Giornalismo laico e giornalismo cattolico?

Scritto da Francesco di Maria.

 

Vittorio Feltri, noto giornalista indipendente del partito di Silvio Berlusconi, si è trasformato in questi giorni in un angelo vendicatore: Dino Boffo, direttore del giornale dei vescovi italiani ovvero di Avvenire, non era moralmente degno di dirigere il quotidiano cattolico, dal momento che si permetteva di censurare i “festini” altrui pur non potendo vantare una specchiata moralità ed appartenendo alla categoria degli omosessuali. Se viceversa, cosí ragiona Feltri, il giornalista cattolico non si fosse permesso di criticare pubblicamente il “privato” di Berlusconi e la sua politica sull’immigrazione, non sarebbe stato necessario attaccarlo e punirlo: come dire, chi di moralismo ferisce, di moralismo perisce. A Feltri, che molti definiscono un vero garantista, uno che non fa sconti a nessuno, uno che è laicamente libero da qualsiasi condizionamento, dispiace, dice lui stesso, di aver dovuto danneggiare un collega peraltro preparato dal punto di vista professionale, ma in realtà il suo vero obiettivo erano e restano tutti quei moralisti del PD e di certi giornali “democratici” (come “La Repubblica”) che, a suo giudizio, non potrebbero permettersi di fare i moralisti. Quindi il nuovo direttore di “Il Giornale”, anche lui evidentemente animato da accesi propositi moralistici (più che di sana moralizzazione, che è un’altra cosa), avrebbe inteso colpirne uno per educarne cento e per porre implicitamente sotto ricatto tutti coloro che non dovessero desistere dall’assolvere ipocritamente il proprio ruolo pubblico.

Ma bisogna aggiungere che il laico Feltri non ha esitato a sferrare il suo attacco anche contro quella Chiesa, forse colta di sorpresa in questo frangente, alla quale non si poteva perdonare di essersi scagliata contro Berlusconi che per essa sta facendo finanziariamente moltissimo: quindi, beninteso, non è che la Chiesa, peraltro molto divisa al suo interno, abbia sbagliato nel fare politica ma ha sbagliato nel fare politica contro il premier anziché mostrarsi verso di lui amichevole e riconoscente.

Non so se è chiaro: Feltri ritiene che il suo mestiere di giornalista non gli vieti in alcun modo di farsi paladino di una corrente politica e di suoi eminenti esponenti sino al punto di chiudere completamente gli occhi sui possibili vizi di quella corrente politica e soprattutto sui vizi picccoli e grandi di uomini che governano il paese. Per lui il giornalista non ha il compito di individuare criticamente elementi di debolezza e di debolezza morale in un partito, in una compagine politica o governativa, per dare eventualmente anche il suo contributo alla correzione di difetti, limiti, errori in una prospettiva di elevamento etico-civile dell’attività politica stessa; per lui invece il giornalista deve servire la verità, senz’altro, anche criticando e proponendo, ma nei limiti in cui questo servizio non nuoccia sostanzialmente agli interessi personali dei potenti di cui si sia amici e debitori.

Feltri non ha avuto la correttezza e la sensibilità morali e professionali di dire a Berlusconi: “guarda che stai sbagliando, perché un capo di governo, pur essendo un uomo limitato e imperfetto come tutti, non può permettersi certe bassezze, certe pratiche private deteriori che, se rivelate, avrebbero una evidente ricaduta diseducativa sulla società; guarda che non puoi permetterti cose del genere, anche se i tuoi avversari sono degli ipocriti matricolati”. Ma, al contrario, avallando tutte le sue porcherie (che tali restano

anche se lo scrivente malauguratamente dovesse essere peggiore di Berlusconi), ha trasformato la penna in una pistola sparando contro i molestatori più diretti del suo potente amico, senza preoccuparsi che, a causa di questi molestatori finisse per trovarsi coinvolta tutta la Chiesa.

E questo sarebbe giornalismo, questa sarebbe colta e intelligente laicità, questo sarebbe puro servizio al dovere di informazione e alla verità? Non so se abbiano torto coloro che non vedono alcuna sostanziale differenza tra questo comportamento, tra questo modo di intendere la propria professione e un generico comportamento delinquenziale. Ma non è da escludere che, se Feltri avesse potuto esercitare l’attività giornalistica ai tempi del tetrarca Erode, un altro che di “festini” se ne intendeva, non avrebbe tardato a chiedere e ad ottenere, prima della giovane e conturbante Salomé, la testa di Giovanni Battista, che ad Erode chiedeva non di lasciare il potere ma di non condurre una vita immorale.

Ma, intendiamoci: non è che, dall’altra parte, si sia fatto molto meglio. Anche se Dino Boffo fosse un omosessuale, e al momento non risulta, ciò non sarebbe in sé qualcosa di incompatibile con il mestiere che fa e con la carica di direttore di un giornale cattolico. La difficoltà, molto grave, sussisterebbe solo nel caso in cui egli sia stato dedito a pratiche omosessuali e anzi, se si vuole essere coerentemente cristiani, solo nel caso in cui, prima di ricoprire la carica di direttore di Avvenire e ancora ignaro dell’incarico che avrebbe ricoperto, non si sia sinceramente pentito davanti a Dio della sua condotta e abbia continuato a fare quel che faceva prima.

