Omelia laica per l'assunzione di Maria in cielo

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Sin dai primi secoli dell’era cristiana l’assunzione in cielo della vergine Maria non solo venne acquisita come credenza saldamente radicata nella coscienza dei fedeli ma venne considerata anche come un’anticipazione di quella resurrezione della carne che sarebbe stata resa possibile da Cristo per tutti gli altri esseri umani, secondo la sua promessa, solo alla fine dei tempi. Una creatura come noi, anche se molto migliore di noi, appena morta, ma senza conoscere la corruzione della morte, è traslata assolutamente integra in cielo sia pure nella nuova condizione gloriosa di creatura immortale. E, benché i teologi discettino comprensibilmente sulla differenza che passa tra l’“ascensione” di Cristo e la semplice “assunzione” di Maria, quel che conta è che Maria come Cristo è salita in cielo senza che il suo corpo dovesse marcire nella tomba.

 Una creatura come noi è diventata cosí regina del cielo e della terra: questo è stato il premio che il Signore ha voluto assegnare a colei che si era fatta serva di Dio, ascoltandone ed osservandone fedelmente la parola sino alla fine dei suoi giorni terreni. Ma, come giustamente disse Josemaria Escriva in una sua omelia del 15 agosto 1961, a questa creatura Dio non aveva risparmiato durante la sua vita terrena “né l’esperienza del dolore, né la stanchezza del lavoro, né il chiaroscuro della fede”. Il “fiat” di Maria “non si sarebbe manifestato in gesti spettacolari, ma nel sacrificio nascosto e silenzioso di ogni giorno”. Una considerazione, questa, che consente poi ad Escriva di asserire che per “giungere ad essere divini, per divinizzarci, è necessario imparare ad essere molto umani, vivendo al cospetto di Dio la nostra condizione di uomini comuni e santificando questa apparente piccolezza”. L’immacolata concezione, la piena di grazia, la madre di Dio, la tuttasanta, la regina celeste aveva condotto un’esistenza del tutto normale nel quadro di una vita che eufemisticamente possiamo definire movimentata. Ed è per questo motivo che, in questo giorno di festosa commemorazione dell’assunzione di Maria in cielo e della sua trasfigurazione fisica, ognuno di noi può aprire o riaprire il cuore alla speranza gioiosa di poterla raggiungere un giorno, almeno per via di penitenza se non di innocenza, là dove ella si trova.

Da lassù ella continua a pregare per noi, sussurrandoci nel cuore che, ancora pellegrini sulla terra, anche noi potremo arrivare, se lo vorremo con tutte le nostre forze, all’agognata meta celeste. E lei, che impavidamente aveva accompagnato il Figlio per le strade di Gerusalemme seguendolo sino al Calvario e proprio lí ricevendo da Gesù agonizzante il titolo di madre nostra, perché mai adesso non dovrebbe accompagnare sino alla fine anche quegli altri figli che glielo chiedono in Cristo? Lassù ora, senza cessare di essere madre, ella è regina e, in quanto tale, può esercitare gli immensi poteri d’amore che Dio le ha conferito. Invochiamola dunque con amore: “Virgo fidelis!”, e vivremo anche noi in paradiso. Dal fatto stesso di credere che Maria, come ha osservato Gabriele Amorth nell’agosto del 2004, “ci è sempre accanto e la sentiamo vicina, anche se non la vediamo, nasce il continuo e fiducioso ricorso a lei” e “sapremo solo in cielo quanto le siamo costati e ciò che Ella ha fatto per noi: i pericoli dai quali ci ha salvato, i suggerimenti che ci ha dato, le forze che ci ha infuso, le grazie che ci ha ottenuto; e tutto questo senza che neppure ce ne accorgessimo!”.

