Maria nella vita e nel pontificato di Giovanni Paolo II

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Basta cliccare sulla voce Giovanni Paolo II in “Wikipedia” per rendersi conto delle critiche mosse al suo pontificato e alla sua recente beatificazione. A prescindere qui dalla procedura d’urgenza voluta da Benedetto XVI in deroga alla normale procedura canonica e sembrata persino ad alcuni cardinali incomprensibile e troppo frettolosa (si pensi ai cardinali Martini e Danneels ma in parte anche ai cardinali Sodano e Sandri), di tali critiche mi sembrano totalmente infondate quelle relative alla posizione assunta dal papa sul ruolo delle donne nella società contemporanea, sul tema dell’omosessualità, sui casi di pedofilia nel clero; in buona parte infondate o non sempre pertinenti quelle relative al suo modo di affrontare talune spinose problematiche della banca vaticana dello IOR, alla sessualità e alla lotta all’AIDS, al suo rapporto sia con ambienti cattolici “progressisti” sia con ambienti cattolici “tradizionalisti”, a certo suo presunto autoritarismo sul piano morale e a talune sue tendenze interventistiche sul piano politico; parzialmente fondate quelle relative al suo modo di intendere il rapporto tra fede e cultura moderna e alla sua radicale presa di posizione contro la cosiddetta “teologia della liberazione” nonché alla sua mancata valorizzazione di una figura come quella di mons. Romero, mentre più degne di essere tenute in considerazione mi sembrano le accuse al papa rivolte per aver egli avuto un rapporto ambiguo o non completamente privo di ombre con dittatori come il cileno Pinochet o per aver voluto la beatificazione di figure molto controverse come quella di Josemaría Escrivà de Balaguer o del cardinale Alojzije Stepinac, che, si legge testualmente in “Wikipedia”, «fu vescovo di Zagabria imprigionato e lasciato morire in prigionia dopo la fine della seconda guerra mondiale del regime comunista di Tito con l’accusa di aver collaborato con gli occupanti nazifascisti e di aver appoggiato le conversioni imposte con la forza ai Serbi ortodossi ad opera degli Ustasha nel complesso di Jasenovac, un lager in cui avvennero numerosi stragi e il cui comandante era il frate Miroslav Filipovic-Majstorovic». Infine, ma probabilmente non è tutto, si può aggiungere la sottolineatura, forse un po’ maliziosa ma non per questo meno legittima soprattutto ai fini di un processo canonico di beatificazione, di una certa inclinazione del papa polacco a desideri sicuramente leciti ma altrettanto sicuramente non proprio ascrivibili alla categoria delle pratiche mistiche come quello di far costruire in Vaticano una piscina per uso personale o quello di concedersi lunghe passeggiate sulla neve con gli sci.

Ovviamente il quadro non sarebbe completo senza l’attentato subíto dal papa nel 1981 e il doloroso e significativo travaglio fisico e spirituale dei suoi ultimi anni di vita. Per quanto riguarda il primo, esso riveste una fondamentale importanza sia per quanto riguarda una valutazione del pontificato wojtyliano sia per quanto riguarda la vita stessa del pontefice non solo e non tanto dal punto di vista storico quanto dal punto di vista della fede, mentre la penosa e pubblicamente esibita malattia di Giovanni Paolo II costituisce una fedele rappresentazione di quel che non solo un singolo credente ma la Chiesa tutta è chiamata a testimoniare e a patire nel nome e per conto di Cristo.

Quell’attentato sarebbe stato sventato dalla mano di Maria pronta a deviare il proiettile che avrebbe colpito il papa sí da renderlo non letale. Si trattò di un miracolo: questo fu sempre il gratissimo e filiale convincimento di Karol Wojtyla, questo il convincimento dei cattolici, questo anche il mio personale convincimento basato su motivazioni intime e tuttavia pregnanti che in ogni caso non hanno mai potuto e non potrebbero mai scalfire il granitico scetticismo di chi credente o non credente non abbia mai fatto reale e vitale esperienza di quella silenziosa ma potente grazia divina che può consentire ad un uomo di vedere e capire misteriosamente quel che per via ordinaria non è possibile né vedere né capire.

Anzi, quello fu il vero miracolo del papa polacco, più che il miracolo riferito dalla suora francese (suor Marie Simon Pierre), come tale acquisito forse non incontrovertibilmente dai responsabili del Vaticano, e che è valso a conferirgli, com’è ormai noto, in modo forse non del tutto lineare, la beatificazione ecclesiale. Il vero miracolo è consistito nel fatto che, senza l’intervento della Madre di Dio, quel papa robusto ed atletico, cosí vigoroso e attivo sul piano intellettuale e pastorale, cosí capace di attrarre spesso folle quasi oceaniche e di far parlare i massmedia sempre di sé, sarebbe morto dopo appena tre anni dall’inizio del suo pontificato, cosí come il suo predecessore, papa Albino Luciani, molto più esile e delicato di lui, si era spento dopo appena trentatré giorni di pontificato.

