Maria tra eretici e femministe

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Quando Gesù dice di lasciare alla Chiesa il potere di sciogliere e di legare (Mt 16, 18-19), intende dire soprattutto questo: “molti cercheranno di appropriarsi indebitamente del mio insegnamento, di forzarne determinati aspetti o di trascurarne altri; molti tenteranno di alterare il messaggio evangelico manomettendone o rivedendone punti essenziali per rendere lecito ciò che è illecito e per fare apparire insensate o irrazionali cose che sono state volute realmente e sapientemente da Dio. Io dò solo alla mia Chiesa, costituita sull’autorità petrina, e non ad altri gruppi o ad altre chiese, ogni potere di emendare sia insegnamenti e vincoli dottrinari sia proibizioni e censure, ogni facoltà di stabilire cosa sia conforme al vangelo o da esso difforme, di approfondire liberamente ma rigorosamente ogni precetto e ogni parola che vi sono contenuti e di porre limiti ben precisi e invalicabili a commenti o ad interpretazioni manifestamente infondati dal punto di vista scritturale oppure carichi di significati estranei e persino antitetici allo spirito e alla lettera del mio messaggio salvifico. A tutto ciò che contribuirà ad evidenziare la ricchezza spirituale della ‘buona notizia’ non opporrete alcun divieto e lo accoglierete tra le legittime e sante articolazioni critico-teologiche del depositum  fidei custodito e trasmesso dagli apostoli ai loro diretti successori (per cui sacra Tradizione e sacra scrittura ‘costituiscono un solo sacro deposito della Parola di Dio affidato alla Chiesa’, come recita il documento della “Commissione teologica internazionale” del 29 novembre 2011), mentre dovrete respingere come falso o arbitrario ogni tentativo teologico di snaturarne il vero ed originario significato e diffidare di forme troppo sofisticate e cavillose di sapienza umana che ne riducano o ne distorcano il senso e il valore”. Grosso modo questo intese dire Gesù.

Bisogna dunque sciogliere, assolvere tutto ciò che è secondo verità e carità, ma bisogna legare, impedire, contrastare tutto ciò che è secondo negligenza o empietà. Lo stesso sacramento della confessione o riconciliazione trova qui, in queste parole profetiche, sempre inattualmente attuali e certo non semplicemente volte a prefigurare burocraticamente quella che sarebbe stata poi la struttura gerarchica della Chiesa, il suo fondamento. Gesù sapeva benissimo che il suo vangelo sarebbe stato oggetto di infinite e inutili controversie, di interpretazioni unilaterali o capziose, di tesi riduttive o fuorvianti. E, in effetti, la storia della Chiesa è anche la storia di una lotta continua e quasi sempre corretta e ispirata della Chiesa contro movimenti o posizioni ereticali volti a minare l’integrità della fede in Cristo e in tutto ciò che tale fede viene implicando.

Anche oggi il mondo cattolico è attraversato da venti ereticali che la Chiesa si sforza giustamente di non trascurare per evitare che possano poi trasformarsi in vere e proprie tempeste ereticali capaci di creare danni irreparabili alla comunità cristiana e cattolica. E, benché proprio per questa sua permanente e martellante attività di vigilanza, molti ritengano di doverla accusare di autoritarismo che infrangerebbe tra l’altro il pluralismo della ricerca teologica, essa non fa altro, sia pure talvolta con limiti ed errori, che ottemperare alla volontà di Cristo. In particolare sulla figura della Madre di Dio continuano ad essere espressi giudizi francamente erronei e destituiti di attendibilità biblico-evangelica nonostante l’opposta e pretenziosa opinione dei loro formulatori.