La festa odierna perciò ci è di grande consolazione perché con essa si celebra in effetti non solo il fatto prodigioso dell’assunzione in cielo della madre di Gesù in corpo ed anima ma anche, e con commozione non meno intensa, la fede di quanti credono che saremo con lei nella gloria se faremo di tutto per vivere come lei nella fede, nella preghiera, nella speranza, nella carità e nel servizio, se sapremo trasfigurare ogni nostra sofferenza, ivi compresa quella per i nostri peccati e le nostre inadempienze, in purezza e in amore, se a lei sempre ci rivolgeremo per essere degni del perdono e della misericordia di Cristo. Maria assunta in cielo sta a significare che l’amore vince sulla morte e che la morte non è la fine ma piuttosto il confine tra una condizione di mortalità e una condizione di immortalità, e nessuno può stupirsi del fatto che, nella moltitudine dei risorti in Cristo, Maria sia e resti al primo posto che è un posto di assoluta preminenza. Perché, come Maria ha abbracciato la divinità del Verbo, cosí il Risorto abbraccia l’incomparabile umanità di Maria, per cui l’assunzione è una specie di restituzione da parte di Cristo dell’abbraccio ricevuto in terra dalla madre: una reciproca accoglienza che pone prima l’uno e poi l’altro in una condizione “nuova”. Peraltro, questo “primato” di Maria in cielo è di vitale importanza per ognuno di noi, perché se non ci fosse stata una creatura cosí capace di pregare, di servire, di implorare Dio a nostro favore e di aiutare instancabilmente il prossimo suo nelle sue necessità materiali e spirituali, e se questa creatura simile a noi e anzi spesso più inerme di noi non fosse stata eletta regina del cielo e della terra, degli angeli e dei santi e dell’umanità ancora in cammino sulla terra, chi e cosa avrebbero potuto sollecitare e ottenere presso Dio la pietà sconfinata di cui abbiamo continuamente bisogno? E della Chiesa stessa di Cristo, sempre inserita e pellegrinante nelle pieghe di una storia tormentata e sempre insidiata dall’“enorme drago rosso”, cosa sarebbe senza le premurose attenzioni e la coraggiosa assistenza di questa donna, di questa madre, senza la sua regale capacità di generare e rigenerare nella comunità ecclesiale la presenza del suo Figlio divino?

Credere nell’assunzione di Maria significa credere nella Pasqua, essere partecipi della Pasqua di Cristo ovvero di una salvezza eterna che Cristo ci ha offerto e che ognuno di noi è chiamato a conquistare portando la sua croce e confidando in lui. Nessuno ha confidato in Dio più di Maria, come appare evidente già dalle parole emblematiche da lei pronunciate nel “Magnificat”: “la mia anima magnifica il Signore”, cioè “proclama grande” il Signore, e desidera quindi, come spiega mirabilmente papa Benedetto XVI in una omelia del 15 agosto del 2005, “che Dio sia grande nel mondo, sia grande nella sua vita, sia presente tra tutti noi”. Sí, Maria non “ha paura che Dio possa essere un ‘concorrente’ nella nostra vita, che possa toglierci qualcosa della nostra libertà…Ella sa che, se Dio è grande, anche noi siamo grandi” e noi allora, con Maria, dobbiamo sforzarci di capire che in cielo potremo essere assunti, presi, accolti, solo se faremo sí che Dio sia grande nella nostra vita, in tutti gli ambiti e in tutti i momenti della nostra vita. Dio si fa piccolo con noi per essere accolto, custodito e amato, e l’uomo, che è realmente piccolo in sé, può farsi grande con Dio e vivere in lui e con lui per l’eternità.

Maria, spiega ancora il papa, proprio “perché è con Dio e in Dio, è vicinissima ad ognuno di noi, conosce il nostro cuore, può sentire le nostre preghiere, può aiutarci con la sua bontà materna”, per cui possiamo senz’altro “affidare tutta la nostra vita a questa Madre, che non è lontana da nessuno di noi”. Maria non ci è lontana, Maria ci è vicina, anche nel senso che, ancor prima di essere invocata, ella si mette già in viaggio verso chi si trova in difficoltà. Anche dal cielo continua ad essere in viaggio verso altri, proprio come aveva fatto in vita quando aveva lasciato la sua casa di Nazaret per andare dalla cugina Elisabetta, dagli sposi di Cana, a Cafarnao, al piano superiore della casa di Gerusalemme dove il Signore avrebbe istituito la santissima eucaristia, e infine al Calvario per attestare dinanzi al suo Figlio morente la sua totale fedeltà al suo unico Dio. Maria, ovvero la perfetta fusione di cielo e terra. Bellissimi sono quei versi di Davide Maria Turoldo: “Vergine, anello d’oro del tempo e dell’eterno, tu porti la nostra carne in paradiso e Dio nella nostra carne”. Ella, come noi, ha amato e continua ad amare con la stessa intensità il cielo e la terra, e nel paradiso di cui è regina “nulla di noi andrà perduto. Quella storia di fatica e d’amore che ciascuno di noi scrive mentre è nel corpo”, ha detto una volta un sacerdote, “è destinata ad entrare per sempre nel progetto di Dio, nella sua gloria”, ad essere per sempre valorizzata ed acquisita nella realtà celeste in cui potremo essere pienamente e perennemente felici.

