Il male come realtà "interna" al mistero di Cristo Salvatore

Scritto da Gianni Nicotri on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Quando fu commesso il peccato originale, da cui sorse il male e derivò la morte per l’umanità? Certamente prima che l’uomo fosse creato, perché nel racconto biblico, quando l’uomo fa la sua comparsa, il serpente tentatore, simbolo del primigenio atto di ribellione a Dio, esiste già in quanto appare intento a spingere uomo e donna alla condivisione della rivolta contro Dio e contro la sua volontà. Il peccato originale quindi non comincia con l’uomo ma con il diavolo, con Satana, con il serpente, per cui l’opposizione a Dio risale ad un “tempo” e ad un “mondo” anteriori la creazione dell’uomo e tale opposizione è simboleggiata appunto dal serpente che viene biblicamente rappresentato come autore di una colpa priva di redenzione e dunque come soggetto condannato al male e al castigo divino senza alcuna possibilità di perdono e di riabilitazione spirituale.

Questo è lo scenario descritto da Inos Biffi, studioso e docente emerito presso le Facoltà di Teologia di Lugano e dell’Italia settentrionale, il quale cosí prosegue: « Il disegno di Dio nel mondo invisibile conterrà, così, una dimensione permanente di male e di castigo - un "fuoco eterno" preparato, dice Gesù, "per il diavolo e per i suoi angeli" (Matteo, 25, 41). Non solo, ma per invidia dello stesso diavolo, a imitazione o in prosieguo del peccato del mondo invisibile, anche nel disegno del mondo umano appare l'evento del peccato, della disobbedienza a Dio, con il seguito di morte che ha recato con sé:  "Per invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo" (Sapienza, 2, 24). In conclusione, nel piano della creazione si riscontra l'avversione a Dio della creatura visibile o invisibile» (L'annuncio di Cristo Redentore prima missione della Chiesa. La Croce che oltrepassa il mistero d'iniquità, in “L’Osservatore Romano” del 2 ottobre 2009).

  La creatura puramente spirituale, ovvero Satana, ha contagiato l’uomo, creatura composta di materia e spirito, perché non sopportava che un essere tratto da Dio dalla polvere e dal fango potesse ottenere una condizione più elevata e felice di quella infima e disperata cui essa era stata condannata per sempre a causa della sua irreversibile insubordinazione alla realtà unitaria e trinitaria di Dio. La chiave di volta del peccato originale dell’uomo si trova racchiusa in quel mondo invisibile e “precedente” di cui in sostanza si ignora tutto, o meglio in quel “dramma” originario di cui, scrive Biffi, «ignoriamo i particolari», anche se la natura del peccato emerge inequivocabilmente dalla vita di Cristo. Proprio il rifiuto di Cristo da parte del demonio, il suo odio e il suo accanimento contro il Figlio di Dio cui il Padre ab aeterno aveva concesso ogni potere sulle cose visibili e sulle cose invisibili e su tutti gli esseri creati, proprio questo sarebbe il nocciolo del peccato originale. Non avendo accettato su di sé la signoria di Cristo, il quale rappresenta anche l’umanità nella sua perfetta condizione divina e inversamente la divinità nella sua più perfetta condizione umana, il demonio avrebbe indotto anche l’uomo a non accettarla perché esso potesse dominarlo e avere almeno qualcuno su cui dominare.             

Ora, il peccato originale dell’uomo è una continuazione e una conseguenza del peccato originale d’orgoglio compiuto da Satana. Scrive infatti molto chiaramente Biffi: «acconsentendo, infatti, con la sua trasgressione (cfr. Romani, 5, 14) all'insinuazione anticristica del Serpente, Adamo ne proseguì la colpa, diffidando di Dio e, in tal modo, configurandosi come l'antitesi dell'Adamo "spirito datore di vita" (1 Corinzi, 15, 45), ossia di Gesù Cristo, l'uomo dell'affidamento e dell'obbedienza a Dio fino alla morte sulla croce, accolta come segno della sua confidenza e del suo amore per il Padre (cfr. Giovanni, 14, 31). In altre parole:  ogni peccato è configurabile come un eccepire al disegno divino con la sua scelta del primato di Gesù redentore, come un sottrarsi alla concreta regalità cristica, prestabilita da Dio fin dall'eternità» (Ivi). Satana, evidentemente, per concessione divina viene a sapere, dal primo momento della sua esistenza celeste, che i progetti d’amore di Dio prevedono da una parte la creazione dell’uomo e dall’altra soprattutto la generazione intradivina di un Figlio consustanziale al Padre e, in quanto tale, dotato sia della natura spirituale e dei poteri divini del Padre sia della natura “carnale” (sarx) e dei poteri eccelsi ma limitati dell’uomo.

