Maria di Nazaret: un'intelligenza agapica

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Il vecchio Zaccaria, al quale l’angelo Gabriele annuncia che la sua preghiera è stata esaudita e che quindi sua moglie Elisabetta, benché  altrettanto avanzata negli anni, sta per dargli finalmente un figlio, da buon credente è certo, sebbene sia “turbato” e “preso da timore”, che quell’angelo non sia frutto di un’allucinazione e sia invece realmente lí davanti a lui anche se poi non si fida molto delle sue parole dimostrando in realtà di essere scettico sulla veridicità di quell’annuncio e dunque sul fatto che la sua stessa preghiera possa essere stata realmente accolta ed esaudita da Dio. Zaccaria è uno stimato sacerdote, un esemplare uomo di fede, un sincero e appassionato credente che però, pur felice di incontrare e di ascoltare l’angelo di Dio o Dio stesso, avverte ancora la necessità psicologica di rivolgersi a quest’ultimo come ad un uomo qualsiasi per chiedergli e ottenere una prova concreta della veridicità di quello che sta dicendo, un segno inequivocabile dell’attendibilità di quanto annunciato.

L’intelligenza di Zaccaria è un’intelligenza sinceramente credente, un’intelligenza religiosa largamente sperimentata in tanti decenni di vita sacerdotale, un’intelligenza mossa persino da uno spirito profetico, e tuttavia, nel momento della prova decisiva, ovvero l’incontro reale con Dio, questa intelligenza si mostra ancora dubbiosa circa il fatto che a Dio nulla effettivamente sia impossibile. Questa intelligenza, cioè, pur essendo piena di amore per il Signore, si rivela ancora troppo analitica, troppo legata alla logica umana, a procedimenti di controllo o di verifica che sono tipici del modo ordinario di pensare degli uomini e persino di tanti uomini di fede teologicamente e spiritualmente  convinti che Dio possa operare qualunque prodigio, ma che, allorché il prodigio si verifichi realmente, si lasciano prendere da una qualche forma di dubbio o di incredulità, la quale sta a denotare che lo slancio d’amore per il Signore non è ancora perfettamente libero e incondizionato ma un po’ trattenuto da riserve mentali, da una fede sincera ma non del tutto svincolata da umanissime istanze dimostrative di tipo logico-fattuale. E’ come se si dicesse all’angelo di Dio o a Dio stesso: dimostrami che quello che stai dicendo è vero. Ma come, si potrebbe osservare: tu, Zaccaria, uomo di Dio, che hai il privilegio di ascoltare la parola di Dio, non riesci ancora a fidarti ciecamente di quello che Egli ti sta dicendo?

Nulla, oltre la sua stessa infinita volontà di donazione alle sue creature, costringe Dio a far sentire la sua voce e a manifestare la sua volontà al buon Zaccaria, e cosí Egli, senza fare calcoli di nessun genere e senza temere di donarsi ben oltre quello che consentirebbero le sue prerogative divine, gli comunica di aver accolto la sua richiesta di grazia. Dio cioè non ha timore di manifestare apertamente, visceralmente il suo amore per l’uomo-sacerdote Zaccaria, mentre quest’ultimo, nonostante tanta pratica di cose divine e tanta pia consuetudine per le cose spirituali, si mostra ancora incerto e titubante verso la Parola stessa di Dio.

L’intelligenza di Zaccaria, dunque, per quanto intrisa di genuina e fedele religiosità, non si può dire sia totalmente arroventata di un amore che spenga ogni perplessità, ogni dubbio, ogni esitazione, e che favorisca immediatamente la sintonizzazione dell’intelletto credente con le speranze del cuore orante. Resta questo scarto, piccolo ma reale, tra la fede dell’intelletto e la fede del cuore, tra il sentire della mente e il sentire dello spirito, e questo scarto, per quanto minimo, induce il Signore a punire momentaneamente, a fin di bene, il suo servo Zaccaria rendendolo muto e togliendogli quella parola di troppo con cui avrebbe voluto ottenere ulteriori garanzie sulla concessione della grazia prodigiosa che l’angelo gli aveva annunciato.

