Amore e odio come problema

Scritto da Agostino Reggi on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Una nota personalità politica italiana, pur circondato da un folto gruppo di agenti di polizia, è stato aggredito e gravemente ferito, e allora tutti si sono messi a dire che questo attentato è frutto di odio sociale. Ma per onestà va detto che le cose non sono cosí semplici. L’odio e la violenza vengono prodotti innanzitutto da chi è avvezzo a dire menzogne e a dare rappresentazioni molto parziali e unilaterali della realtà, ivi compresa quella sociale e politica, senza forse rendersene conto; da chi parla nel nome dello sviluppo economico e del progresso sociale solo o prevalentemente per favorire e tutelare capitali illeciti; da chi propone riforme di Stato essenzialmente in funzione di un’efficienza giuridica apparente e non reale e di un sostanziale depotenziamento dell’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge; da chi punta ad una progressiva privatizzazione di tutti i servizi pubblici, della produzione e del lavoro, provocando una crescente proletarizzazione delle fasce sociali medie e basse e una precarizzazione strutturale di migliaia di giovani che avrebbero tutti i titoli per meritare condizioni stabili e ben remunerate di attività lavorativa.

E’ troppo facile osservare che la sempre più accentuata oligarchizzazione della vita sociale e politica e soprattutto la disperazione sociale non generano né possono generare amore, quell’amore di cui oggi troppi e troppo ipocritamente si fanno paladini. Questo quadro è eccessivamente scuro o è troppo pessimistico? Non ne sono sicuro, ma è certamente il caso che almeno la Chiesa rifletta con maggiore attenzione sulla realtà delle cose prima di lanciarsi in moralistiche manifestazioni di solidarietà a favore di quanti, pur rimanendo vittime dell’altrui violenza, ne abbiano provocato lo scoppio dirompente con atteggiamenti istrionici e reiteratamente offensivi. La Chiesa purtroppo, nonostante i suoi notevoli sforzi di fedeltà ad un intransigente spirito di verità, non sempre riesce a chiamare le cose o i fatti con il loro giusto nome, finendo cosí per ingenerare confusione e vanificare ogni suo appello pur doveroso alla pace e all’amore reciproco. L’amore come la verità non progredisce a colpi di prudenze diplomatiche, di denunce generiche ed unilaterali, di silenzi incomprensibili e funzionali solo ad una pacificazione politica e non anche profondamente spirituale. Non serve prendersela con l’odio dilagante se non si fa un serio sforzo di capirne le ragioni, non ha alcuna efficacia evangelica l’elogio dell’amore se non ci si impegna nel liberare l’amore cristiano dai molteplici usi mistificanti e deformanti cui viene frequentemente sottoposto e ridotto.   

A voler assumere una posizione non ambigua ma utilmente provocatoria, si potrebbe dire che, da un punto di vista cristiano, ci sono buone e cattive ragioni sia per odiare sia per amare, sia per essere odiati sia per essere amati, perché in realtà amore e odio nella loro accezione evangelica non sono realtà semplici da definire e identificare ma piuttosto cariche di problematicità. Basta capirsi con concrete esemplificazioni senza eccedere in concettualizzazioni troppo astratte. Se uno ha a che fare sistematicamente con persone e ambienti autoritari e repressivi, ottusamente e malevolmente propensi a trascurare se non ad ignorare certe sue fondamentali ed elementari esigenze ed aspettative, è difficile negare che non abbia buone ragioni per manifestare in misura più o meno grande il suo risentimento che purtroppo potrebbe anche sfociare in un vero e proprio sentimento di odio dalle implicazioni imprevedibili. Anche se uno dalla mattina alla sera, dall’alto delle sue responsabilità politiche e di governo, non fa altro che aggredire, insultare, irridere, mentire, imbrogliare, opprimere, autocelebrarsi, esternare in modo incontrollato, senza peraltro rinunciare a perseguire scopi o interessi concreti di carattere personale, può ferire facilmente e pesantemente l’animo di chi non ne condivida né l’ispirazione morale né la linea politica e può senz’altro suscitare delle reazioni molto aspre e suscettibili di sviluppi imprevedibili o gravi. Se ad una donna le si violenta la figlia o il figlio, è difficile andarle a dire che non ha buone ragioni per odiare. Se invece un insegnante, venendo ammonito dal preside perché se ne sta spesso fuori dell’aula, coltiva sentimenti di odio verso il dirigente scolastico ritenendolo un persecutore, sarà difficile astenersi dal pensare e dal fargli notare che le ragioni del suo odio sono assolutamente cattive. Se tanti giovani dicono di amare un celebre cantante rock che si droga ed è dedito ad una vita dissoluta, è evidente che essi hanno un concetto molto vago e confuso dell’amore, e se l’amore di tanti anziani è unicamente proteso verso la vita delle balere e verso i nipoti non si può dire che essi abbiano idee molto più chiare dei primi. 