 E, siccome a Gesù, perfetta immagine di Dio e fedele riflesso di un’umanità a Lui gradita e congeniale, vale a dire umile sino alla morte di croce ed eternamente riconoscente al Padre stesso, vengono riconosciuti i titoli di Figlio redentore “mediante il suo sangue”, di “Primogenito di tutta la creazione” e di “unico capo” di tutte le cose, “quelle nei cieli e quelle sulla terra” (Paolo, Colossesi 1, 17 e 1, 20), Lucifero, il più bello e il più intelligente degli angeli creati da Dio, non sopporta tutte queste decisioni divine che, proprio in Cristo Figlio Redentore per mezzo del suo sangue, sembrano premiare più la debolezza e la codardía che la forza e la fierezza degli esseri creati da Dio ed evidenziare quasi una volontà repressiva e punitiva di Dio stesso. Che poi il Figlio unigenito e prediletto in cui Dio ha voluto compiacersi sia il simbolo della sottomissione e del sacrificio spirituale, del servizio e non del dominio, della misericordia e non di una giustizia implacabile e spietata, è qualcosa che destabilizza completamente Lucifero che si sente incapace di assecondare i decreti divini.    

Ma in realtà Lucifero, mosso e animato da un orgoglio incontrollato e smisurato, non comprende che, rispettivamente nelle proprie condizioni ontologiche, il Figlio di Dio e l’uomo creato da Dio sono o devono essere cosí,  perché Dio stesso, nella sua più intrinseca natura, è cosí, cioè illimitatamente umile e misericordioso, giusto ed umano; per cui offre se stesso nel Figlio sino ad accettare di essere oppresso e soppresso nella sua divinità in nome di una giustizia che non prevede immediata e definitiva vendetta ma reiterato perdono e incessante invito alla conversione sincera di quell’uomo che Egli ama infinitamente e vuole a tutti costi salvare pur nel rispetto della sua libertà.      

Il Crocifisso risorto e glorioso è la perfetta immagine di Dio: il Cristo umilissimo e potentissimo ad un tempo che regna persino sulla morte dall’alto della croce, e quindi dall’alto dei motivi oblativi a causa dei quali è stato crocifisso, e che trionfa per mezzo della sua amorevole ed incondizionata adesione alla volontà del Padre. Dio muore per amore, questa è la sua inaudita umiltà; Dio risorge e fa risorgere per la sua inaccessibile potenza creatrice, questa è la principale garanzia del suo illimitato potere salvifico. Riassume bene Biffi quando parla delle «quattro constatazioni fondamentali: «la prima, che nel concreto piano di Dio, comprendente le "cose visibili e invisibili", il primo eletto come ragione di tutta la realtà è Gesù Cristo, il Crocifisso glorioso, che "regna dal Legno"; la seconda, che sul Signore risorto da morte è in particolare progettata e voluta l'umanità; la terza, che in tale piano è compreso misteriosamente il peccato, frutto di una libertà creata e prevaricatrice; la quarta, che sempre nel medesimo piano, fondato sul Redentore è creativamente inclusa la redenzione» (Ivi).

Nel disegno divino il peccato c’è perché risalti meglio l’amore redentivo di Dio, l’amore redentivo nella forma specifica della misericordia, la quale, nel redimere appunto il peccato, «è l’ultima e definitiva parola della storia umana» (Ivi). E che la misericordia sia la cifra più alta dell’intera opera creatrice di Dio viene significativamente confermato da sant’Ambrogio quando scrive: «Non mi glorierò perché sono giusto, ma perché sono redento» (Ivi). Il peccato, non voluto da Dio ma presente costitutivamente come ineliminabile possibilità nella relazione intercorrente tra creatura e Creatore, rimane interno al mistero di Cristo Salvatore, benché ci resti incomprensibile «la permanenza dell'ostinata perversione del demonio» (Ivi). E in questo stesso mistero va collocato e risorto l’enigma delle molteplici e devastanti sofferenze, ivi compresa naturalmente la morte, che l’uomo deve patire. Queste sofferenze, conclude Biffi, «sono attraversate per solidarietà con lui; sono "un prendere parte alle sue sofferenze" (Romani, 8, 17), un "portarle a compimento" (Colossesi, 1, 24), "per partecipare anche alla sua gloria" (Romani, 8, 17), e sono paragonabili alle doglie del parto (cfr. ibidem, 8, 22).

Ma proprio in esse viene alla luce la gloria, cioè si crea l'umanità conforme a Cristo, risorto da morte, quella che Dio ha scelto dall'eternità. Il perché di questa scelta appartiene al segreto di Dio, ma l'esito è incomparabile, cosí come lo è il Signore risorto. Paolo ritiene che "le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi" (Romani, 8, 18). Solo che fuori dalla fede cristiana, ossia senza lo sguardo fissato sul Crocifisso glorioso, tutto questo nostro discorso non ha nessuna credibilità e consistenza, e il male e il dolore restano nella loro assurdità e intollerabilità, suscitando o ribellione o rassegnazione come a un'oscura fatalità. Risulta allora chiara la missione della Chiesa: annunziare il mistero di Cristo Redentore, il suo perdono e la sua vittoria sul "mistero d'iniquità", sul peccato e sulla morte» (Ivi).