Hummes e il clero cattolico: limiti di una diagnosi

Scritto da Angelo Soave on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Il 17 dicembre del 2009 il papa disse, rivolgendosi ai vescovi della Bielorussia, che «la paternità del vescovo è elemento fondamentale per la riuscita di una vita sacerdotale». Sono parole giustissime che sono state recentemente riprese dal cardinale Cláudio Hummes, prefetto della Congregazione per il clero, il quale ha ribadito che due sono gli atteggiamenti dei vescovi come della Chiesa tutta: la fermezza sui princípi e appunto la paternità verso i confratelli sacerdoti (M. Ponzi, A colloquio con il cardinale Cláudio Hummes, prefetto della Congregazione del clero. Fermezza e paternità per difendere la credibilità dei sacerdoti, in “L’Osservatore Romano” del 13 gennaio 2010). Su questo concetto di paternità vorrei soffermarmi sollecitato anche da tutta una serie di fatti e vicende da cui oggi la Chiesa appare duramente provata e afflitta.

La prima cosa che occorre dire esplicitamente è che la paternità del vescovo non deve tradursi in complicità del vescovo rispetto a comportamenti sbagliati e censurabili dei suoi preti quale che sia il grado e il tipo degli errori eventualmente commessi. Né è utile continuare a dire, come invece ritiene di fare Hummes, che «la dolorosa vicenda irlandese…non può essere riferita a tutto il ministero episcopale» (Ivi). Che non si debba mai generalizzare è risaputo, ma non è più il caso di insistere con questa precisazione che alla lunga produce soltanto una comprensibile irritazione. Purtroppo, di dolorose vicende come quella irlandese ce ne sono state e ce ne sono ormai dovunque nel mondo, e urge ormai che la Chiesa si interroghi onestamente sulle ragioni di fenomeni cosí negativi che rischiano di danneggiarla in modo irrimediabile.

Come si fa a dire che «esistono alcune situazioni disdicevoli, ma sono molto limitate»(Ivi)? Sarebbe più corretto dire: la cronaca ci dice che esistono situazioni disdicevoli un po’ dappertutto anche se forse quantitativamente esse possono ritenersi ancora limitate. Ma in ogni caso (che siano o non siano statisticamente limitate) i dati si riferiscono pur sempre a ciò che viene alla luce, a ciò che si sa. E di ciò che non si sa, anche al di là dell’ambito specificamente sessuale, la Chiesa non intende preoccuparsi? Quanti preti e quanti vescovi sono corrotti e quanti conducono una vita disordinata e immorale, quanti di essi peccano di arroganza e superficialità e quanti abusano della loro funzione in modi e circostanze diversi? Quanti, anche se non risulta, anche se molti fedeli non parlano per paura di danneggiare il prossimo o semplicemente per sfiducia verso il loro vescovo?

Si può affermare che «i vescovi sono buoni padri per i loro sacerdoti» (Ivi) solo se sono capaci di valorizzarli perché realmente meritevoli e di rimproverarli perché oggettivamente degni di rimprovero e non già evidentemente in termini discrezionali ma in termini rigorosamente evangelici. Ma i vescovi, a loro volta, è proprio certo che siano sempre selezionati in base a criteri rigorosamente evangelici? Se è vero che certi fatti incresciosi «feriscono profondamente il cuore della Chiesa» (Ivi), coloro che la rappresentano ai più alti livelli, che peraltro dovrebbero coincidere con livelli di maggior spirito di servizio, dovrebbero sforzarsi di parlare come pastori, e con la fraterna ma limpida schiettezza che è dei pastori, piuttosto che come politici fumosi ed ambigui.

Né ci si può lamentare che i media puntino i riflettori più su certe vicende negative che «su quello che di buono fa la stragrande maggioranza dei sacerdoti»: intanto perché questa “stragrande maggioranza”, per  ciò che si è poco sopra osservato, è puramente ipotetica e poi perché è del tutto normale, sotto il profilo evangelico, che un sacerdote sia un operatore di bene e di pace, anzi è doveroso visto che nessuno gli ha imposto di amare Cristo. I «comportamenti ammirevoli», contrariamente a quanto dice Hummes, non necessariamente «devono fare notizia» (Ivi): ai cristiani, e in particolare ai sacerdoti, deve bastare che Dio li ami. La Chiesa dunque non è tenuta a recriminare su questo punto, anche se può giustamente recriminare contro la tendenza comunque semplificatrice e distorsiva dei mezzi di comunicazione di massa, ma deve solo e semplicemente dolersi delle tante spine peccaminose che sono ancora ficcate nel suo corpo. Tutto ciò non toglie che, in linea di principio, ai sacerdoti occorra garantire tutto il sostegno affettivo e organizzativo di cui hanno bisogno: da parte dei vescovi e da parte di tutti.

Tuttavia, quello che proprio non si capisce è perché la nostra amatissima Chiesa, soprattutto in relazione alle sue attività liturgiche e sacramentali, si intestardisca nel puntare unilateralmente sui giovani e non cerchi invece di polarizzare la sua attenzione anche sugli anziani che potrebbero essere di esempio, di sprone, di monito e di aiuto agli stessi giovani sacerdoti. In fin dei conti, nostro Signore chiamava a sé giovani ed anziani ed è significativo che come capo della sua Chiesa egli volle designare non già un apostolo giovane ma un apostolo anziano o più anziano come Pietro, uomo di esperienza, uomo sposato e verosimilmente padre di famiglia. 