E’ proprio cosí: “Dio non dimentica nulla di ciò che gli doniamo”, si legge in un’altra bella omelia, “raccoglie ogni lacrima, conserva nel cuore ogni nostra pena e riveste di luce ogni atto d’amore. Poi, al tempo stabilito, riunisce ogni cosa e, con questo materiale prezioso, modella la corona che ci offrirà, davanti al suo trono. Ha fatto cosí con Maria, farà cosí anche con noi”, naturalmente secondo il principio evangelico dell’unicuique suum. Certo, ci si può chiedere se noi possiamo vantare meriti al cospetto di Dio e la risposta è negativa se si prescinde dalla grazia che in modi e misura diversi egli dispensa ai suoi figli; ma è nelle aspettative stesse di Dio che questi ultimi acquisiscano meriti di retta conoscenza (consistente essenzialmente nella semplicità e nella nitidezza dei pensieri e della condotta), di sincero pentimento e di amore terso in virtù dei quali essi possano fiduciosamente ottenere il premio della vita eterna. E grazie a Maria, quella corona di vittoria che il Signore prepara sarà comunque splendida per tutti coloro che, in un modo o nell’altro, a lei si saranno affidati.

E’ evidente che lo stesso privilegio regale della nostra mamma celeste non dipende dai suoi meriti se per meriti intendiamo qualcosa che possa essere ascritto solo alle sue capacità umane, perché la fanciulla di Nazaret era ben consapevole di essere un nulla assoluto; mentre tale privilegio è certamente connesso ai suoi meriti se questi vengono fatti derivare proprio dal fatto che ella sia cosciente della sua infinita nullità e sia capace di concepire Dio, il suo amore e il suo favore, come dono per eccellenza. E infatti la maternità verginale in terra e in cielo di Maria è la conseguenza di questo dono inaudito, è l’effetto del riversarsi in lei della materna tenerezza del Padre. Con lo spirito di chi è letteralmente stupito ed incantato di fronte alla meravigliosa benevolenza di Dio Maria aveva pronunciato le celebri parole del “Magnificat”: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”. La prima di queste opere è l’essere stata riempita della grazia divina che l’avrebbe accompagnata e sostenuta durante tutta la vita terrena, la seconda è la sua misteriosa maternità divina, e l’ultima, di cui probabilmente ella ancora vivente quaggiù non seppe nulla, è la sua assunzione in corpo ed anima alla gloria celeste. La liturgia dell’assunzione di Maria canta appunto le grandezze che Dio ha fatto nella sua umilissima serva. Quando il 1° novembre del 1950 papa Pio XII proclamava il dogma dell’assunzione in cielo di Maria, la Chiesa di Cristo non operava distrattamente una riduzione della gloria di nostro Signore ma ne formulava un’ispirata e lodevole amplificazione. Una piccola donna era stata resa grande da Dio perché ella aveva reso grande Dio nella coscienza e nella storia degli uomini. Dio aveva glorificato Maria, perché Maria con la sua vita e la sua fedeltà aveva saputo e avrebbe saputo rendere gloria a Dio per l’eternità come nessun altro.

Madre, regina delle nostre anime e dei nostri corpi, nel giorno in cui ricorre la festa della tua assunzione in cielo alla destra di Dio, noi ti preghiamo: prendici per mano e portaci sempre più vicino a Gesù, alla sua infinita misericordia e alla sua eterna grazia. Amen.