Per cercare Dio

Scritto da Francesco di Maria.

 

Se si cerca veramente Dio non ci si può mai stancare di “cambiare nel proprio cuore, di praticare la giustizia e di lottare con Dio nella preghiera”. Anche se si continua ad inciampare, a sbagliare, a commettere ingiustizie, si può sempre tornare ad agire rettamente e ad adempiere il proprio compito di uomo secondo le proprie forze, solo che non si pensi di imbrogliare se stessi e il Signore e si continui a confidare appassionatamente nella sua misericordia, a pregarlo incessantemente e ad essere disponibili al discernimento e alla conoscenza per operare nel modo più santo possibile. Si è profondamente cristiani se innanzitutto, non ha importanza se scientemente o meno, si è acquisito non già uno spirito di adattamento ad una società iniqua o decadente ma “lo spirito della protesta, impersonato dai grandi profeti, contro la sostituzione del vero Dio con i molti idoli terreni e falsi della società”, e quindi con il potere, con la ricchezza, con il successo, con uno sfrenato edonismo e con un narcisistico culto di sé, e più in generale con una mentalità che rispecchi una subalternità magari non dichiarata a tutto ciò. Purtroppo, lamentava Abraham Heschel in un suo libro del 1955, benché la Bibbia sia una risposta a tutti coloro che vogliono sapere che cosa Dio chiede a noi tutti e si aspetti da noi tutti, l’ebreo moderno e l’uomo moderno in generale non possono più utilizzare quella risposta per il semplice fatto che non si pongono più la relativa domanda, e pertanto, disposti ad ascoltare soltanto la voce del proprio “io” sia pure attraverso molteplici e sofisticate razionalizzazioni, la voce divina finisce per essere estranea alla loro mente, al loro cuore, alla loro anima.

Forse questa era ed è una posizione legittima ma eccessivamente pessimistica, perché quanto più emerge l’“io” tanto più la sapienza divina costringe a percepirne prima o poi l’assoluta inconsistenza e fa sí che si continui a cercare Dio. Perciò l’uomo, anche senza saperlo, anche misconoscendolo o rinnegandolo, cerca sempre Dio, e Dio cerca sempre l’uomo, come dimostra la stessa storia della religiosità ebraica. Naturalmente questo cercarsi non garantisce l’incontro, ma garantisce certamente la tensione verso l’incontro, il bisogno dell’incontro. D’altra parte, anche il credente più sincero e devoto non può mai illudersi di aver stabilito un contatto stabile e definitivo con Dio, cosí come Dio, anche nel caso in cui si consegni a determinate sue creature in un modo particolarmente amorevole e travolgente, non pretende mai che incontro e contatto fuoriescano dalla possibilità di controllo e dalla libera scelta di quest’ultime. Tuttavia la sapienza di Dio, facendo talvolta irruzione nella storia ordinaria degli uomini per contrastarne o correggerne forme di sapienza superficiali e caduche, si lascia accogliere ed assimilare solo da coloro che, dotati di grande o piccola intelligenza, abbiano una mente pura ed un cuore semplice. Dio concede la sua sapienza agli umili, a chi, al di là di ogni predica omiletica o di ogni dichiarazione di principio, ha realmente coscienza di essere un nulla e non sa confidare che nel suo Padre celeste, a chi essendo ricco o potente capisce di essere spiritualmente povero e impotente e si comporta di conseguenza, a chi sapendosi misero chiede insistentemente di essere arricchito e rinvigorito dall’amore divino, a chi infine con genuino spirito di conversione e di penitenza è pronto a riconoscere che “il Signore è vicino a quanti lo invocano, a quanti lo cercano con cuore sincero” (Salmo 145).

Chiunque ricerchi con semplicità ed intensità la sapienza divina, prima o poi, in un modo o nell’altro, la troverà. Ma c’è di più: “Nulla… Dio ama se non chi vive con la Sapienza” (Sapienza 7,28), perché se “anche uno fosse il più perfetto tra gli uomini, mancandogli la tua sapienza, sarebbe stimato un nulla” (Sapienza 9,6), quantunque, beninteso, il Signore possa permettere di farsi ricercare anche “da chi non mi interrogava” e di farsi trovare “da chi non mi cercava” e possa ben riservarsi di dire “ ‘eccomi, eccomi’ a gente che non invocava il mio nome” (Isaia, 65,1). Può darsi viceversa che, divorati dalla saccenteria e dalla presunzione, ci mettiamo ad esaltare una sapienza divina che non conosciamo affatto e che non abbiamo adeguatamente sperimentato sul piano personale e questo è il modo migliore per allontanarsene definitivamente. Per “trovare”, cioè per essere ascoltati dal Padre, bisogna lasciarsi “trovare”, cioè bisogna “ascoltare” e lasciarsi coinvolgere dalla sua parola e dalla sua azione, senza servirsi strumentalmente ed incautamente dell’una e dell’altra, e poi naturalmente bisogna ancora “cercare”, ovvero chiedere e pregare, per amore oltre e più che per timore, nel nome del Santo. Il “cercare Dio” per i cristiani non ha tanto un significato intellettualistico quanto un significato affettivo: si cerca Dio non per stabilirne l’esistenza o la potenza ma perché si avverte il bisogno di amare, secondo ben precise modalità, la fonte stessa del nostro sussistere, e di essere da lui riamati in questo mondo e nell’altro.

 Clemente Alessandrino, che è il primo padre della Chiesa che tenta di far convergere la filosofia greca con la fede in Cristo, avrebbe chiarito che la ricerca intellettuale di Dio è del tutto legittima, anche se è evidente che, come probabilmente non sfugge allo stesso Clemente, una ricerca intellettuale di Dio che non si converta in una conseguente e coerente pratica di vita rende sostanzialmente sterile o inutile la fede religiosa. Un eminente teologo che parla sempre di carità e santità può anche essere incapace di carità e santità. Ma, fortunatamente, eminenti teologi si trovano anche tra “i semplici”, tra coloro che, sentendosi sempre alunni e mai maestri nella scuola di Dio, fanno propria la preghiera del salmo (119): “Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti e la seguirò sino alla fine. Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge e la custodisca con tutto il cuore”. Ciò che bisogna fare, da parte di chi sa di più e da parte di chi sa di meno, è ascoltare le parole di Cristo-Dio mettendole in pratica e metterle in pratica prima di riascoltarle, per evitare di essere simili a quell’ “uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia” (Mt 7,27). Ciò che bisogna fare, ancor più che credere in Cristo, è vivere di Cristo.   

(pubblicato in “La Provincia” il 12 luglio 2008)