Potenza e umanità in Maria di Nazaret

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Non sono affatto d’accordo con chi pensa che la tradizione mariologica e devozionale del passato, prevalentemente rivolta a sottolineare la perfezione, la potenza e la quasi-divinità di Maria, oggi non sarebbe più utilizzabile da parte di chi voglia evidenziare piuttosto la crescita spirituale di Maria e l’evoluzione o la faticosa maturazione della sua fede. Come si potrebbe comprendere il travaglio spirituale di Maria con le sue reazioni e i suoi limiti umani, ci si chiede talvolta, proponendone  un profilo cosí alto e perfetto, un’immagine ben al riparo dalle comuni incertezze e debolezze umane? Come si potrebbe sentire Maria “vicina” a noi tutti muovendo dal presupposto che ella fosse una creatura perfetta sin dall’origine? E come potrebbe essere assunta come modello per la vita religiosa o di fede una persona che in fondo non dovette compiere alcuno sforzo particolare per vivere sempre con grande fede la propria vita? In fondo la figura di Maria non fu “relativizzata” evangelicamente proprio dalle parole di Gesù?

Si tratta, in realtà, di un falso problema, perché il vero problema è quello di sapere chi fosse e cosa dovesse essere Maria di Nazaret (ma lo stesso discorso vale per ognuno di noi) nella mente e nel progetto originario di Dio. Maria doveva essere l’altra Eva, l’altra possibilità o opportunità della creazione divina, la donna alternativa al modo di essere della donna Eva, la compagna e la collaboratrice dell’uomo capace di restare creatura e collaboratrice obbediente e fedele di Dio. Maria ha la stessa corporeità, le stesse caratteristiche psicologiche di Eva, la stessa umanità, la stessa intelligenza e la stessa sensibilità di Eva, lo stesso desiderio di felicità e di felicità eterna.

La differenza sta nel fatto che Eva viola la legislazione divina insieme ad Adamo per eccessivo amor di sé e rompe l’alleanza con Dio, mentre Maria non è capace di desiderare alcunché se non nei limiti del suo amore verso Dio e dell’amore di Dio verso di lei e di gioire se non in accordo alla volontà di Dio stesso. Per questo Maria, riflesso purissimo della misericordia divina, accoglie ed esegue fedelmente la volontà del Padre che è quella per cui proprio lei collabori al riscatto di quella prima forma di umanità perduta, al riscatto dell’umanità ferita e malata a causa di quel peccato originale, alla redenzione dal male e alla risalita dolorosa ma purificatrice del genere umano verso Dio. Maria accoglie ed esegue fedelmente il progetto divino, anche se con timore e strada facendo con una certa inquietudine che è propria dell’essere umano sottoposto a prove frequenti e durissime, a cominciare dal concepire dentro di sé, nel proprio corpo e nella propria mente, per mezzo dello Spirito Santo, il Figlio stesso unigenito di Dio, perfetto prototipo dell’umanità appena uscita dalle mani di Dio e artefice della salvezza integrale dell’umanità medesima nel quadro di un programma escatologico che ha il suo punto più alto nell’avvento del Regno di Dio già su questa terra e nella sua compiuta esplicazione sotto altri cieli e in una nuova terra

Dove però, si badi, la cooperazione di Maria a tale programma soteriologico ed escatologico non è affatto scontata e indolore, perché al contrario essa, pur favorita e sostenuta dall’Alto, dipende in buona parte dall’impegno, dalla fatica, dal sacrificio di Maria, dalla sua coraggiosa e caritatevole disponibilità ad andare sino in fondo malgrado ogni delusione, ogni sofferenza, ogni fallimento e forse persino oltre ogni tentazione di cedere alla disperazione. Dunque Maria, nel nome e nel segno di una “vita eterna” che è di là ad attenderla, non smobilita affatto né se stessa né gli altri uomini e donne dalle lotte durissime per la vita di questo mondo ma al contrario si preoccupa, in virtù dell’insegnamento di Cristo, di cominciare a rendere questa nostra terra reale “più abitabile”, secondo quanto auspicato da Nietzsche proprio in polemica con l’aspirazione cristiana a perseguire secondo lui fini spirituali purissimi ovvero unicamente le cose del cielo.

Anche Rousseau pensò a torto che quello cristiano fosse uno spiritualismo all’acqua di rose e nell’ultimo capitolo del “Contratto sociale” scrisse infatti «la patria del cristiano non è di questo mondo. Certo, compie il suo dovere, ma lo compie con una profonda indifferenza sulla buona riuscita o meno della sua opera. Purché non abbia nulla da rimproverarsi, non gli importa molto che tutto vada bene o male quaggiù... La cosa essenziale è d’andare in paradiso; la rassegnazione è un mezzo ulteriore per raggiungere lo scopo».