Sono solo esempi per dire che aprioristicamente non è mai possibile qualificare l’odio come innaturale ed irrazionale e l’amore come sempre e universalmente razionale. Bisogna chiedersi caso per caso quali siano le ragioni dell’odio e quali siano le ragioni dell’amore, se nell’uno come nell’altro caso si abbia a che fare con ragioni giuste o legittime oppure con ragioni poco plausibili o addirittura deprecabili. Una lettura attenta del vangelo porta a capire come la gente odi spesso uomini e cose che sarebbe ragionevole e giusto amare e ami invece uomini e cose che meriterebbero di essere vituperati e tenuti lontani da sé.

Se io chiedo se sia giusto odiare il male o la violenza, la risposta sarà affermativa, e non vedo perché, se io chiedo se sia giusto odiare tutti quei comportamenti che in modo completamente gratuito favoriscono o generano malessere e violenza, la risposta dovrebbe essere negativa. L’odio è un sentimento umano forte come l’amore ed esso non è mai razionale o irrazionale in se stesso ma negli usi che se ne fanno. Gesù lo sapeva bene: egli invita ad odiare, ovvero a ridimensionare drasticamente, tutto ciò – beni, affetti, desideri ed interessi personali anche ove siano del tutto legittimi o doverosi (come nel caso dell’amore tra membri della stessa famiglia) –  che possa ostacolare o condizionare l’amore verso di lui. L’odio, considerato in se stesso, per Gesù non è necessariamente male, non è qualcosa di necessariamente inammissibile e deprecabile: odiare il potere iniquo, la ricchezza illimitata, il piacere smodato, l’ipocrisia o la superbia, la menzogna e la maldicenza, non solo si può ma si deve. Mentre l’odio verso la verità, la povertà o la miseria, verso la giustizia e la misericordia, è da condannare perché tende a distorcere e a disconoscere il senso della realtà, il valore oggettivo delle cose e del rapporto tra gli uomini; perché, in altri termini, è odio verso Gesù e verso la sua parola ed opera di salvezza. In questi casi, come si può facilmente convenire, l’odio non si configura come espressione di irrazionalità  ma si pone al servizio di un amore inequivoco. Anche l’atto del frustare, talvolta, apparentemente cosí odioso e violento, può essere un possente atto d’amore.

Lo stesso ragionamento vale per l’amore, parola molto usata ed abusata anche in ambito cristiano e cattolico e qui spesso declinata in forme inautentiche quali sono ad esempio quelle paternalistica, autoritaria, buonista, e via dicendo. Ci si deve chiedere se qui non ci si debba impegnare sul piano teologico, catechetico, ermeneutico, pastorale, molto più di quanto generalmente non si faccia per evitare che questa parola produca fraintendimenti sempre più grossolani anche nella mente di quei sinceri credenti che la percepiscono come sinonimo, se non di debolezza e di pavidità, almeno di arrendevolezza, di rassegnazione, di disimpegno persino rispetto a forme evidenti di cattiveria o di malvagità: cos’altro potrebbe infatti significare l’esortazione di Gesù a non opporsi al malvagio e anzi a porgergli l’altra guancia? Certo, dinanzi ad una persona o ad un esercito (come per esempio quello romano ai tempi di Gesù) o ad uno Stato malvagi, che cioè nel nome di disegni o interessi perversi dispongono di ogni mezzo per distruggere chiunque, cosa deve fare il vero seguace di Gesù se non testimoniare la propria fede senza porre in essere rappresaglie identiche alle offese subite, se non manifestarsi disponibile a rinunciare ad ogni diritto personale pur di non alimentare una spirale di odio e di violenza? Questo però non significa affatto indietreggiare dinanzi alla malvagità e alla perversione altrui, avallarle con un comportamento pavido e insicuro, subirle semplicemente per quieto vivere personale, ma significa resistere ad esse in un mite anche se fermo e determinato spirito di verità, testimoniando limpidamente e coerentemente la propria fede, operando con misura e senso di responsabilità, facendo uso ove possibile delle leggi civili degli uomini per difendersi oppure persino soccombendo per il bene di coloro che si amano e si vogliono tutelare.

