Le donne e la superbia

Scritto da Walter Zanchetto.

 

La superbia è presente soprattutto dove si esercitano ruoli di potere o dove si coltivano ambizioni di potere. E’ un concetto che vale sia sul piano sociologico, sia su quello psicologico. Basta sentirsi più importanti o più in gamba degli altri per essere tentati di assumere atteggiamenti superbi. Nessuno ne è immune: né uomini, tradizionalmente soggetti a questo vizio, né donne, storicamente sempre più in linea con i primi. Oggi nel mondo si assiste ad un festival permanente di comportamenti più o meno accentuatamente superbi. Molte giovani donne, infatti, non si preoccupano minimamente di tenere quanto meno nascosta la propria superbia, e quindi la presunzione, l’arroganza, il disprezzo per gli altri e l’incapacità di riconoscere i propri difetti. In esse, peraltro, la superbia assume spesso anche la forma dell’assenza di pudore e dell’ostentazione sessuale non di rado coincidente con una vera e propria volontà di trasgressione.  Molte donne non sono da meno rispetto agli uomini nel manifestare scarsa attenzione per gli altri, mancanza di ascolto e assenza di rispetto, cui spesso risultano associate irresponsabilità e individualismo personali fino a forme di egocentrico infantilismo e di smodato opportunismo.

Da una parte la mancanza sempre più evidente di valori e di punti morali di riferimento, l’influenza spesso diseducativa di massmedia e televisione, l’accentuata diffusione di modelli sociali e personali grettamente utilitaristici, e dall’altra un certo venir meno della tradizionale credibilità della Chiesa e il graduale affievolirsi della coscienza morale e del senso etico della vita, non potevano non contribuire a favorire una crescita progressiva ed esponenziale della superbia sociale ed individuale anche o soprattutto nelle donne d’oggi che si sentono sempre più affrancate da una condizione ultrasecolare di schiavitù o di subordinazione rispetto agli uomini. Beninteso, anche tra le donne, non mancano fortunatamente forme di autostima e di sana consapevolezza di sé, da non confondere con la superbia e necessarie all’esercizio di un’umanità virtuosa, che nella quotidianità producono effetti positivi anche se non appariscenti, ma non sono certo queste forme personali di esistenza a costituire la costante di un mondo contemporaneo molto più spesso ripiegato su esigenze di appagamento individualistico che non su esigenze di disinteressata e sana donazione altruistica.      

E’ anche vero che assai difficilmente si trovano persone totalmente superbe o totalmente umili, perché il vizio della superbia e la virtù dell’umiltà si trovano generalmente mescolate nel cuore di ognuno di noi. Tuttavia, qui per persona superba e persona umile si intende la persona e più segnatamente la donna tendenzialmente superba o umile, la persona e la donna la cui personalità abbia acquisito o denoti più i tratti dell’essere superbo che non quelli dell’essere umile. Quando una donna, al pari di tanti uomini, tende ad esaltare implicitamente o esplicitamente in modo esagerato se stessa, sminuendo o disprezzando altre donne o gli altri in genere, o a porsi in evidenza o al centro dell’attenzione, o a rivendicare funzioni e meriti dal punto di vista umano e sociale peraltro spesso non sostenuti da un adeguato curriculum vitae, o quando sul piano estetico-intellettuale si ritiene superiore a tante altre donne, è evidente che sia affetta da una forma assolutamente inequivocabile di superbia, perché ella ritiene che ogni sua qualità ipotetica o reale non venga da nient’altro o da nessun altro che da se stessa e dalle sue proprie capacità. Quand’anche le sue qualità e i suoi meriti fossero reali, ella dimentica non occasionalmente che esse vengono da Dio e che tale consapevolezza dovrebbe consentirle di vivere in modo più sobrio e riservato.

Purtroppo, oggi  le donne sempre più frequentemente tendono ad emulare gli uomini con comportamenti sottilmente o manifestamente smargiassi o comunque tali da non far rimpiangere certe manifestazioni di maschilismo composto e tutto sommato ancora decoroso del secolo appena trascorso. Non c’è infatti dubbio che il maschilismo imperante nel secolo scorso stia via via lasciando il passo ad una presenza sempre più massiccia di donne nella società che, nella politica come nell’amministrazione aziendale o dello Stato, sono sempre più influenti e fanno sentire la loro voce a volte in modo autorevole e convincente ma molto più spesso in modo pretenzioso e velleitario. La presunta superiorità dell’uomo nei confronti della donna ha causato per molto tempo la relegazione delle donne in ruoli secondari, poiché a torto si pensava a loro come ad individui capaci solo di provvedere a compiti semplici o comunque legati alla casa e nulla più. Ma oggi, anche se lentamente, le cose tendono a modificarsi molto significativamente, giacché, se da una parte è vero che le donne continuano ad essere spesso vittime della violenta prevaricazione maschile, è altrettanto vero che esse mai in passato erano state cosí spesso volgari e provocatorie, offensive e fastidiosamente narcisiste come lo sono oggi, per non dire che non di rado, all’origine di certe tragedie familiari, sta anche l’incapacità femminile di mantenersi fedele non già ad un’immagine tradizionale e rassicurante di donna ma a canoni civili e giudiziosi di comportamento con i quali risulti poi possibile allentare e non alimentare determinate e a volte inevitabili tensioni o dissapori coniugali e familiari.

