L'umiltà secondo santa Teresina di Lisieux

Scritto da Eugenia Grandi on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Pare che santa Teresina di Lisieux abbia detto una volta: «se un fiorellino potesse parlare, direbbe, con gran semplicità, ciò che il Signore ha fatto per lui e non cercherebbe di nascondere i benefici divini. Per falsa modestia, non direbbe: “Sono sgraziato, non ho profumo, il sole ha portato via il mio splendore, la bufera ha infranto il mio stelo” quando riconoscesse in sé tutto il contrario» (Storia di un’anima, Manoscritto A, 10). Queste parole diceva per sottolineare come non fosse assolutamente possibile identificare l’umiltà con il disprezzo delle qualità o dei talenti dati ad ognuno di noi dal Signore e come talvolta si incorra nel terribile errore di scambiare per umiltà quel che altro non è se non falsa modestia o comunque una patologica percezione della propria identità personale.  

L’umiltà non comportava affatto, per la santa di Lisieux, il dover alterare la realtà dei fatti: umile, per esempio, non è certo chi dice di non saper suonare mentre è abilissimo in tale attività artistica o chi dice di non saper spiegare dopo aver mirabilmente coinvolto le menti e lo spirito di generazioni e generazioni di studenti. La falsa modestia, la falsa umiltà sono pericolosi e sempre in agguato come lo sono la presunzione e la superbia nelle loro forme più evidenti. La piccola Teresa era ben consapevole dei doni ricevuti da Dio, anzi, per usare di nuovo le sue parole, del fatto che l’Onnipotente avesse fatto «grandi cose nell’anima di colei che è figlia della sua divina Madre, e la più grande è di averle mostrato la sua piccolezza, la sua impotenza» (Ivi, Manoscritto A, 274).

Cosí ella intendeva chiarire che si comincia ad essere umili proprio con il riconoscere i beni di natura e di grazia che possediamo e anche quelli che sono frutto del nostro spirito di intraprendenza quando sia rivolto al bene e principalmente al bene del prossimo. Se un siffatto riconoscimento avviene senza voler maliziosamente o invidiosamente sminuire le altrui oggettive capacità e solo per rendere sinceramente grazie a Dio, allora si può essere ragionevolmente ed evangelicamente certi che si è sulla via dell’umiltà: chi si vanta, dice san Paolo, deve vantarsi sempre nel Signore (1 Cor 1, 31) e quindi secondo modalità che al Signore siano gradite.

E’ proprio quello che fa Teresa che, mentre scrive la storia della sua anima e fa l’elenco delle grazie ricevute da Gesù, chiama sia i beni ricevuti sia le buone azioni da lei stessa compiute semplicemente “grazie” e “misericordie del Signore”, riprendendo cosí sostanzialmente la celeberrima preghiera mariana del Magnificat: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore perché ha fatto grandi cose in me l’Onnipotente e santo è il suo nome. Egli ha guardato all’umiltà della sua serva».

In effetti, come tutti i grandi santi, anche Teresina ha avuto sentimenti di profonda venerazione verso la madre di Gesù, vivendo intensamente e descrivendo il suo rapporto filiale con lei. Il suo testamento spirituale è un testamento mariano e consiste in una composizione poetica di 200 versi intitolata “Perché ti amo, o Maria”. Come ha ben scritto don Mario Scudu: «La Maria di Teresa è quella che viene fuori dai vangeli “mortale e sofferente” come noi, vicina ai suoi figli anche “deboli e peccatori”, capace di “tacere e di nascondersi” umile donna tra le donne di Nazaret. Una Maria capace di “gioire e di piangere”, tutta occhi e sollecitudine materna come a Cana, che si mescola alla povera gente che va ad ascoltare suo Figlio, senza reclamare il privilegio della prima fila. Una madre coraggiosa e fedele nel proprio amore e dedizione alla causa del Figlio, fino a seguirlo ai piedi della croce. Nel proprio dolore condivideva il suo dolore. Una madre molto terrena quindi, vicina a noi nella vita di ogni giorno. Una madre premurosa non una regina solenne, una sorella più che una sovrana. Una come noi, ma nello stesso tempo ben più di noi: da amare più che da ammirare. Da imitare e seguire nella nostra vita, non solo da esaltare nelle celebrazioni e processioni. Questa è la Maria di Nazaret che Teresa trova nei Vangeli. Ella l’ha sentita vicina tutta la vita, cominciando dal primo “sorriso” che ricevette dalla Madonna, nel 1883, quando era ancora bambina e malata. Si ritrovò guarita. Maria le è stata vicina tutta la vita ma particolarmente nella “notte oscura” che dovette attraversare e nella malattia finale».

La particolare vicinanza di Maria avrebbe sempre mitigato le sue sofferenze e potenziato il suo bisogno di amore. Ed è proprio per questo bisogno dilatato a dismisura di amare il Cristo e di personale donazione spirituale che Teresina non ebbe paura di scrivere: «Sento la vocazione del sacerdote. Con quale amore, Gesù, ti porterei nelle mie mani quando, alla mia voce, discenderesti dal Cielo! Con quale amore ti darei alle anime! Ma, pur desiderando di essere sacerdote, ammiro e invidio l'umiltà di san Francesco d'Assisi, e sento la vocazione d'imitarlo, rifiutando la dignità sublime del sacerdozio. Gesù! Amore mio, vita mia, come conciliare questi contrasti? Come attuare i desideri della mia povera piccola anima? Nonostante la mia piccolezza, vorrei illuminare le anime come i profeti, i dottori, ho la vocazione di essere apostolo. Vorrei percorrere la terra, predicare il tuo nome, e piantare sul suolo infedele la tua Croce gloriosa, ma, o Amato, una sola missione non mi basterebbe, vorrei al tempo stesso annunciare il Vangelo nelle cinque parti del mondo, e fino nelle isole più remote. Vorrei essere missionaria non soltanto per qualche anno, ma vorrei esserlo stata fin dalla creazione del mondo, ed esserlo fino alla consumazione dei secoli. Ma vorrei soprattutto, amato mio Salvatore, vorrei versare il mio sangue per te, fino all'ultima goccia» (Storia di un’anima, Manoscritto B, 251).

Certo, ella sapeva che l’umiltà non si acquisisce, se si acquisisce veramente, una volta per sempre, perché in realtà bisogna conquistarla e chiederla a Dio quotidianamente. Cosí, nel concludere una bella preghiera composta per una sua consorella al fine di ottenere l’umiltà, ella si esprimeva in questi termini: «Voi…, o Signore, conoscete la mia debolezza: ogni mattino prendo la risoluzione di praticare l'umiltà e alla sera riconosco che ho commesso ancora ripetuti falli di orgoglio. A tale vista sono tentata di scoraggiamento; ma capisco, anche lo scoraggiamento è effetto d'orgoglio. Voglio quindi, mio Dio, fondare la mia speranza su voi solo: giacché tutto potete, degnatevi di far nascere nell'anima mia la virtù che desidero. Per ottenere questa grazia dall'infinita vostra misericordia, vi ripeterò spesso: “Gesù, mite ed umile di cuore, fate il mio cuore simile al vostro!”» (16 luglio 1897).