Si pensi, per esempio, a quel che sostiene su Maria di Nazaret un noto ed inquieto teologo cingalese di Sri Lanka, padre Tissa Balasuriya, in un testo del 1990 pubblicato in “Logos” (n. 29, fasc. 1-2) con il titolo Mary and human liberation in cui già si mette in discussione il dogma del peccato originale e quello dell’azione salvifica di Cristo (vale a dire il dogma per cui la salvezza passi esclusivamente attraverso Gesù Cristo e la Chiesa cattolica). Si legge testualmente: «Questa Maria “immacolata” ha bisogno di essere liberata, per essere veramente umana. Ciò è necessario per comprendere la sua vita, le sue lotte e le sue angosce. Altrimenti avremmo una sorta di Maria disidratata, una che non può sentire altra attrattiva se non il bene». L’argomentazione è che «se Maria è immacolata nel senso che non ha macchia di peccato o tendenza ad esso, come può meritare alcunchè? Come può dirsi virtuosa? Come è lontana dall’essere imitata e seguita! Che donna è questa che non può essere tentata al peccato? Perfino Gesù fu tentato. Questa Maria non ha debolezze, non è fallibile: è in stato di giustizia originale».

Dove ovviamente è appena il caso di evidenziare come la non soggezione di Maria al peccato originale non l’avrebbe sottratta, al pari di Gesù, né alle tentazioni reali di una vita sempre esposta ad insidie e a pericoli di ogni genere, né alla dolorosa e lacerante fatica di dover convivere e interagire su questa terra con creature molto meno capaci di lei di resistere all’ordinaria peccaminosità attuale perché di lei più vulnerabili anche a causa del peccato originale.   

Maria, secondo questo teologo le cui posizioni sono condivise ancora oggi, non sempre apertamente, da altri teologi “cattolici” (non allontanati dal ministero sacerdotale, e ci si chiede come mai), non può essere resa grande nella Chiesa semplicemente attribuendole «qualità disumanizzanti». Può essere definita perfetta una madre che non senta alcuna attrazione per la sessualità? E’ proprio vero che la sua indifferenza al sesso la renderebbe più perfetta delle donne e degli uomini comuni? E’ meglio per Maria essere “immacolata” o “essere umana come tutte le altre donne”? E’ meglio una madre vergine che una madre ordinaria come tutte le altre? E’ possibile che Gesù, per privilegiare sua madre, non l’avrebbe resa integralmente partecipe della condizione umana? Che male c’è nell’essere madre in modo normale, dal momento che il Creatore ha cosí voluto? La nascita verginale non è forse una elaborazione teologica, sviluppatasi in un ambiente in cui la sessualità umana, il corpo umano e le donne erano considerate inferiori o non abbastanza onorevoli per Dio? E la stessa “perpetua verginità di Maria”, per il teologo asiatico, è un insegnamento dogmatico privo di basi convincenti, una semplice credenza tradizionale connessa al dogma del peccato originale e all’ideologia della dominazione maschile.   

Siccome Gesù non poteva essere contaminato dal peccato originale, si escogitò da parte della Chiesa il mito dell’“immacolata concezione”, la quale garantiva la non soggezione del Cristo al peccato originale da parte di madre, mentre la sua nascita verginale aveva la funzione di  preservarlo da esso anche da parte del padre.

Naturalmente, Balasuriya non viene neppure lontanamente sfiorato dal dubbio che a buona parte almeno di queste domande sia possibile dare delle risposte precise e adeguate. Per lui, in definitiva, la Chiesa, nel corso dei secoli, venne sempre più insistendo sulla asessualità di Maria, sul suo essere refrattaria alla comune sensibilità sessuale, solo perché fosse possibile sostenerne l’assoluta santità e sostenere l’assoluta santità di coloro, come Gesù e in parte lo stesso Giuseppe, le cui vite si sarebbero profondamente intrecciate con la sua. Ma in tal modo, si chiedono Balasuriya e compagni, Maria non cessa di essere una madre come le altre? Il ruolo di Giuseppe non è solo quello della comparsa in uno scenario risplendente di divinità ma molto povero di umanità? E la sessualità non esce da questa storia come una realtà sostanzialmente malefica da cui più ci si guarda e meglio è? E non sorge il sospetto che da tanta immacolatezza di condizione umana e di parto potesse venire al mondo solo un salvatore non del tutto pronto o predisposto a condividere i moti passionali più intimi e violenti della natura umana? Non è forse vero che il pregiudizio antisessuale avrebbe non poco caratterizzato la spiritualità tradizionale della Chiesa e la disciplina da essa impartita in materia morale? E quali motivi di conforto potrebbero trovare due coniugi nella “sacra famiglia” visto che in essa nessuna forma di impurità poteva far breccia?  