Il trionfo dell’io, che è la cifra più significativa della superbia, non è più, come un tempo, prevalente appannaggio degli uomini, giacché adesso nel nome della femminilità e sia pure di una femminilità assai fraintesa le donne vanno sempre più in cerca di facile affermazione economica, professionale, politica, sociale. E, anche se di donne culturalmente e professionalmente capaci e valenti il mondo è sempre più pieno, non è possibile disconoscere che con l’evoluzione dei rapporti tra uomo e donna anche la mentalità femminile tende troppo frequentemente ad essere schiacciata su quella maschile, e beninteso su una mentalità maschile maggioritaria piuttosto arretrata, anziché a svilupparsi secondo percorsi psicologici e morali inediti e originali.

Vale tuttavia, per uomini e donne del nostro tempo, indipendentemente dal fatto che siano o non siano cristiani, un’avvertenza psicologica fondamentale: che molto spesso tanto più si prova avversione per la superbia altrui quanto più si è personalmente superbi, anche se poi solo Dio conosce il reale grado di superbia di ciascuno. Ma, in generale, succede che si critichi la superbia altrui semplicemente perché in modo superbo vorremmo non essere da altri snobbati, trascurati, rimproverati o criticati, sottovalutati ed emarginati. Il fatto è che in un numero molto elevato di casi la superbia di uno o una è in competizione con quella di tutti.

La superbia è essenzialmente competitiva per sua natura, mentre altri vizi, come la lussuria, l’avidità, l’invidia, lo sono solo in modo accidentale, nel senso che io posso essere lussurioso perché mi manca di che soddisfare le mie particolari inclinazioni sessuali, avido, perché mi manca di che soddisfare la mia brama di possesso, invidioso, perché mi manca una certa ricchezza o una determinata posizione professionale o una qualche influenza sociale, nel senso quindi che mi manca qualcosa per sentirmi soddisfatto. Invece la superbia non trae soddisfazione dall’avere qualcosa, ma solo dall’averne più del prossimo. Si dice che uno si insuperbisce di essere ricco, intelligente o di bell’aspetto, ma non è cosí. Si insuperbisce di essere più ricco, più intelligente o più bello degli altri. Se tutti diventassero egualmente ricchi, belli e intelligenti, non ci sarebbe niente di cui insuperbirsi. E’ il confronto che rende superbi: il piacere di essere superiori agli altri. Se svanisce l’elemento competizione, svanisce anche la superbia. Ecco perché, come detto, la superbia, a differenza degli altri vizi, è essenzialmente competitiva. L’impulso sessuale può spingere alla competizione due uomini che desiderano la stessa donna; ma è un caso, i due potevano benissimo desiderare donne diverse. Il superbo, invece, prende la tua ragazza non perché la desidera, ma solo per provare a se stesso che vale più di te. L’avidità può creare competizione se un dato bene non è sufficiente per tutti; ma il superbo, anche se ha più di quanto possa mai occorrergli, cerca di avere ancora di più solo per affermare il suo potere.

Ora, finché si è superbi, anche se ci si professa cristiani, non si può conoscere Dio. Un uomo superbo guarda tutto e tutti dall’alto in basso, e se si guarda in basso non si può vedere qualcosa che sta sopra di noi. Quello di criticare gli altri pensando di essere migliori degli altri, magari perché si è convinti di credere sinceramente in Dio, è un pericolo gravissimo persino per quelle anime che si sforzano realmente di appartenere a Dio. Se ci si accorge che la propria vita religiosa dà la sensazione di essere persone umili e migliori quindi di tanti altri, si può essere certi che questa sensazione non proviene da Dio ma dal diavolo, mentre si può essere certi della presenza di Dio allorché, nonostante i giudizi che si è tenuti ad esprimere per testimoniare la propria fede, ci si continua a vedere nella propria piccolezza e nella propria viltà.

Intendiamoci: soprattutto il cristiano deve sforzarsi di piacere a Dio e quindi deve aver coscienza di quali siano le sue azioni che possano risultare gradite o sgradite al Signore. Essere contenti di far cosa gradita a Dio non è ovviamente una manifestazione di superbia. Ma se dal far cosa gradita a Dio si passa all’autocompiacimento, ovvero al ritenersi capace di ottemperare alla volontà di Dio per ciò stesso autodifferenziandosi da una massa di persone incapaci di fare la stessa cosa, allora si è ancora in balía della superbia e di una forma particolarmente subdola e velenosa di superbia.

Il superbo è uno che ama se stesso più di chiunque altro, più dello stesso Dio, anche se Dio come idea e come abitudine mentale e spirituale rientri tra le sue convinzioni dichiarate. L’uomo di chiesa, il religioso o il prete, che fa il saccente essendo talvolta persino impreparato o incapace sotto il profilo specificamente teologico, che assume atteggiamenti paternalistici e fintamente fraterni verso chi non lo elogia continuamente e non gli manifesta affetto ed amicizia, che presume intimamente di essere più vicino a Dio pur senza dirlo apertamente a nessuno solo per via della divisa o del distintivo che indossa, che non perde occasione per trattare gente molto più colta di lui in modo becero o sussiegoso, è paradossalmente il peggiore complice della donna vanitosa e superba.  

