La fedeltà a Cristo e i minareti

Scritto da Pietro Gargani.

 

Non capisco perché i cittadini europei, siano o non siano credenti, non avrebbero il sacrosanto diritto di opporsi alla possibilità e alla richiesta di costruire moschee e minareti sui loro territori. Da un punto di vista democratico, non vedo come si possa contestare loro il diritto di decidere i modi dell’ospitalità da concedere agli immigrati di fede islamica specialmente in relazione alla loro istanza di costruire luoghi di culto. Gli immigrati islamici vengono infatti in Europa con la speranza di trovare condizioni di vita e di lavoro migliori di quelle che potevano loro offrire i paesi d’origine, non certo con la certezza o la pretesa di poter vedere soddisfatte tutte le loro esigenze religiose o, più esattamente, di culto religioso. Quanto al timore che un “no” europeo ai minareti possa comportare un’offesa alla sensibilità islamica e un acuirsi delle minacce terroristiche in Europa, esso, posto che sia fondato ma non lo è perché chi vuole delinquere delinque comunque e non certo perché gli sia negato di disporre di un suo luogo (materialmente edificato) di culto, non potrebbe in ogni caso condizionare la libera e responsabile decisione democratica dei popoli europei che tale è se si esercita in assenza di ricatti di qualsivoglia natura.   

L’esito (contrario alla costruzione di minareti) del referendum svizzero (che ha avuto luogo perché ritenuto democraticamente ammissibile), a dire di molti e anche di molti vescovi e di buona parte della Chiesa cattolica, violerebbe il principio della libertà religiosa. Non vedo proprio perché. Da un punto di vista democratico, ho già spiegato che il responso referendario è ineccepibile e sarebbe davvero sconcio sotto questo aspetto che il governo svizzero si lasciasse intimorire e condizionare dal minaccioso invito iraniano (con relative manifestazioni di piazza) a non tener conto di tale responso. Ma anche e forse soprattutto dal punto di vista cristiano-cattolico è difficile comprendere le ragioni per le quali parte della Chiesa cattolica ritiene di doversi preoccupare e di dover invitare i propri fedeli a riflettere sulle proprie scelte.  

Certo, è sempre possibile opporsi ai minareti per deprecabili motivi di fanatismo religioso e di intolleranza verso la fede altrui. E questo certo sarebbe inaccettabile. Ma, ai minareti ci si può invece opporre semplicemente per una questione di coerenza religiosa, nel senso che il cristiano-cattolico pensi di dover testimoniare la sua fede in Cristo non favorendo, specialmente in un momento particolarmente conflittuale dei rapporti tra Occidente e paesi islamici, la diffusione dell’altrui fede quando essa sia non solo “diversa” (come le tante confessioni cristiane) ma antitetica alla sua che prevede essere Gesù Cristo l’unico Signore del cielo e della terra. Se uno è convinto che il suo Dio sia Gesù Cristo e solo Gesù Cristo non si comprende proprio perché dovrebbe solo consentire obtorto collo "in casa sua" ad un islamico o a un non cristiano di diffondere, ben oltre i sacri limiti della coscienza personale, una fede percepita come oggettivamente erronea, ma addirittura incoraggiarlo a perseguire tranquillamente i suoi scopi. E gli ebrei allora, non hanno in Europa le loro sinagoghe?

E’ vero, ma se è per questo anche gli islamici hanno le loro moschee europee. Tuttavia, il problema, quali che siano stati in passato gli specifici processi storici in cui sinagoghe e moschee siano state alla fine accettate dalla cultura moderna e in buona parte dalla stessa cultura cristiana, è e resta il seguente: può un cristiano consapevole del significato complessivo di tale qualifica avallare l’idea che una concezione idolatrica di Dio com’è quella islamica possa mettere radici e svilupparsi proprio in virtù del suo assenso di credente in Cristo?

Ma cosí non si cade nell’intolleranza? Non credo, perché sul piano spirituale non viene impedito a nessuno di professare liberamente la propria fede. Ma è del tutto legittimo e anzi doveroso da parte di chi crede in Cristo Salvatore non legittimare con comportamenti ambigui o superficiali la falsa ed ipocrita idea che quel che conta è credere in Dio e riconoscersi come fratelli di un unico Padre.