Vero miracolo e nuova, grandiosa lezione divina: gli uomini del Signore, giovani o vecchi, forti o deboli, imponenti o fragili che siano, hanno tutti indistintamente bisogno del suo aiuto, del suo soccorso e della sua accondiscendenza senza cui nulla potrebbero operare e compiere anche se essi fossero pervasi o animati da intenzioni perfettamente nobili e sante. Nel caso specifico Dio avrebbe operato nel suo modo più viscerale, più istintivo, più creaturale, più materno: attraverso la creatura delle creature, attraverso il riflesso purissimo della sua tenerezza infinita, attraverso quel capolavoro della sua onnipotenza che si chiama Maria, la donna, la sposa, la madre di Dio stesso. E veniva cosí proprio allora esemplificandosi plasticamente quel concetto, relativamente inedito ma profondo e radicato in testi particolarmente ispirati della tradizione biblica, di un “Dio padre, anzi di più”, di un “Dio madre”, di cui aveva una volta parlato dalla finestra pontificia del palazzo apostolico papa Giovanni Paolo I.   

Del grandioso papato (come è stato spesso definito) di Wojtyla, senza l’intervento materno di Maria, oggi non avremmo quasi nulla, indipendentemente dal giudizio che su esso si voglia dare. Maria ha consentito a questo suo figlio di parlare al mondo, di mettere a fuoco aspetti centrali della dottrina cristiana con inusitato ardore, di operare in mezzo ai potenti e a masse di diseredati in tutte le parti del mondo, di conoscere momenti esaltanti e momenti di sconforto, di commettere presumibilmente anche degli errori e di abbracciare alla fine la croce anche in espiazione dei peccati dell’umanità e della Chiesa stessa.

Dio ha lasciato ancora una volta che Maria agisse nella storia, agisse ad un tempo come la vera e grande Madre dell’uomo Wojtyla e della Chiesa facendo in modo che l’uno e l’altra, forse anche al di là della loro consapevolezza, testimoniassero e celebrassero Dio non tanto attraverso dotte e solenni commemorazioni di natura teologica e liturgica, non tanto attraverso austere e pur necessarie puntualizzazioni dottrinarie al cospetto di un mondo caotico e confuso, non tanto attraverso una presenza talvolta trionfalistica nella storia degli uomini e un desiderio a tratti spasmodico di ottenere consensi popolari di tipo oceanico, né attraverso le gesta apparentemente straordinarie di un papato fastoso e spesso esaltato anche dal mondo, bensí attraverso una ritrovata coscienza della propria piccolezza in quanto uomini e in quanto comunità spirituale e religiosa che sappiano realmente mostrare al mondo come le grandi virtù evangeliche dell’amore, dell’umiltà, della preghiera, non valgano se semplicemente affermati ed esibiti ma solo se realmente vissuti, sperimentati, condivisi.

Maria, salvandolo da morte sicura, ha posto concretamente papa Wojtyla e con lui la Chiesa stessa nella condizione di capire nella propria carne il senso esistenziale più profondo e non meramente teologico della misericordia di Dio; Maria, consentendogli di proseguire ancora per molto tempo nel suo pontificato, nel tratto conclusivo della sua vita terrena, quello della grave malattia e della terribile sofferenza, gli ha dato poi la forza e il coraggio di testimoniare davvero sino alla fine l’eterno insegnamento di Cristo: che il valore di una vita come di un pontificato consiste nella loro effettiva capacità di farsi e sapersi “piccoli” attraverso una condivisione materiale e spirituale delle miserie e dei dolori del mondo.

Perciò, fermo restando che Giovanni Paolo II è stato un grande uomo di preghiera che, soprattutto nella e con la preghiera, ha cercato di difendere la dignità di ogni essere umano senza ridursi ad essere «mero combattente per ideologie politico-sociali» e dimostrando soprattutto con la sua infermità che «solo Cristo può salvare il mondo» (Bertone, Giovanni Paolo II, un uomo “che viveva di Dio”, in “Zenit” del 2 maggio 2011), il vero e forse unico miracolo della sua vita e del suo pontificato è stato quello da lui ricevuto da Dio attraverso Maria o grazie a Maria, quello che dovrebbe insegnare ad ognuno di noi e alla nostra amatissima Chiesa a non essere troppo frettolosi nel voler attribuire patenti di santità: sia per non anticipare troppo  il giudizio di Dio, sia per non rischiare di cadere inavvertitamente (e nonostante tanta brillante sapienza biblico-evangelica) nell’idolatria e nella facile autogratificazione personale, quasi dimentichi del monito giovanneo: «come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?» (Gv 5, 44).