  Ora, il superbo è fondamentalmente un narcisista che ha ereditato nella sua vita molto più il comportamento archetipico di Eva che non quello di Maria di Nazaret. Fu Eva che, per narcisismo, volle darsi un godimento esistenziale alternativo a quello concessole da Dio e da quel Dio che ella mai rinnegò teoricamente ma praticamente. Ella peccò di superbia non perché volle mettersi al posto di Dio, in quanto come creatura sapeva bene di non potersi trasformare in Creatore, ma perché volle ammirare troppo se stessa concentrando su se stessa, ovvero sulla propria anima e sul proprio corpo, l’attenzione che avrebbe dovuto invece meglio distribuire ed esercitare verso Dio, soprattutto, e verso tutte le altre creature. L’uomo, anziché dissuadere e proteggere la donna da questa perversa attitudine, ne condivise le scelte e il destino di superba peccatrice, senza pretendere di abbattere Dio ma vivendo comunque senza Dio, senza curarsi della sua volontà; anzi, ammirò talmente la superbia di Eva da potenziarla ulteriormente nel corso della propria esistenza e in funzione della propria esistenza terrena. 

Sull’esempio di Eva, molte donne, specialmente le più belle dal punto di vista fisico o estetico, tendono ad innamorarsi di se stesse e, con o senza fede dichiarata in Dio, finiscono per essere o diventare, senza rendersene necessariamente conto, vere e proprie personificazioni della superbia. Esse amano e ammirano se stesse con la stessa intensità con la quale gli uomini in modo del tutto naturale amano e ammirano loro. Più che di amare, queste donne hanno bisogno di essere amate e contraccambiano il loro amore soprattutto verso quegli uomini che sanno meglio soddisfare questa loro non del tutto naturale esigenza. Questo narcisismo femminile, normale entro certi limiti, diventa patologico quando si trasforma in impossibilità ad amare e persino a stabilire un qualsiasi e normale rapporto umano di natura interpersonale. Tale narcisismo produce frutti velenosi anche al di là della sfera strettamente affettiva e sessuale, per esempio sul piano professionale dove molto spesso accade alla donna di avvertire non solo il bisogno più che legittimo di essere considerata valida e utile ma forse più spesso quello di essere sempre al centro dell’attenzione e dell’interesse altrui, di ricevere continui riconoscimenti e di conseguire quanti più successi possibile in termini di carriera.

Però non tutte le forme di superbia possono essere poste sullo stesso piano ed essere condannate dal punto di vista morale e religioso. A volte, infatti, la stessa superbia femminile non è espressione di esaltazione personale e di volontà di prevaricazione ma una chiusura psicologica verso il mondo percepito come ostile o minaccioso, verso un mondo che magari ha già deluso una volta e che si teme possa continuare a deludere sotto il profilo affettivo e relazionale. Quindi una specie di autodifesa, forse antipatica a vedersi ma originata da una obiettiva e particolare fragilità emotiva dei soggetti che ne fanno uso. In questi casi, l’orgoglio, la superbia non vanno disapprovati ma compresi e umanamente rispettati, perché sono un segno di disagio e di sofferenza. Ed è anche per questo che Gesù ci invita a non giudicare, ovvero a non giudicare mai in modo tassativo e irreversibile

Ma è sin troppo chiaro che narcisismo, orgoglio, superbia sono degni di questo termine e si configurano come vizi solo quando oltrepassano determinati limiti, quando sono persistenti o figurano in modo esagerato in una determinata condotta di vita, non certo quando sono sottoposti al controllo o alla vigilanza costanti della volontà. Controllo e vigilanza che possono essere correttamente esercitati attraverso la capacità spirituale di interiorizzare massime, consigli, suggerimenti e riflessioni bibliche come le seguenti: “Eccelso è il Signore e guarda verso l’umile ma al superbo volge lo sguardo da lontano” (Salmo 138, 6); “Nella bocca dello stolto c’è il germoglio della superbia, ma le labbra dei saggi sono la loro salvaguardia” (Pro 14, 3); “Che cosa ci ha giovato la nostra superbia? Che cosa ci ha portato la ricchezza con la spavalderia?” (Sap 5, 8); “É meglio abbassarsi con gli umili che spartire la preda con i superbi” (Pro 16, 19); “Chi maneggia la pece si sporca, chi frequenta il superbo diviene simile a lui” (Sir 13, 1); “Beato l’uomo che spera nel Signore e non si mette dalla parte dei superbi, né si volge a chi segue la menzogna” (Salmo 40, 5); “Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 18, 14).

Per tutti, per superbi e per umili, vale sempre la parola di Gesù: «senza di me non potete fare niente» (Gv 15, 5). Niente, cioè neppure le cose più semplici, le cose più elementari, le cose più necessarie alla nostra salute fisica e spirituale.