Balasuriya, che tuttavia, indipendentemente dalle motivazioni da cui muove, pone qua e là questioni non fittizie e non prive di significato, si ribella a tutto questo, perché secondo lui Maria di Nazaret ha sperimentato come noi la lotta interiore tra amore ed egoismo, le varie “tentazioni” della vita, le difficoltà di coppia con Giuseppe, “il piacere della sessualità”, la fortuna di avere un figlio straordinariamente importante ma anche votato ad immolarsi tragicamente per il bene dell’umanità. E’ da notare che con diversi punti di questa ereticale impostazione teologica  – ed ereticale perché per esempio inconsapevole del fatto che umanamente “il piacere della sessualità” può essere anche sublimato in forme di speciale amore esistenziale e spirituale (in modo eccelso in Maria ma anche in altri esseri umani) – si trovano a concordare molte teologie femministe che nell’enfasi posta dalla Chiesa sulla verginità della ragazza di Nazaret colgono una volontà di degradare il normale status dell’essere donna e madre ed un riflesso evidente di un’ideologia patriarcale e gerarchica che non riconosce la dignità della donna se non a determinate condizioni che appaiono oggi inaccettabili.

Per esempio la teologa cattolica statunitense Rosemary Radford Ruether, in un suo libro del 1993, edito da Beacon Press e intitolato “Sexism and God-Talk: Toward a Feminist Theology”, affermava che Maria viene dalla Chiesa sí esaltata ma anche presentata come modello impossibile da seguire. E anzi la desessualizzazione di Maria finirebbe per oscurare lo stesso virile messaggio di liberazione lasciato da Maria nel “Magnificat” e il suo ruolo profetico e combattivo di donna povera ma impegnata, secondo lo stile di Gesù, nelle lotte del suo popolo per un’integrale liberazione sia di carattere sociale che personale.

Per la Ruether, invece, le donne possono veramente trovare in Maria un esempio e un modello elevati ma praticabili di femminilità e maternità solo avanzando nella consapevolezza dei loro diritti e della reale e non finta dignità della maternità: «con una migliore comprensione di una spiritualità della creazione», ella scrive, «ci potrà essere un più positivo approccio alla sessualità umana, al corpo e alla relazione tra i due sessi». Bisogna credere solo in quello che dice la Bibbia e non in quel che fa comodo all’istituzione religiosa. E dalla Bibbia si ricava solo, ha scritto un’altra teologa cattolica, Elisabeth Johnson, nel libro Vera nostra sorella. Una teologia di Maria nella comunione dei santi (Queriniana, 2005), che «Maria, questa donna del popolo, questa donna di carne ed ossa come noi, che ha generato Gesù come ogni madre genera i propri figli, che ha vissuto nella nostra stessa fragilità e peccaminosità, che faceva l’amore con il suo sposo, non è grande per qualche “privilegio”, per essere stata “esentata” da ciò che rende umana la nostra vita», ma solo per la fede straordinaria in Dio che ha saputo manifestare concretamente per tutta la vita in quanto donna comune e donna tra donne. Dove a taluni spunti virtualmente demistificanti resta ancora una volta connessa la risibile pretesa di sindacare l’operato e la “potenza” stessa di Dio.

A questo coro di “cattolici” polemici verso i dogmi mariani ma non solo mariani della Chiesa, molto superficialmente ridotti a mere “formulazioni ecclesiastiche”, si aggiungono tante altre voci naturalmente tra cui anche quella particolarmente autorevole di Hans Küng, il quale, nel suo volume “Credo” pubblicato con Piper Verlag Gmbh nel 2003, ha sostenuto che l’immacolata concezione come la nascita verginale di Gesù da Maria possono avere la valenza di simboli e di leggenda teologica volti a sottolineare e ad esaltare «l’azione “originante” di Dio in Gesù, ma non ci troviamo di fronte al resoconto di un fatto biologico».

