Maria: comunicare con Dio, comunicare Dio

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Comunicare con Dio e comunicare Dio è il duplice compito del credente: se da una parte il nostro rapporto con Dio può essere assicurato solo attraverso la fede e la preghiera, dall’altra la proficuità di questo rapporto è strettamente connessa alla capacità spirituale di partecipare ad altri con parole ed opere quanto più possibile semplici e caritatevoli i doni più preziosi che il Signore abbia voluto elargirci. Fra questi doni uno particolarmente prezioso è certamente quello che si riferisce ad un’esperienza che molti vorrebbero fare, ovvero il sentire la voce di Dio, non beninteso un generico seppur doveroso e necessario ascoltarne la Parola ma proprio al percepirne sensorialmente la voce e parole espresse attraverso di essa. Se Dio si manifesta a qualcuno dei suoi figli e figlie anche con apparizioni e/o con locuzioni, bisogna stare molto attenti a non sprecare tanta grazia ed impegnarsi strenuamente per trasformare questo privilegio in un continuo quantunque difficile compito di glorificazione del Signore stesso con la propria vita.

Il primo desiderio, che è anche un profondo bisogno spirituale di riconoscenza verso Dio, che avverte un soggetto cui, nonostante tutti i suoi limiti, Egli si sia manifestato corporeamente o comunque sensibilmente, è di parteciparne la reale ed infinita misericordia ad altri, almeno a coloro che siano da noi ritenuti più pronti a ricevere il racconto della nostra esperienza di fede e a sentirlo e ad accoglierlo intimamente e gioiosamente come un ennesimo e veridico racconto di speranza e di amore divino. Questo fu lo stato d’animo in cui venne a trovarsi probabilmente Maria di Nazaret quando il Signore per mezzo dell’angelo le parlò preannunciandole che sarebbe diventata la madre del suo Figlio unigenito, titolare di un regno che non avrebbe avuto mai fine.

Ella avrà pensato: «è Dio che mi ha parlato, il Dio nel quale ho sempre creduto con la mente e con il cuore, il Dio onnipotente e misericordioso che ho imparato a conoscere sin da bambina attraverso i sacri libri e soprattutto attraverso la preghiera e una crescente consapevolezza interiore della sua meravigliosa presenza in tutte le realtà del mondo e della sua azione sapiente e provvidenziale in tutti gli avvenimenti della storia umana, il Dio che ha voluto manifestarsi ad una donna di umile condizione umana e sociale anche se innamorata di Lui e da sempre pronta a servirlo in ogni suo desiderio. Dio mi ha parlato e mi ha scelto come madre del Messia, di colui che scende dal cielo per incarnarsi come noi e tra noi, per salvarci e riportarci in cielo. Avverto una felicità incontenibile, al punto che non posso tenermela tutta dentro di me. Ma a chi potrò riferire quello che mi è successo, chi potrà credere, chi potrà gioire veramente con me, specialmente quando dovrò confidare che sto per rimanere incinta del Figlio di Dio solo per opera dello Spirito Santo? Potranno forse credermi i miei compaesani, i dotti e severi sacerdoti, i miei familiari che pure conoscono bene la mia incapacità di mentire o di confondere la realtà con situazioni puramente immaginarie, e persino il mio carissimo e amato Giuseppe che sarà inevitabilmente tentato di pensare che io abbia potuto rimanere vittima di una relazione illegittima o subire un qualche atto di violenza? A chi dunque potrò rivolgermi, con chi potrò confidarmi, a chi potrò liberamente comunicare Dio senza dover temere di non essere creduta e di essere scambiata per una semplice visionaria? Ecco, qualcuno con cui poter condividere questa gioia, c’è: è mia cugina Elisabetta che, come mi ha comunicato l’angelo del Signore, è a sua volta in attesa di un figlio che per la sua età avanzata non pensava più di poter avere».