Il cristiano-cattolico sa che, senza credere in Cristo come Figlio di Dio e come Dio egli stesso, non ci si può annoverare tra i figli di Dio per il semplice fatto che non è possibile conoscere e riconoscere Dio come Padre, e in effetti per gli islamici Dio non è un Padre perché non ha un Figlio su cui riversare il suo amore. Perché mai allora, acconsentendo alla diffusione in Europa di moschee e minareti, egli dovrebbe favorire la diffusione di un’eresia perniciosa alla vera fede in Dio?

Ma, si dice, come faranno allora i cristiani a sperare di poter costruire delle Chiese nei paesi islamici? Perché quest’ultimi dovrebbero sentirsi indotti ad essere più  tolleranti ed ospitali verso i cristiani se questi in Europa o in Occidente non si mostrano disponibili verso gli islamici? A parte il fatto che, anche senza troppi minareti, l’ospitalità cristiana verso i musulmani rimane comunque e obiettivamente parlando non meno calorosa e sentita di quella che gli islamici appaiono disposti a concedere, nei casi migliori, ai nostri missionari e ai nostri fratelli cristiani nelle loro terre, il credente in Cristo sa che la sua testimonianza di fede non può passare attraverso patteggiamenti di natura mercantile e che Cristo non potrà mai valere un Maometto. Anzi, è bene ripeterlo con chiarezza: Maometto rispetto a Cristo è meno di zero.

Il cristiano deve solo confidare nell’aiuto di Dio e, confidando in lui, riuscirà ad esercitare la sua missione tra gli islamici molto faticosamente ma senza sentirsi costretto a concedere a quest’ultimi il dono della perfetta reciprocità religiosa. D’altra parte, Gesù non ha mai detto che il suo vangelo si sarebbe dovuto predicare sino ai confini estremi della terra in modo da non dover mai subire contraccolpi cruenti. Chi annuncia Cristo deve farlo, conscio dei rischi di incomprensione e di avversione anche violenta cui va incontro, per evangelizzare e quindi per favorire la conversione a Cristo di quanti ancora in lui non credono. Che questo debba esser fatto con tatto, con delicatezza e pazienza, in spirito di assoluta umiltà e di ascolto sincero e servizievole, è certamente vero e doveroso, ma lo scopo dell’annuncio e della testimonianza cristiani non può mai essere quello di ottenere delle opportunità o dei vantaggi per la propria causa religiosa attraverso concessioni teoriche e pratiche che finiscano poi per vanificare o annullare il senso della propria missione.

Con i fratelli che siano in errore, come quelli islamici, si può e si deve convivere e cooperare da un punto di vista umano, politico e culturale, tenendo aperta la prospettiva religiosa di un progressivo ed auspicabile incontro su posizioni di verità che per il cristiano non potranno essere raggiunte che in Cristo. Ma, appunto, il cosiddetto dialogo interreligioso non può implicare che io cristiano e cattolico finga di non sapere che i miei interlocutori, per quanto umanamente bravissimi e rispettabili, per quanto in buona fede, stanno battendo una strada sbagliata, solo per compiacerli ed evitare cosí situazioni di difficile convivenza.

Ma, si obietterà, questo non significa provocarne un irrigidimento, una chiusura verso le stesse istanze evangelizzatrici del mondo cristiano-cattolico specialmente nei paesi di confessione religiosa islamica, con relative ritorsioni e possibili atti terroristici in particolare contro l’Occidente cristiano? Può darsi, ma Gesù non esentò i suoi discepoli da pericoli di questa natura come non ci esenta oggi dal pericolo di una possibile furia islamica che potrebbe scatenarsi tuttavia solo al di fuori di quell’ordine razionale che è comune a tutti gli esseri umani e con l’unico effetto di dimostrare eventualmente la pochezza spirituale della stessa fede di origine maomettana.  

Il nostro compito di cristiani non è quello di ottenere a tutti i costi determinati risultati, ma di ottenerli attraverso il mandato ricevuto da Cristo e quindi nei limiti di quell’inequivoco e limpido spirito di verità e di carità, privo di tergiversamenti e  ipocrisie di sorta, di incertezze e di timori, con cui Cristo stesso si aspetta di essere testimoniato nel mondo e in mezzo a tutti gli uomini da parte di coloro che credono in lui.