Al moto incondizionatamente caritatevole di Dio, che non solo concede la grazia richiesta ma comunica o fa comunicare all’interessato l’avvenuto accoglimento della sua supplica, corrisponde il gioioso turbamento ma anche l’affettività in qualche modo carente o deficitaria di Zaccaria, che, anziché manifestare prontamente la sua profonda gratitudine all’angelo per il meraviglioso e stupefacente gesto d’amore che il Signore aveva compiuto verso di lui non solo facendogli la grazia ma persino facendogliela annunciare dal suo ambasciatore, si preoccupa di chiedere garanzie, prove, sulla veridicità di quello che gli si sta comunicando.

Anziché dire immediatamente: “Dio mio, hai accolto la mia preghiera e hai voluto persino farmelo sapere! Il tuo servo ti ringrazia dal profondo del cuore”, Zaccaria trova il modo di sfigurare in un solo istante tutta una vita consacrata a Dio nella preghiera e nell’amore verso di lui e verso il prossimo. E il temporaneo mutismo cui viene condannato da Dio ha questo significato: di aver parlato a sproposito, di aver dubitato di Dio, di aver parlato non per ringraziare e per lodare il suo Signore, di aver aperto bocca non per manifestargli tutto il suo amore riconoscente ma per esprimergli meschinamente la stessa apprensione che avrebbe potuto essere espressa sulla parola di un semplice uomo. Zaccaria viene reso muto perché egli capisca, in un profondo raccoglimento interiore, che la sua mutilazione fisica è preferibile all’incapacità di usare la voce e la parola per magnificare adeguatamente il Signore. E, infatti, quando Zaccaria diviene perfettamente consapevole dell’errore commesso perfezionando finalmente il suo sentimento d’amore verso Dio, gli viene restituita ancora una volta misericordiosamente la parola.

Diversa è l’intelligenza, il modo di pensare e di ragionare di un uomo pio e giusto come Giuseppe che, pur coltivando un comprensibile dubbio sulla natura della gravidanza della sua amata Maria, crede immediatamente, senza alcuna remora, a ciò che l’angelo gli riferisce al riguardo. La sua è un’intelligenza totalmente immersa nell’amore per il Signore: egli non può dubitare, perché le origini della sua fede risiedono più nella sua sensibilità personale che nello studio pure utile e necessario delle sacre scritture, più nella sua capacità spirituale di contemplare e lodare il Signore che in un’attività intellettuale pure indispensabile e volta principalmente ad interrogarsi su Dio e sui suoi misteri, più nella sua propensione esistenziale a percepire la presenza di Dio nel quadro della sua concreta quotidianità che nelle pur salutari istruzioni della catechesi e della teologia.

Cosí come totalmente immersa nell’amore per il Signore, totalmente mossa dalla stessa carità che è nel cuore di Dio, è l’intelligenza di Maria di Nazaret, la fedele sposa di Dio e del suo amato Giuseppe. L’intelligenza di Maria è un’intelligenza agapica, un’intelligenza cioè la cui stessa sostanza è pura e semplice carità, ovvero amore disinteressato per la verità, slancio purissimo e appassionato verso tutte quelle idealità umane che emanano dalla verità divina, dedizione incondizionata alla causa della giustizia tra gli uomini.

Per questo Maria, pur turbata e oltremodo coinvolta emotivamente quando le appare l’angelo di Dio che le annuncia la sua prossima maternità divina, non mette in discussione né il carattere reale dell’apparizione né l’assoluta veridicità del messaggio angelico. All’arcangelo Gabriele chiede solo di sapere in che modo diventerà madre del Figlio di Dio, dal momento che ella è vergine e non ha alcuna intenzione di conoscere uomo in senso carnale.