Niente di più falso, perché, pur essendo verissimo che la patria del cristiano non sia di questo mondo, chi segue Cristo non può affatto esimersi dal dovere di operare il bene anche in questo mondo e tra gli accadimenti di questo mondo al meglio delle sue possibilità morali e non può concedersi di essere disinteressato o indifferente al fatto che quaggiù le cose vadano bene piuttosto che male dal momento che non ignora come un giorno sarà chiamato a render conto di tutte le sue azioni e persino di tutti i suoi più reconditi pensieri. La cosa essenziale, alla fine, è certamente di andare in paradiso, qualunque cosa succeda nel mondo e nel corso del nostro cammino, ma questo non toglie che il cristiano non sia tenuto a distinguere rigorosamente tra vero e falso, tra giusto e ingiusto, tra amore e indifferenza, tra necessario e futile, tra virtuoso e vizioso, e non sia tenuto ancor più rigorosamente ad agire in funzione della verità, del bene, dell’amore caritatevole e solidale, della giustizia e via dicendo secondo i significati evangelici di questi termini.

E, quanto “ai nuovi cieli e alla nuova terra”, come ha ben spiegato il teologo padre Lino Pedron, noi cristiani «dobbiamo dichiarare senza ambiguità che il mondo sarà totalmente compiuto solo quando sarà completamente sotto la signoria di Cristo risorto e l’uomo nascerà definitivamente solo quando entrerà nella risurrezione. Nulla di quanto Dio ha creato sarà distrutto perché "Dio ha creato tutto per l’esistenza" (Sap 1,14); non sostituirà i cieli e la terra attuali con altri cieli e un’altra terra; ma questi cieli e questa terra saranno trasformati. Il nostro mondo materiale, creato per l’uomo, partecipa al suo destino. Esso, maledetto a causa del peccato dell’uomo (Gen 3,17), si trova attualmente in una situazione violenta sottomesso alla caducità e alla schiavitù della corruzione. Ma come il corpo dell’uomo è destinato alla gloria, così anche il mondo sarà oggetto di redenzione e parteciperà alla libertà dello stato glorioso (cfr Rm 8,19-23). La filosofia greca voleva liberare lo spirito dalla materia considerata come cattiva; la risurrezione libera lo spirito e la materia», il che significa tra l’altro che la risurrezione libererà da ogni parzialità, da ogni imperfezione e da ogni impurità tutte le realtà mentali, psichiche, fisiche, materiali, morali, comunitarie e spirituali in senso lato (e si potrebbe aggiungere estensivamente economiche, sociali, politiche e via dicendo) di questo nostro mondo terreno alle quali anche noi in un modo o nell’altro avremo concorso assumendoci ogni volta la responsabilità dei nostri atti e delle nostre intenzioni di fronte a Dio.

Dio, allora, coronerà gli sforzi dell’uomo ma l’uomo non abiterà nella celeste terra di Dio se non avrà compiuto i suoi sforzi a favore della verità e della giustizia divine. E’ dunque inutile pregare Maria se non si condivide consciamente o inconsciamente il suo Magnificat, la lode più esaltante e compiuta che mai sia stata elevata a Dio da creatura umana e al tempo stesso una insuperabile dichiarazione d’amore, e perfettamente in linea con la buona novella di Cristo, per un’umanità sofferente e mortificata nei suoi bisogni essenziali e nelle sue legittime aspettative.

Sulla figura di Maria, indubbiamente, incombe a tutt’oggi il mistero perché essa rimane pur sempre avvolta dall’ombra e nell’ombra dello Spirito Santo. Ma non si può non affermare, per quanto sopra detto, che ella fu creatura perfetta non in senso meccanico ma nel senso che fu dotata ab aeterno di una spiccata attitudine alla perfezione e che questa attitudine riuscì ad esplicare vita natural durante sino a conseguire uno stato di perfezione per grazia di Dio; che tale perfezione prima potenziale e poi attuale fu frutto di lavoro, di fatica, di sacrificio, di sforzo sempre rivolto al bene e al rispetto della volontà divina e che, proprio per questo, ella può e deve essere sentita particolarmente vicina a noi e alle nostre necessità materiali e spirituali. Infine, se per tutto quello che ha patito durante la sua vita terrena ivi compresa l’amarezza forse derivatale qualche volta dalle parole di suo figlio apparentemente tese a sminuirne l’importanza, per i servizi straordinariamente importanti da lei resi a Dio, per l’umilissima disponibilità dimostrata a diventare veramente madre di semplici uomini e donne pur avendo in precedenza ricevuto il privilegio di essere Madre dell’unico e vero Dio, se per tutto ciò Dio ha voluto renderla potente e divina quasi quanto se stesso, questo non solo non è impossibile e non può dispiacerci ma può solo alimentare la nostra duplice speranza di avere in lei una formidabile alleata presso Cristo e presso Dio e di poterle chiedere fiduciosamente che la nostra fede possa evolversi e giungere a maturazione, come accadde per la sua fede, nel quadro imprescindibile di una vita generalmente segnata non solo o non tanto da momenti lieti ma soprattutto da affanni e da momenti molto drammatici.