Il silenzio di Maria
Per evitare che la natura verginale ed immacolata della madre di Gesù possa prestarsi a deprecabili usi strumentali e ideologici o essere usata in modo mistificante, anche all’interno di insospettabili ambienti religiosi, è necessario che il cosiddetto “silenzio” di Maria, trasmesso da un’antica e venerabile tradizione della Chiesa, non venga né enfatizzato a dismisura né frainteso e deformato. Non vi è infatti dubbio, sulla base delle sacre scritture e dei racconti evangelici, che Maria non sia affatto donna del silenzio in un senso quietistico e rinunciatario e in termini di disincarnata spiritualità. Ella sa bene che il suo Signore l’ha chiamata e chiama ogni creatura non solo ad ascoltare la Parola ma anche e soprattutto a metterla in pratica, non solo a contemplare il mondo ma anche e soprattutto a trasformarlo con umiltà e nei limiti delle forze e dei doni ricevuti. D’altra parte, la sua stessa indole è mite e combattiva ad un tempo, riservata ma non introversa, e la sua forma mentis è quella di una donna semplice e lineare ma non insipiente, parca di parole ma non muta, misurata ma essenziale e diretta. Troppo spesso si dimentica che ad anticipare e a preparare la predicazione salvifica di Cristo è proprio la grande e poderosa predicazione mariana al mondo, contenuta nel Magnificat e corrispondente ad un paradigmatico canto di lode e di battaglia per il regno di Dio.
E’ verissimo che la riflessiva e santa madre di Dio non ami il chiacchiericcio o la gratuita eccedenza del dire, ma questo, vangeli alla mano, non le impedisce affatto di essere moderatamente vivace e loquace, capace di lodare e amare Dio attraverso una variegata molteplicità di atti spirituali: pregando e cantando, meditando e danzando, piangendo e gioiendo, lavorando e festeggiando da sola o con altri. A ciò si aggiunga che, quando si raccoglie in preghiera, Maria spesso non si trova affatto in condizioni di sereno isolamento contemplativo e non ha la possibilità di pregare nell’atmosfera rarefatta di un ambiente sacro, come ha abituato a pensare una pia ma unilaterale idealizzazione religiosa, quanto piuttosto in situazioni particolarmente movimentate e drammatiche: lo stress psicologico prima delle nozze e al momento del parto, la complicatissima fuga in Egitto, l’immane e straziante sofferenza nell’ascesa al Calvario e ai piedi della Croce, la solitudine esistenziale pur spiritualmente ed umanamente proficua all’indomani della morte di Gesù.
Il significato del “silenzio” di Maria è dunque meno univoco, più problematico e probabilmente più religioso di quel che generalmente si pensa; e la sua reale fisionomia spirituale non sembra allora potersi esaurire in talune sue immagini stereotipate, dalle quali è difficile ricavare l’esatto spessore della sua fede religiosa, vale a dire in primis tutta la sua vitalità di donna calata in problematiche quotidiane molto spicciole ed impegnative e di donna vocazionalmente sensibile a sofferenze e a bisogni materiali e spirituali reali di uomini e donne altrettanto reali. La fede di Maria non è evasiva o consolatoria, intimistica ed edificante, non è unguento per anime belle, ma è sprone interiore all’azione spirituale e alla lotta biblico-evangelica, è attesa fiduciosa e attiva del Verbo destinato a farsi carne e a corrispondere in forma sempre più compiuta a legittime aspettative umane di liberazione non dalla carne ma della carne. Ciò detto e precisato, resta vero che Maria ci aiuta e ci insegna a vivere in silenzio: senza presunzione e senza boria, ma anche senza ipocrisia e senza volgare ignoranza, senza quella saccenteria camuffata da falsa modestia e quell’inconfessato e autoritario bigottismo, e infine senza quella sottile e sussiegosa supponenza spirituale, di cui è sempre troppo piena la comunità religiosa e non religiosa a molteplici livelli e da cui lo spirito missionario dei fedeli e della Chiesa può essere solo danneggiato o fuorviato.