Elementi oggettivi di divisione tra ebrei e cattolici

Scritto da Andrea Cafaro.

 

Visto che almeno a parole anche il cristiano vuole cambiare questo mondo nelle sue strutture interiori ed esteriori, chiedendo una giustizia profondamente diversa dalla giustizia spesso iniqua che vi impera e forme di vita comunitaria e sociale ben più egualitarie e solidali di quelle attuali, non è possibile che anche Marx, le sue analisi e la sua diagnosi della società capitalistica occidentale, possano essere utili in qualche modo ad orientarne più concretamente l’impegno e a renderne più efficace la sua stessa battaglia religiosa? Capisco che ci sono aspetti dell’opera di Marx che un cristiano non potrà mai accettare: in primis l’ateismo e l’idea di una rivoluzione violenta, mentre diversa e a ragion veduta potrebbe essere la sua posizione sul cosiddetto materialismo il cui significato viene spesso frainteso e stravolto in ambito cattolico. Ma non è vero che, contrariamente a tante dotte certificazioni di morte, la storia anziché smentire e seppellire definitivamente Marx sembri dargli periodicamente ragione e risuscitarlo ogni volta? La crisi attuale, per esempio, non ha portato persino alcuni autorevoli esponenti dell’area liberale e fautori del libero mercato a valorizzarne l’opera? E i cristiani che, per vocazione, dovrebbero essere testimoni indefettibili di verità, questa verità che sta sotto i loro occhi non potrebbero e dovrebbero riconoscerla con solerzia e tempestività? In fin dei conti, Tommaso d’Aquino diceva che i cristiani sono tenuti a riconoscere la verità indipendentemente da chi la dice, perché il Signore può servirsi anche di un ateo per far giungere la verità ai credenti.   

Rimane o no più attuale che mai la tesi marxista per cui è ora di finire di costruire teorie di ammodernamento del mondo per mettere invece finalmente e risolutamente mano ad un suo sostanziale cambiamento strutturale? Non è ormai realistico lavorare economicamente e politicamente ad un progetto in virtù del quale si punti ad un sostanzioso e produttivo assottigliamento tra “servi” e “padroni”, tra operai e imprenditori, tra pubblici dipendenti e burocrazia economica statuale, tra lavoro e profitto? Perché si continua a ritenere, con il beneplacito di larghissimi settori della Chiesa e di moltissimi cattolici, che ciò sia incontrovertibilmente utopico e irrealizzabile? Perché mai dovrebbe esserlo? Una volta si diceva che il mondo moderno fosse fondato sul gioco tra domanda e offerta e che quindi certi meccanismi economici non potessero essere cambiati. Ma oggi, dopo questa crisi epocale, per molti inimmaginabile solo fino a pochi anni or sono, che cosa resta di veramente immodificabile? E’ ovvio che non è pensabile qui ad un ripristino del marxismo in chiave ideologica e strumentale. Il tempo passa per tutte le cose: oggi non sarebbe possibile, nel nome del marxismo, dare vita alle stesse organizzazioni di massa della prima metà del novecento, magari con le stesse caratteristiche negative di allora.

Però, i cristiani più volenterosi e onesti potrebbero forse riutilizzarlo, sia pure con integrazioni che non ne intacchino l’efficacia trasformatrice, in funzione di una possibile unificazione di tutti quei ceti produttivi e popolari di tutto il mondo che ormai stanno per essere espulsi totalmente e definitivamente dai circuiti produttivi nazionali ed internazionali e che solo uniti potrebbero costringere le oligarchie economiche e finanziarie del pianeta ad invertire radicalmente i loro piani e le loro strategie d’investimento e di profitto per scongiurare la definitiva catastrofe. Come ricordava Giorgio Tosi in un suo interessante articolo del marzo 2005 sul sito “Questo Trentino”, il noto economista Kevin Philipps in un suo libro sul sistema americano ha scritto che, «a mano a mano che avanziamo nel XXI secolo, lo squilibrio tra ricchezza e democrazia appare sempre più insostenibile», per dire che il potere politico è sempre più assorbito nel potere economico per cui la sua funzione appare sempre più irrilevante o marginale, donde l’implicita conseguenza che solo un’opposizione di massa a livello internazionale a questo sistema economico-produttivo potrebbe forse bloccare la corsa del sistema stesso verso la sua autodistruzione.

E, subito dopo, lo stesso Tosi osservava significativamente che il vescovo di Milano, cardinal Dionigi Tettamanzi, aveva evocato lo spirito profetico di Marx scrivendo queste parole nell’imminenza della festa di sant’Ambrogio: «Pensiamo alla solidarietà  come alla messa in comune del bene e dei beni, materiali e immateriali....a un’utopia da trasformare in progetto politico e in realizzazione concreta». Il cardinale non intendeva proporre indebite commistioni tra marxismo e spirito evangelico ma riconoscere semplicemente la verità, vale a dire che la grande utopia marxista non era da buttare insieme a tutte le sue pur reali distorsioni e i suoi errori ma da considerare almeno come una traccia importante anche se parziale di quel complesso e globale processo di liberazione promesso da Cristo.

E’ pur vero che qualche tempo fa su un sito cattolicissimo è apparso un articolo di fuoco intitolato “Se il dragone rosso parla per bocca del marxismo”, in cui si poteva leggere quanto segue: «considerazioni del tipo "accetto l'analisi economica del marxismo ma non la filosofia", "accetto questa singola parte e rifiuto quest'altra", denunciano una fondamentale incomprensione del carattere globale del marxismo, e denunciano, perché non dirlo, un certo grado di ignoranza nello pseudo-comunista che ha pronunciato queste parole».  Ma temo che giudizi di questo tipo non abbiano a che fare con la fede o quanto meno con la fede dei primi cristiani bensí solo con il grado di intelligenza di chi li pronuncia. E’ solo per partito preso, per odio ideologico (certo, anche la fede può essere usata in modo ideologico), che ci si deve augurare non venga mai quel giorno in cui un papa, all’Angelus, dica: “Fratelli e sorelle oppressi di tutto il mondo, unitevi in Cristo”?