Chi sono gli afflitti amati da Dio

Scritto da Francesco di Maria.

 

Biblicamente gli afflitti sono i miseri o i miserabili, i carcerati, gli schiavi, i perseguitati, gli oppressi e gli umiliati, i cuori spezzati di ogni specie. Sia a livello personale, sia a livello sociale, gli afflitti sono coloro che, contro la loro volontà e indipendentemente dalla loro condotta, sono soggetti o vanno incontro a realtà che procurano dolore. Tutti, indistintamente, sono nella misericordia di Dio, anche se gli afflitti senza colpa o con minore colpa o anche con la capacità di lottare strenuamente contro la propria inclinazione al male, e ci si riferisce qui a quello che i teologi chiamano “peccato attuale” distinguendolo dal “peccato originale”, sono seguiti con particolare trepidazione dal suo cuore paterno. Non è che Dio si disinteressi, giusto per esemplificare, a chi si dispera perché vorrebbe raggiungere e non può raggiungere posizioni di potere o di ricchezza, di notorietà o di maggiore prestigio sociale, non è cioè che Dio trascuri tutti coloro che, spiritualmente vuoti o intellettualmente arroganti, non si curano di lui e della sua volontà. Anche in questi casi egli concederà concrete possibilità di riscatto e di rinascita spirituale. Ma è del tutto evidente sul piano biblico che le sue premurose attenzioni e le sue promesse ristoratrici vanno innanzitutto a chi nella propria condizione di afflizione invoca ancora la sua pietà, il suo perdono, il suo amore e la sua giustizia o, quanto meno, avverte fortemente la nostalgia di Dio stesso, il bisogno istintivo o elementare della sua presenza; a chi, in altri termini, si sente irriducibilmente povero in rapporto a Colui che tale povertà può colmare e a lui si affida senza riserve.

Afflitti sono coloro che sono schiacciati dai diversi poteri del mondo: economico, politico, sociale, e talvolta (come nel caso dello stesso Gesù) anche religioso. Costoro, ancora prima che lo invochino, hanno dalla loro parte Dio, già pronto a soccorrerli e a consolarli, solo che essi alzino il loro sguardo angosciato verso di lui. Accanto ad ognuno di noi ci sono tante sofferenze: fisiche (come la malattia, gli handicap, la vecchiaia), morali (abbattimento, psicopatie, devianze), sociali (emarginazione, solitudine). Anche questi sono tutti casi di afflizione drammatica che ci chiamano ad una solidarietà concreta, senza rinvii, e non verbale, nel senso che, se ci commuovessimo di fronte ad una certa bellezza liturgica o a certi crocifissi artistici di legno, di marmo o di bronzo e restassimo indifferenti di fronte ai “crocifissi” vivi che incrociano quotidianamente il nostro passo, che sono seduti accanto a noi o sono troppo lontani da noi perché possa passare inosservata la loro assenza, noi tradiremmo Cristo e il suo vangelo.

Poi ci sono quindi, come si è appena finito di alludere, anche coloro che si addolorano per il male che c’è nel mondo e sono solidali con coloro che ne portano le conseguenze, con le persone che patiscono ingiustizie, gli emarginati, i discriminati, i dimenticati, sino a coloro che non vengono assecondati nelle proprie legittime aspirazioni e nelle proprie effettive capacità. Proprio cosí: gli afflitti sono anche, anzi sono soprattutto quegli uomini e quelle donne che, pur essendo soggetti alle privazioni e ai drammi cui tutti sono soggetti, hanno tuttavia la forza, propiziata dallo Spirito divino, di essere solidali con le persone provate dal dolore, condividendolo e battendosi al meglio per alleviarlo o eliminarne le cause. Chi si affligge per quanti sono in stato di bisogno, chi si dà da fare hic et nunc perché il mendicante che non ha un panino possa mangiarlo, chi potendo fa in modo che il connazionale o l’immigrato malato possa essere almeno visitato e il disperato possa essere rimesso in condizione di sorridere, chi gioisce con quelli che gioiscono allo stesso modo di come piange con quelli che piangono, chi infine soffre terribilmente perché nonostante ogni sforzo non sa come fare a fronteggiare le iniquità del mondo: ecco, costui è l’afflitto prediletto da Dio, è la persona che, come e più di ogni altra persona afflitta, viene “consolata” da Dio (beati gli afflitti, perché saranno consolati) e resa capace dal suo amore illimitato di consolare gli altri tutte le volte che ne abbia l’opportunità.  