L’immacolata concezione, la perpetua verginità di Maria, la divina maternità, l’assunzione di corpo e anima in cielo, sarebbero perciò leggende poetiche utili forse alla religiosità popolare, anche se quest’ultima viene manifestandosi talvolta attraverso forme che avallate o incoraggiate dalle gerarchie ecclesiastiche inclinano alla superstizione e al mercato con tanto di mercanti del tempio, ma che allontanano da una seria e rigorosa educazione alla fede, perché in realtà i “privilegi” mariani sarebbero privi di fondamenti biblici e di legami con la vita reale delle donne. Essi veicolano senz’altro un messaggio teologico ma non è possibile tradurre tali racconti fiabeschi o mitologici in dogmi, quasi che appartenessero al nucleo centrale del vangelo e della fede cristiana.     

Che Gesù fosse concepito per mezzo dello Spirito Santo non comporta un eccezionale fatto biologico ma sarebbe una semplice affermazione teologica la quale vuole evidenziare come Dio accompagni l’esistenza di Gesù sin dalla nascita e come sia immensa la fede di Maria negli avvenimenti che sarebbero venuti compiendosi. Infatti, è l’obiezione, lo Spirito Santo può agire attraverso quel che accade normalmente nel mondo e, per l’attuazione dei piani divini, non è affatto necessario che la paternità divina di Cristo escluda una sua paternità umana.

Perché Dio dovrebbe sostituire o cancellare la naturale attività sessuale rendendo cosí superfluo il ruolo anche biologico degli uomini? Ciò detto, non c’è pertanto alcuna conseguenza per la fede, qualora non si creda ai “privilegi” o ai “titoli” mariani come ad articoli dogmatici di fede. Ancora la teologa Elisabeth Johnson afferma nel libro già citato: «A differenza di quanto accade nei miti ellenistici, lo Spirito non funziona come un partner maschile in un matrimonio sacro tra una divinità e una donna» (p. 441), per cui non si capisce perché Giuseppe non avrebbe dovuto fare la sua parte, anche sul piano sessuale, come marito di Maria.

Alla fine, per questi eretici e per queste teologhe femministe preoccupati di difendere più la propria presunta dignità personale che la reale dignità di Maria di Nazaret, il dato di fondo e l’unico veramente indiscutibile è che Maria ha ascoltato attentamente la parola di Dio rispondendo profeticamente alla “chiamata” di Dio stesso con grande coraggio e infinito amore. In particolare per le femministe, anzi, da parte di noi tutti, nel mondo e nelle chiese, si dovrebbe prendere atto del fatto che Dio ci chiama a convertirci specialmente attraverso le voci delle donne. E qui, mi pare, il cerchio del ragionamento femminista si chiude perfettamente!

Ma non è a colpi di rancore verso la Chiesa istituzionale, che è peraltro parte integrante della Chiesa profetica e comunitaria, non è a colpi di speciose e faziose critiche antidogmatiche, non è a colpi di presunte ritorsioni biblico-esegetiche e di recriminazioni teologiche sia pure in parte comprensibili e legittime, che potremo rinnovare la fede in Cristo e combattere contro eventuali pregiudizi ancora presenti nella mentalità ecclesiastica. E tanto meno successo potremo sperare di conseguire in tal senso quanto maggiori saranno le nostre acrimoniose e forse inconsce pretese di fare processi non solo e non tanto alla Chiesa (che è l’aspetto manifesto) ma a Dio stesso, a Cristo e al suo vangelo (che è l’aspetto più nascosto e meno confessabile).

A questi fratelli e sorelle che forse hanno più fede nello studio e nella propria intelligenza che nell’onnipotenza di Dio basterebbe far osservare che Dio appunto fa quello che vuole, non quello che vorrebbero certe sue superficiali o avventate creature, e che è giusto che egli faccia sempre e comunque quello che vuole e come vuole persino in relazione ad istanze e preghiere umanamente veritiere, sincere, oneste ed umili. A questi fratelli eretici e a queste sorelle femministe ugualmente in errore diciamo fraternamente di leggere e meditare con attenzione e serenità i vangeli ponendo domande a se stessi prima che ad altri, e forse capiranno che i dogmi da essi contestati racchiudono eventi eccezionali ma reali e, come tali, certamente impossibili agli uomini ma non a Dio.