Tutto sarà dunque possibile fare per gli islamici e possibilmente anche con gli islamici in Italia e in Europa. Ma la strada maestra resterà quella di non favorire sconsideratamente, per presunte ragioni di opportunità e di convivenza civile, la costruzione di moschee e minareti che, specialmente in un periodo storico convulso come quello che stiamo vivendo, sarebbe percepita come rinuncia cristiana a combattere contro la grande eresia islamica e come segno evidente di cedimento al ricorrente tentativo islamico, oggi dovuto a diverse e complesse ragioni oltre che a quelle tradizionali di avversione o di antagonismo “religioso” rispetto al mondo cristiano, di sottomettere l’Europa ad un culto idolatrico qual è quello costituito, da un punto di vista cristiano, dalla credenza in un Dio altro da quello di nostro Signore Gesù cristo.

Poi, naturalmente, tutto potrà accadere, perché in Europa non ci sono solo cristiani lucidi e coerenti, ma anche cristiani falsi o spiritualmente confusi, nonché realtà umane di diffuso ateismo pratico più che teorico e qualificati esponenti di un laicismo tanto sterile e irragionevole quanto culturalmente e socialmente dannoso. Potrà accadere anche che tra i cristiani più fedeli e onesti vi sia chi, nella sua opposizione all’Islam, si lasci trascinare da motivazioni, quali razzismo o intolleranza o fanatismo o paura preconcetta dell’“altro” che nulla hanno a che vedere con la fede in Gesù e nel suo messaggio di salvezza, contribuendo cosí ad alimentare il sospetto dei cosiddetti laici verso il popolo cristiano nella sua generalità, ma tutto ciò non toglie comunque che il vero seguace di Cristo sia tenuto a non rendersi complice dell’allargamento della sfera di influenza sulle coscienze e sui popoli di un credo religioso che non può non ritenere manifestamente erroneo e difforme da un corretto sentire cristiano.

Tuttavia, se alla fine un’Europa debole, vile e arrendevole, e sia pure ammantata di nobili ideali e di presunti princípi giuridico-democratici, permetterà che i suoi territori nazionali vengano disseminati di moschee e minareti, il cristiano non dovrà perdersi d’animo ma dovrà continuare a portare coraggiosamente la croce nel suo cuore confidando nel perenne aiuto di Dio.

E’ stato giustamente notato che fu il papa Paolo VI a consentire alcuni decenni or sono che proprio a Roma fosse costruita la più grande moschea europea. Confesso di non essere in grado di rispondere in modo preciso a questa obiezione. Bisogna però considerare che Paolo VI nel dare il suo assenso si sarebbe trovato a quel tempo (anni ’70) alle prese con complesse questioni di carattere politico-diplomatico ed economico-finanziario sia in rapporto alla richiesta di costruire una moschea a Roma formulata da re Feisal dell’Arabia Saudita, sia in rapporto alla disponibilità già precedentemente manifestata al capo di stato arabo dal Comune di Roma e dallo stesso Stato italiano. Probabilmente Paolo VI in quel caso ritenne di non dover compromettere i rapporti della Chiesa non tanto con gli islamici quanto con lo stesso Stato italiano, laico e aconfessionale per definizione, che d’altra parte non avrebbe concesso  il suo placet  alla costruzione della moschea in Roma sulla base di motivazioni religiose ma sulla base di motivazioni esclusivamente o essenzialmente politico-economico-finanziarie.

Tant’è vero che, pur autorizzando la costruzione della moschea, lo Stato italiano e il Comune di Roma non potettero o non vollero sottrarsi alle pressanti sollecitazioni su essi probabilmente esercitati dalla stessa Chiesa cattolica, allorché decisero, contrariamente alle richieste altrettanto pressanti espresse dagli islamici, che la moschea non avrebbe potuto sorgere nel cuore di Roma (a differenza di quanto accade nei paesi islamici che hanno le loro moschee al centro delle città) ma in una zona periferica e isolata anche se verde, che l’altezza del minareto della moschea non avrebbe potuto e dovuto superare l’altezza della cupola di san Pietro, e infine che il minareto stesso non potesse essere munito di altoparlanti. Oggi il minareto della moschea di Roma è «l’unico al mondo a non avere altoparlanti: da quella torre nessuna voce invita i fedeli alla preghiera».