Bisogna sempre diffidare di quel cristianesimo zucchero e cannella che è solo un’invenzione di Satana. Amare qui significa non volersi mettere sullo stesso piano del malvagio (la malvagità, peraltro, è un caso-limite di ostilità umana e dunque il testimone in Cristo sa già di dover mettere in conto la sua probabile disfatta personale), in particolar modo se o quando si risponde dell’incolumità e del destino di altre persone, ma significa anche non darla vinta al malvagio nel senso corrente di questa espressione, malvagio per il quale anzi bisogna pregare affinché riesca a comprendere le ragioni del suo odio e della sua dissennata violenza e riesca quindi a liberarsene attraverso una sincera richiesta di perdono e di riconciliazione con Dio e con il prossimo offeso e umiliato. Bisogna fare attenzione in altre parole a non avere in testa una bizzarra interpretazione del “porgere l’altra guancia”: se sono sicuro che qualcuno mi fa oggettivamente torto non devo rinunciare a chiedere, sia pure nel modo più garbato e civile possibile, che la verità sia ristabilita; se qualcuno mi fa violenza in modo del tutto gratuito non devo rinunciare a sapere per paura o per viltà le ragioni di quel gesto violento (anche Gesù a quel soldato che lo colpisce solo per disprezzo e per umiliarlo chiede indignato: spiegami, se puoi, perché mi hai colpito); se poi di fronte al male e all’oppressione degli indifesi e degli innocenti resto inerte, mi rendo complice di un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio, per dirla con Pio X, attirando su di me l’ira divina. Al limite, ognuno di noi ha il diritto di origine evangelica di porgere l’altra guancia all’infinito per ricevere schiaffi, pur nell’espletamento di una coraggiosa testimonianza cristiana, ma nessuno, in buona fede e sforzandosi di intendere lo spirito più che la lettera delle Scritture, può permettere che questo succeda agli altri. Non è affatto questo che implica l’amore insegnato da Gesù.

Non bisogna girare la testa dall’altra parte: bisogna riconoscere e dire la verità a qualunque costo per questioni di primaria importanza umana e spirituale, per rimanere fedeli a Dio come Dio è fedele a noi; bisogna difendere i deboli da soprusi di qualunque genere ed essere disposti a lottare con loro e per loro nel nome di Cristo; prendere posizione a favore della moralità e della sana legalità contro la corruzione e la prevaricazione a tutti i livelli; bisogna dire chiaro e tondo ai furbi e ai disonesti di qualsiasi specie che essi non se la potranno cavare indefinitamente perché saranno soggetti al severo giudizio di Dio; bisogna ammonire tutti coloro che sono violenti interiormente, anche se si coprono di belle maniere e di espressioni forbite, a cambiare registro e a buttare via per sempre l’infame maschera che indossano quotidianamente; bisogna difendere la Chiesa tutte le volte che viene attaccata rozzamente e solo per motivi di bottega mentre bisogna avere anche il coraggio di mettere umilmente in discussione taluni suoi orientamenti esegetici ed ecclesiali tutte le volte che si avverta la necessità e il dovere di contribuire a ridurre le eventuali distanze tra il suo pur autorevole magistero e l’originaria Parola di Cristo; bisogna infine e naturalmente denunciare questo uso cosí strumentale e talvolta decisamente volgare dell’amore trasmessoci da nostro Signore, mostrando come in realtà dietro talune forme di amore si nasconda l’odio più becero e violento.