 Sí, si allude all’annoso problema, in questo sito spesso dibattuto con semplice ed ostinata fede, di rendere possibile anche agli anziani, muniti di determinati requisiti, l’accesso al presbiterato. E’ una possibilità, e s’intende dire una possibilità evangelica, che non va né sottovalutata né sprecata ma presa in serissima considerazione in un momento storico in cui è sotto gli occhi di tutti l’insufficienza intellettuale, culturale, morale e spirituale del clero cattolico nella sua forma attuale, la sua inadeguatezza a reggere l’enorme peso delle gigantesche problematiche proprie dell’umanità contemporanea. E questo senza voler disconoscere i meriti pure notevoli del clero attuale. D’altra parte, com’è possibile assorbire il clero uxorato anglicano e contemporaneamente negare la facoltà di accedere al presbiterato ad uomini sposati di dichiarata fede cattolica, senza perdere oggettivamente molto della propria credibilità spirituale? Peggiora poi la situazione quando si sente dire da pulpiti autorevoli che si sarebbe trattato di un’“eccezione” concessa dal pontefice, perché è difficile non pensare che questa eccezione (e non è l’unica nella Chiesa cattolica) possa essere stata concessa per motivi di convenienza e non per motivi spirituali.  

Il clero va riformato, va ampliato, va potenziato e arricchito di nuove risorse umane, di fresche energie spirituali, di una fede che non sia solo quella dei seminari teologici ma anche quella che viene direttamente dal mondo, dalle chiamate e dalle urgenze immediate della vita, dalla cultura laica che sente imperioso il bisogno di Cristo, dalle chiese domestiche di tanti credenti in Gesù. Dio si aspetta che, come tutti i più alti prelati sanno, il suo regno sia “un regno di sacerdoti”, di sacerdoti e basta, di sacerdoti che pregano e rendono lode al Signore servendosi reciprocamente in molti modi e servendo i propri fratelli ancora in cammino verso di lui: si cerchi dunque di spingere in questa direzione, di coinvolgere concretamente quanta più umanità possibile nel processo di glorificazione di nostro Signore. Sono cose che Hummes sa benissimo ma è probabile che, data la sua posizione, ritenga di non poterle e non doverle dire per obbedienza al papa, il quale tuttavia difficilmente prende da solo posizione su questioni particolarmente delicate come questa, essendo verosimile che i suoi giudizi esprimano piuttosto un qualche orientamento maggioritario (e non necessariamente il più saggio) della curia romana.

C’è in ogni caso da augurarsi che la Chiesa non sia né pigra, né paurosa e che sia invece prudente sempre ma ingenerosa o codarda mai. Essa ha tanti modi per assicurarsi che eventuali aperture ed innovazioni non producano effetti deleteri, per esempio assegnando per i primi tempi esclusivamente a cardinali e vescovi di indiscusso valore il compito di segnalare candidati idonei all’ordinazione sacerdotale, perché la Chiesa dispone di un’intelligenza che nel corso della sua difficile storia le ha consentito, con l’aiuto dello Spirito Santo, sia di risolvere problemi difficili sia di “legare” e “sciogliere” non solo in materia di peccati e di norme religiose ma anche in materia di direttive spirituali e organizzative che ogni epoca storica esige nel nome e per conto dell’eterna verità di Cristo.    

Non è solo questione di “aggiornamento”, di “riqualificazione” della vita sacerdotale (Ivi). E’ venuto il momento di fare entrare di più e meglio la Chiesa nel mondo per evangelizzare e convertire le anime a Cristo, e questo si può fare soltanto consentendo con assennata audacia al mondo di partecipare più profondamente alla realtà spirituale e sacramentale della Chiesa. Non è affatto detto che la Chiesa debba rimanere eternamente immobile oltre che nei princípi fondativi e direttivi anche nelle forme del suo apostolato. Quello che dice il cardinale Hummes ha un significato più largo di quel che egli immagina quando pronuncia le seguenti parole: «La nostra non è una Chiesa settaria. È cattolica, è una, è santa e apostolica ed è pronta ad abbracciare chiunque, come una grande madre. Offre a tutti la possibilità di compiere cammini diversi pur nella comune testimonianza del Vangelo. Si pensi alla storia degli ordini religiosi, alle loro differenti spiritualità, così diversi l'uno dall'altro ma tutti insieme capaci di portare ricchezza di carismi nell'unica Chiesa di Cristo. Naturalmente tutti devono camminare nell'unità. Ma unità non vuol dire uniformità» (Ivi).

Ecco: facciamo in modo che la Chiesa sia sempre più universalmente aperta anche all’apporto di tutti coloro che, benché avanti negli anni e già vincolati al sacramento del matrimonio e alla loro paternità genitoriale, desiderino consacrare il resto della loro vita interamente a Cristo ed offrire se stessi interamente al prossimo. Facciamo in modo che a saper «interpretare i segni dei tempi» (Ivi) non siano soltanto i sacerdoti cattolici attualmente in attività, come si augura Hummes, ma tutta la loro e la nostra Chiesa.