Per quanto possa sembrare cavillosa e capziosa, questa argomentazione in realtà è perfettamente in linea con l’esigenza cristiana di accogliere e non discriminare tutti quei fratelli peccatori ma capaci che abbiano tagliato onestamente i ponti con la loro storia di peccato e si siano messi anima e corpo al servizio della causa di Cristo e della Chiesa. Non so se ciò valga realmente per Boffo, ma questa possibilità riguarda anche lui. Se non fosse cosí, a molti cristiani riconosciuti santi bisognerebbe togliere la qualifica di santità. D’altra parte, anche l’eventualità che la Chiesa potesse essere informata delle ipotetiche inclinazioni personali di Boffo non è qualcosa che possa essere usato come capo di accusa contro la Chiesa stessa, perché questa non è affatto tenuta a divulgare o a rendere pubbliche questioni che riguardano l’intimità delle persone.

Il problema è un altro: che, nella Chiesa cattolica, anche giornalisticamente non si parla usando lo stesso linguaggio ma linguaggi diversi e contrastanti. E’ il caso di Gian Maria Vian, direttore del giornale della Santa Sede “L’Osservatore Romano”, il quale, nel momento stesso in cui ha manifestato la sua solidarietà al collega Boffo, gli ha inflitto un colpo quasi mortale, criticandolo per l’imprudenza che lo avrebbe portato ad entrare nelle questioni private di Berlusconi e a criticare aspramente la politica del governo sull’immigrazione.

Quindi egli cosí prosegue: «E’ vero, sulle vicende private di Silvio Berlusconi non abbiamo scritto una riga. Ed è una scelta che rivendico, perché ha ottimeragioni:.; il giornalismo italiano pare diventato la prosecuzione della lotta politica con altri mezzi. Segno che la politica, in tutti i suoi schieramenti, è piuttosto debole. Infatti da alcuni mesi la contesa tra partiti sembra svolgersi soprattutto sui giornali, che hanno assunto un ruolo non soltanto informativo, come mostrano le vicende anche degli ultimi giorni; in genere, il quotidiano della Santa Sede oggi non è solito entrare negli scontri politici interni dei diversi Stati, a cominciare dall’Italia. Preferiamo dedicarci ad analisi di ampio respiro, piuttosto che seguire vicende molto particolari, controverse e di cui spesso sfuggono i contorni precisi, come quelle italiane degli ultimi mesi:» (intervista di A. Cazzullo, Vian: rivendico di non aver scritto sulle vicende private del Cavaliere, in “Il Corriere della Sera”, 31 agosto 2009). Si preoccupa infine di precisare che «i rapporti tra l’Italia e la Santa Sede sono buoni. Berlusconi è stato il primo a chiarire che non sarebbe andato a Viterbo per la prossima visita del Papa, quando ha capito che la sua presenza avrebbe causato strumentalizzazioni: Nelle relazioni tra Repubblica Italiana e Santa Sede non cambia nulla» (Ivi).

Senza entrare nel merito delle tesi e delle posizioni pur discutibili di Vian, ci si chiede: come può un cristiano esprimere pubblicamente un dissenso cosí pesante rispetto a un fratello che preferisce impostare diversamente il proprio lavoro, proprio nel momento in cui gli manifesta la propria vicinanza morale? E’ come se gli dicesse: “forza, io ti sono vicino, vai avanti”. E subito dopo aggiungesse in presenza di tutti: “però il tuo lavoro potresti farlo anche meglio, per esempio come lo faccio io; potevi pensarci a non fare danni, a non provocare l’ira dei potenti, e soprattutto a non compromettere i rapporti di amicizia e di interesse tra lo Stato e la Chiesa”. Due sono i casi: o Vian non si rende conto di quel che dice e di come lo dice, oppure confonde la perfidia e la viltà con la franchezza fraterna. Penso che, in entrambi i casi, sia censurabile moralmente ed interpreti in modo pessimo il suo ruolo di giornalista cattolico e, ancor più specificamente, di giornalista pontificio.

Il cristiano dev’essere prudente, ma dev’essere anche candido, cioè chiaro, sveglio, onesto, coraggioso. Non so se Boffo abbia queste qualità tipicamente cristiane ma, con altri giornalisti cattolici magari migliori di lui, ha certamente il diritto di esprimere il suo pensiero, le sue valutazioni, i suoi giudizi di ordine morale oltre che politico, anche se prendendo posizione sulle questioni volta a volta esaminate e non invece, come suggerisce il suo collega, astenendosi dal dire e dallo scrivere cose che potrebbero dare fastidio ai potenti di turno non necessariamente perché false ma probabilmente solo perché gravi. Vian segua la sua coscienza; alla fine, come ben sa, sarà Dio a giudicare l’operato di ognuno di noi. Vian veda di immettere un po’ più di passione nel giornale pontificio da lui diretto e non ne faccia solo una rivista bella e ordinata, formalmente irreprensibile e inattaccabile ma incapace di scaldare i cuori e di scuotere veramente le coscienze. Chi ascoltava Cristo si sentiva mettere in discussione e si sentiva riscaldare il cuore d’amore, ovvero di passione bruciante per la verità e di un incontenibile spirito di giustizia. Chi ascoltava Cristo era anche uno che proprio per questo, non amando né il rischio né la neutralità, prima o poi si trovava per forza coinvolto suo malgrado in qualche situazione sgradevole.

Il giornalismo cattolico è o dev’essere un giornalismo obiettivo, lucido e razionale, ma è e non può non essere anche un giornalismo “partigiano”, come lo è quello realmente laico rigorosamente dipendente da un principio di schietta e aperta razionalità critica, perché non è affatto vero, oggi come ieri, che essere dalla parte di Cristo significa non solo essere pronti ad amare tutti ma anche essere dalla parte di tutti.