, di condannare alla morte eterna). Dio può usare la forza come e quando vuole perché non c’è nulla e nessuno che glielo possa impedire. Questo insegna la storia di Dio: basti qui pensare alla tragica fine decretata da Dio per città corrotte e immonde come Sodoma e Gomorra. Un giorno il peccato dilagante sulla terra sarà di nuovo distrutto dall’onnipotenza divina per mezzo di fuoco e fiamme mandate dal Cielo. Nell’Apocalisse giovanneo ricorrono immagini profetiche e terribili: «vidi nel cielo un altro segno, grande e meraviglioso: sette angeli che avevano sette flagelli; gli ultimi, poiché con essi è compiuta l'ira di Dio» (Ap 15, 1); ma soprattutto: «Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava Fedele e Veritiero: egli giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all'infuori di lui. È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è: il Verbo di Dio. Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro. Dalla bocca gli esce una spada affilata, per colpire con essa le nazioni. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell'ira furiosa di Dio, l'Onnipotente. Sul mantello e sul femore porta scritto un nome: Re dei re e Signore dei signori. Vidi poi un angelo, in piedi di fronte al sole, nell'alto del cielo, e gridava a gran voce a tutti gli uccelli che volano: ”Venite, radunatevi al grande banchetto di Dio. Mangiate le carni dei re, le carni dei comandanti, le carni degli eroi, le carni dei cavalli e dei cavalieri e le carni di tutti gli uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi”» (Ap 19, 11-18). Chi vuole capire, non può non capire!

Negare l’onnipotenza di Dio anche solo sminuendone o ridimensionandone l’entità o la portata effettiva significa negare l’essenza stessa di Dio e quindi inventare un semplice e volgare simulacro di divinità; significa altresì bestemmiare contro lo Spirito Santo, che per l’appunto si manifesta con amore ma anche con impeto, con forza e suprema autorità. Cosí Dio Padre onnipotente da una parte agisce con amore dando la vita eterna a tutti coloro che lo riconoscono con coerenza di figli peccatori e tuttavia a lui fedeli, dall’altra agisce con forza verso tutti coloro che, odiandone il Verbo e opponendosi alla sua volontà, diventano meritevoli di essere annientati e ricondotti al nulla originario da cui furono creati. Ma, per quanto completamente destituito di fondamento biblico e teologico e persino antitetico al semplice buon senso, il punto di vista di quei “teologi” che puntano a spogliare Dio della sua onnipotenza tende ad allargare oggi il suo raggio di influenza, anche perché poderosamente sostenuto e veicolato dalla grancassa mediatica, e a far breccia nel cuore di molti “semplici” che avrebbero invece molte buone ragioni per confidare non solo in un Dio misericordioso ma anche in un Dio potente, più potente di qualunque altro potente terreno, e quindi onnipotente.

Al cospetto di cosí diffusa arroganza esegetica, che è l’altra faccia di una vera e propria volontà di potenza e affermazione personali, ci si sente cadere talvolta le braccia, perché non sembrano sussistere evidenze capaci di indurre tanti atei travestiti da preti e da ministri di Dio ad un serio e profondo ripensamento: non l’evidenza per cui la creazione e la preservazione di essa sono già una chiara prova dell’onnipotenza divina; non l’evidenza per cui anche tante grandi potenze terrene, per quanto apparentemente solide e invincibili, hanno pur sempre vita effimera e destinate a dissolversi nel nulla al pari di qualsiasi altra realtà storico-temporale; non infine l’evidenza biblico-scritturale, che dovrebbe essere ben nota ai teorici dell’”impotenza” assoluta di Dio, del potere illimitato di Dio rispetto a Satana, ai suoi angeli maligni e ai suoi seguaci terreni (è noto che Satana può tentare Giobbe solo entro certi limiti appunto perché trattenuto dal superiore potere divino, e che, d’altra parte lo stesso Gesù ricorda a Pilato che non avrebbe alcuna autorità su di lui se non gli fosse permesso da Dio Padre onnipotente). Ma come si fa a dubitare dell’onnipotenza divina dinanzi ad un fatto così sensazionale quale la Risurrezione? Risposta di scribi e farisei cattolici: la Risurrezione non è un fatto storico, comprovabile empiricamente, ma solo un dato di fede, cioè il risultato di quanto vollero credere i discepoli di Gesù allorché non ne trovarono il corpo nel sepolcro! Siamo arrivati a questo punto di idiozia! E che resta allora della fede in Cristo, nella sua prodigiosa opera salvifica, se si giunge a dubitare della veridicità storica del racconto evangelico, in particolare proprio per quanto concerne la Risurrezione? E, di conseguenza, perché dovremmo credere in un Dio non più onnipotente?