 Alla fine, dovremo avere l’umiltà di accettare ugualmente contraddizioni, sconfitte, amarezze, ma avremo fatto ciò che Gesù si aspetta che noi facciamo: adoperarci al meglio per non permettere che l’amore, o meglio un amore generico e frainteso e ambiguamente vissuto, si ponga al servizio dell’odio. Saremo avversati, odiati, derisi e percossi, forse, come “il giusto” di Isaia, che tuttavia, certo di essere assistito dal Signore, non demorde e rende «la faccia dura come pietra» (Is, 50, 7), ovvero non si lascia intimorire e non cambia la sua linea di condotta. “Saremo odiati senza ragione” (Gv 15, 9-25)? Ci sentiremo male, certo, ci sentiremo soli e profondamente angosciati, ma non ci abbandonerà la certezza di essere amati e benedetti da Dio.

Saremo odiati semplicemente perché ricorderemo ai nostri stessi fratelli di fede che essi non sono affatto dalla parte di Cristo se agiscono ancora secondo la logica del mondo, secondo le ipocrite convenienze di questo mondo. Non cederemo tuttavia alla tentazione di odiare chi ci odia e, ancora meno, alla tentazione di istigare ad odiarci chi forse ancora non ci odia pur essendo lontano da noi, ma pregheremo perché i nostri oppositori, con o senza odio, si convertano alla verità e alla giustizia di Dio. Per avere l’amore di Dio, noi ci impegneremo a sopportare tutto, anche ciò che è insopportabile, pur attraverso un indefesso combattimento spirituale. Ma non saremo mai autorizzati a pensare che Cristo fosse un ingenuo, uno sprovveduto: egli ha infatti voluto insegnarci a non compromettere la nostra dignità di suoi testimoni filiali con atteggiamenti violenti e malvagi anche se o quando si abbia a che fare con i violenti e i malvagi e se o quando persino il ricorso alla giustizia umana risulti inutile, innanzitutto perché peggioreremmo la nostra situazione personale e poi perché rischieremmo di rendere poco credibile o di rinnegare la nostra fede nella verità e nell’amore; ma egli in particolare, nell’esortarci ad un amore incondizionato, non ha voluto fare di noi dei codardi, giacché al contrario, inculcandoci la certezza della sua assistenza e della sua protezione permanente, ha inteso spronarci ad assumerci l’eroico e nobilissimo compito di tenere testa ai prepotenti e ai malvagi con la sola forza della verità, dell’amore e della preghiera.

Cioè: non è che dinanzi ad essi occorra darsela a gambe, mettersi a tremare di paura e non proferire parola. Pur timorosamente consapevoli dei gravi rischi che incombono su di noi, bisognerà cercare al contrario di contrastarne l’arroganza con la parola chiara e obiettiva, con il diritto e la giustizia, con la capacità di non arretrare di un millimetro anche se sottoposti al loro ricatto o soverchiati dalla loro forza distruttiva, con qualche gesto difensivo infine del tutto lecito e naturale, certi che Dio non ci abbandoni anche se i nostri nemici dovessero mostrarsi irremovibilmente e appunto malvagiamente intenzionati a nuocerci sino al punto di procurarci la morte. Questo, beninteso, sul piano personale e dei rapporti interpersonali, anche se, si badi, Cristo non dice e non pensa che i suoi figli non violenti non debbano fare proprio nulla per evitare di essere uccisi o di essere condannati a morte. “Porgere l’altra guancia” non significa rimanere completamente passivi dinanzi ad uno che ti vuole assassinare specialmente se alla base della volontà omicida vi siano insani o futili motivi; significa invece non temere il pericolo che viene da uno che non ragiona o si rifiuta di ragionare, pur essendo nel pieno possesso delle sue facoltà, e che ha solo bisogno del perdono e dell’aiuto di Dio per guarire dalla sua malattia esistenziale e spirituale.