Con-solare (cum-solus) significa infatti stare con chi è o si sente solo, isolato, lontano dagli altri, affinché non viva un dolore grande chiuso in se stesso, nella propria afflizione. Naturalmente, nessuno meglio del Signore può comprendere e condividere il dolore di chi è afflitto, chiede aiuto e ha bisogno di consolazione, ma è per questo stesso motivo che egli sta particolarmente vicino a quelle creature che si danno pena del loro prossimo senza alcuna falsità, ora visitando con discrezione, ora ascoltando di buon grado e senza interrompere o sorridendo con affabilità, ora anche rimproverando o esortando senza acrimonia e in spirito di verità, e sempre facendo proprie le pene dei sofferenti con atti semplici ma sinceri. Tuttavia, l’esperienza insegna che di creature siffatte non ce ne sono molte, e anzi accade che di consolatori umani ne abbiamo a decine quando non ci servono, mentre, quando ci servono o sarebbero veramente necessari, non se ne trova neppure uno. E, in ultima analisi, dunque, solo Gesù (che, angosciato prima e moribondo poi, soltanto il Padre suo celeste poté consolare), con il suo santo spirito, resta il consolatore sempre presente e sempre pronto a portarci una consolazione che non è di natura semplicemente emotiva e sentimentale. Come non ricordare quei bellissimi versetti del salmo 70: “Mi hai fatto provare molte angosce e sventure: mi darai ancora vita, mi farai risalire dagli abissi della terra, accrescerai la mia grandezza e tornerai a consolarmi”.

Ora, la consolazione più grande e salvifica che egli possa offrire è quella che fa scendere su quanti, pur capaci di amore e di gesti caritatevoli, si affliggono per i propri peccati, non si danno pace per le proprie colpe, per aver forse incrinato o macchiato il rapporto di amicizia e di affetto con Dio, soprattutto quando costoro siano individui cui Dio si è tangibilmente manifestato instaurando con essi un rapporto di fiducia e di speciale familiarità. Si pensi a Pietro e al suo pianto per aver rinnegato Cristo. Cristo ama proprio questo Pietro penitente, quest’uomo cosí roccioso e resistente e al tempo stesso cosí fragile e sensibile; ma si pensi anche alle lacrime di quei comuni esseri umani che, pur amando sinceramente Dio, devono ogni giorno rimproverarsi qualche debolezza, qualche infedeltà; lacrime sante di compunzione, dono dello Spirito Santo. Quando recitiamo l’atto di dolore noi diciamo significativamente: “mi pento e mi dolgo con tutto il cuore perché peccando…ho offeso te infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa”. E non meno significative sono le parole di Giacomo: “Gemete sulla vostra miseria, fate lutto e piangete…Umiliatevi davanti al Signore ed Egli vi esalterà” (Gc 4, 8-10). Si è sempre amati da Dio, ma quanto più si riesce a vivere evangelicamente, e quindi nell’ottica del regno di Dio, la propria condizione di afflizione, tanto più si è amati da Dio, si è “beati” nel suo amore. E la consolazione promessa appartiene in parte alla vita terrestre, in parte e in misura largamente preponderante al compimento escatologico. Per usare le parole di un profeta che precede cronologicamente Cristo e che naturalmente è ben presente al Salvatore: “Coraggio, figli, gridate a Dio, poiché si ricorderà di voi colui che vi ha provati. Però, come pensaste di allontanarvi da Dio, cosí ritornando decuplicate lo zelo per ricercarlo, poiché chi vi ha afflitti con tante calamità vi darà anche, con la salvezza, una gioia perenne” (Baruc 4, 27-29).