Ora, quel che è accaduto a Maria, è accaduto e accade anche ad altri uomini e donne, sia pure in contesti storico-umani e spirituali diversi e nel quadro di progetti divini meno eclatanti di quello in cui la ragazza di Nazaret sarebbe stata prescelta come madre di Gesù Salvatore dell’umanità, e come per Maria anche per molti di coloro cui il Signore, inaspettatamente e senza investirli di missioni speciali, abbia voluto o voglia manifestarsi sensibilmente, una delle principali difficoltà di ordine psicologico-esistenziale è stata ed è quella che viene esprimendosi a volte in domande del seguente genere: «Il Signore mi ha parlato, non mi ha incaricato di nulla, né di fare delle cose particolari, né di svolgere determinati compiti, né di riferire alcunché a nessuno. Da peccatore ho gridato al cielo chiedendo che Dio mi ascoltasse e mi liberasse dal peccato e dall’angoscia del male da me commesso e Dio ha voluto dare un riscontro oggettivo a tale richiesta: mi ha fatto sentire la sua voce, mi ha rassicurato, mi ha invitato a confidare sempre e comunque nella sua misericordia anche e soprattutto nei momenti più difficili e dolorosi della mia vita. Il Signore mi ha consentito di comunicare con lui in questo modo cosí speciale, per soccorrermi ma verosimilmente anche per cambiare vita e per rendergli grazie con una vita quanto più possibile virtuosa e caritatevole, con una testimonianza non abitudinaria ma sempre nuova e sofferta di fede, in mezzo ai conflitti del mondo, ad iniquità e ad incomprensioni inevitabili. Il Signore non mi ha detto di render partecipe qualcuno di quel che mi è accaduto ma io sento ugualmente il bisogno di comunicare Dio, la sua reale presenza, il suo concretissimo amore per ognuno di noi e soprattutto per quelli che come me lo avevano per lungo tempo cancellato dalla loro vita. Sí, ma come fare, a chi raccontare questo fatto straordinario, chi mi crederà, chi mi prenderà sul serio, chi accoglierà la mia accorata domanda di servizio ecclesiale mettendomi nella condizione di essere utile alla comunità?».

Non è possibile dire quanti vengano a trovarsi, proprio come Maria, in una situazione del genere ma non è detto che siano pochissimi. In fondo è stato questo il caso di Zaccaria, di Giuseppe, di Paolo, di tanti santi che hanno conosciuto momenti in cui non sapevano con chi e a chi comunicare di aver comunicato realisticamente con Dio. E questo è, sia pure entro certi limiti, anche il caso di tanti individui assolutamente anonimi della storia umana, per nulla dotati di qualità carismatiche o accompagnati da segni prodigiosi, e anzi totalmente privi di un qualunque alone di mistica spiritualità, il cui destino è quello di non poter gioire con altri della grazia straordinaria loro concessa da Dio, di non poterla effettivamente o pienamente condividere persino con persone affettivamente vicine o con persone che per il loro specifico status religioso più di altre dovrebbero cogliere la veridicità e l’obiettività di quanto loro riferito, e di andare per contro alla continua ricerca di un’Elisabetta che li possa capire, confortare, rallegrare rallegrandosi a sua volta di cuore nel nome del Signore.

Al contrario essi, pur avendo comunicato e comunicando con Dio e avendo in animo di comunicare umilmente e onestamente Dio al maggior numero di fratelli e sorelle, hanno spesso in sorte di veder mutare paradossalmente la propria gioia in pena quotidiana. In pena quotidiana perché vorrebbero che la gente si fidasse della loro parola e della loro testimonianza e partecipasse costruttivamente della loro felicità mentre al contrario ne deve subire quotidianamente la diffidenza quando non anche una più o meno velata ostilità, ma in pena quotidiana che è anche e soprattutto un salutare e provvidenziale contrappeso al loro possibile e ricorrente spirito di superbia.

Tuttavia, Maria non lascia soli questi suoi figli nel loro sofferto stato di solitudine umana e sociale ma, ben conoscendone il profondo travaglio interiore, li aiuta, li sostiene, li conforta riproducendo continuamente in essi la gioiosa consapevolezza di essere amati da lei e da Dio stesso e di poter quindi rispondere generosamente e incondizionatamente ai progetti divini, anche quando, come ha detto recentemente papa Benedetto XVI, in essi siano «chiamati ad abbracciare la croce» (Benedetto XVI, Il coraggio della fede nel sì incondizionato di Maria, in “L’Osservatore Romano” del 2 giugno 2011).