Se però il problema non riguarda il singolo ma un gruppo di persone, una comunità e via dicendo, l’atteggiamento deve essere assolutamente diverso: se per salvare altri non ho più altro mezzo che un mezzo violento io devo farne uso. Il contrario dell’amore non è la violenza ma l’odio, e la violenza può essere usata talvolta anche per amore (vedi la cacciata dei venditori dal tempio). Non penso possano esserci dubbi: in un’ottica cristiana chi è sul punto di uccidere degli innocenti, se proprio non può essere fermato in modo incruento, va fermato in qualunque altro modo. A maggior ragione, bisogna capire che il giudice che commina una giusta pena secondo l’“occhio per occhio” non solo non è malvagio, non solo non tradisce la fede nel Signore, ma è da lodare proprio in quanto seguace di Gesù; che un’assemblea o una Chiesa che siano costretti per evidenti e fondati motivi a prendere una decisione grave ma necessaria verso uno o più membri di esse che si siano resi responsabili in pubblico di episodi di immoralità o di comportamenti manifestamente peccaminosi, non possono essere accusate di mancanza di carità per il semplice fatto che esse hanno non tanto il diritto quanto il dovere di tutelare in spirito di verità la salute spirituale delle proprie comunità nella loro interezza. San Paolo arriva a comandare alla chiesa di Corinto che tollerava un fornicatore: «Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi» (1 Cor 5,12).

Immaginate cosa succederebbe se un insegnante, per dimostrare di amare il prossimo come se stesso, non proponesse rigorosi provvedimenti disciplinari per un alunno che perfettamente in grado di intendere e di volere abbia appena violato norme elementari di convivenza civile; o se, al cospetto di un fratello notoriamente incline ad ingannare il prossimo, non trovassimo mai la forza di rimproverarlo severamente e apertamente. Bisogna rendersi conto che atti del genere sono atti cristianamente doverosi, cosí come sono molti i casi in cui il cristiano, chiamato a manifestare la sua capacità di amare, deve saper dosare il suo senso d’umanità e d’amore coniugandolo opportunamente con un adeguato senso della verità e della giustizia. Da questo punto di vista le scritture vetero-testamentarie abbondano di suggerimenti e consigli utilissimi che sarebbero sempre stati tenuti presenti da Gesù, almeno implicitamente, nel corso della sua predicazione.

Si pensi, a titolo puramente esemplificativo, a qualche massima dei Proverbi che è il libro «più tipico della letteratura sapienziale di Israele»: «Una città smantellata o senza mura tale è l'uomo che non sa dominare la collera» (25, 28);   «Non insidiare, o malvagio, la dimora del giusto, non distruggere la sua abitazione, perché se il giusto cade sette volte, egli si rialza, ma gli empi soccombono nella sventura» (24, 15-16), per ribadire la certezza della giustizia divina; poi due concetti solo apparentemente contraddittori ma in realtà grondanti di una sapienza fondata su una profonda esperienza di cose umane: «Non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza per non divenire anche tu simile a lui» e  «Rispondi allo stolto secondo la sua stoltezza perché egli non si creda saggio» (26, 4-5); e ancora: «Non dire: “Come ha fatto a me così io farò a lui, renderò a ciascuno come si merita» (24, 29). O, infine, prefigurando la personalità spiritualmente salda e coraggiosa del giusto in Cristo: «Mi hanno picchiato, ma non sento male. Mi hanno bastonato, ma non me ne sono accorto. Quando mi sveglierò? Ne chiederò dell'altro» (23, 35). Né manca qualche significativo accenno ad un amore che non sia confuso con la dabbenaggine o con una molle retorica spirituale:  «Il violento deve essere punito, se lo risparmi, lo diventerà ancora di più» (19, 19).

Ecco: tutto ciò, ma molto altro ancora potrebbe essere citato, non è affatto estraneo al messaggio salvifico di Cristo che, pur nella sua semplicità, è molto più profondo ed articolato di quanto generalmente si pensi; anzi, è in esso valorizzato ed ulteriormente perfezionato. Dunque, quando si fa riferimento a Cristo, non si parli di amore e di odio in modo avventato ma secondo quelle regole di prudenza, di intelligenza e di approfondimento spirituale che sono proprie di chi veramente cerca di comprenderlo e amarlo. Se poi, nel dire questo, anche noi saremo incorsi nel frattempo in qualche errore, non potremo che rimetterci alla misericordia di Dio.