Maria, che da sempre aveva sentito affettivamente ancor più che intellettivamente la vicinanza di Dio, la presenza di Dio in mezzo agli uomini, non chiede credenziali, garanzie, prove circa il fatto che quel che sta udendo è vero. Ella sa che è vero per il semplice fatto che a parlare è un angelo divino, è Dio stesso, laddove né l’angelo né Dio possono mentire e possono essere sottoposti a verifiche di sorta da parte dei beneficiari del loro messaggio.

Questa intelligenza agapica di Maria sarebbe stata la costante di tutta la sua vita. Ogni fatto, ogni avvenimento, grande o piccolo che fosse, lieto o doloroso che fosse, tutto ella avrebbe sempre guardato, considerato, valutato con amore, col distacco spirituale di chi, qualunque cosa accada, non si sente smodatamente soggetta né a fenomeni di entusiastica esaltazione né a fenomeni di scoramento o disperazione in quanto cosciente di essere proprietà di Dio e sempre e comunque fiduciosa nel suo aiuto paterno, ma anche con la generosa partecipazione di chi vuol farsi umile testimone e portatore dell’amore divino tra gli uomini.

Noi spesso, nel migliore dei casi, siamo più somiglianti al buon Zaccaria che non alla vergine Maria perché, nell’ascoltare la vera e non filtrata Parola di Dio, non ragioniamo come quest’ultima ma eccepiamo come il primo. Non diciamo come Maria: fammi capire bene, Signore, questa tua parola; fa che io sia capace di cogliere il giusto senso e le reali implicazioni del tuo insegnamento e della tua volontà; ma ci comportiamo piuttosto come Zaccaria che, pur ascoltando sinceramente il suo Signore, non appare perfettamente sicuro della natura divina della grazia concessagli da Dio, né sa astenersi dall’eccepire qualcosa, dal chiedere ancora dei segni che comprovino l’autenticità di quel che ha appena ascoltato. Spesso siamo come Zaccaria, perché, nonostante tanta pratica religiosa e tanta devozione eucaristica, la nostra fede risente ancora dell’instabilità del nostro modo di essere, di vivere e di pregare. Perché abbiamo bisogno di credere ma non siamo capaci di credere fino in fondo, in modo sempre coerente e incondizionato, né siamo pronti a lodare il Signore per tutte le grazie che riceviamo in quanto spesso confuse con situazioni e benefici del tutto ovvi e normali della nostra vita.

Nonostante questo deficit di intelligenza agapica, dobbiamo tuttavia sforzarci di essere, di vivere, di amare e di pregare come Maria: una donna normale, una serva umile e intelligente di Dio, resa immensa da Dio-Amore per l’eternità 

Il vecchio Zaccaria, al quale l’angelo Gabriele annuncia che la sua preghiera è stata esaudita e che quindi sua moglie Elisabetta, benché  altrettanto avanzata negli anni, sta per dargli finalmente un figlio, da buon credente è certo, sebbene sia “turbato” e “preso da timore”, che quell’angelo non sia frutto di un’allucinazione e sia invece realmente lí davanti a lui anche se poi non si fida molto delle sue parole dimostrando in realtà di essere scettico sulla veridicità di quell’annuncio e dunque sul fatto che la sua stessa preghiera possa essere stata realmente accolta ed esaudita da Dio. Zaccaria è uno stimato sacerdote, un esemplare uomo di fede, un sincero e appassionato credente che però, pur felice di incontrare e di ascoltare l’angelo di Dio o Dio stesso, avverte ancora la necessità psicologica di rivolgersi a quest’ultimo come ad un uomo qualsiasi per chiedergli e ottenere una prova concreta della veridicità di quello che sta dicendo, un segno inequivocabile dell’attendibilità di quanto annunciato.

 

L’intelligenza di Zaccaria è un’intelligenza sinceramente credente, un’intelligenza religiosa largamente sperimentata in tanti decenni di vita sacerdotale, un’intelligenza mossa persino da uno spirito profetico, e tuttavia, nel momento della prova decisiva, ovvero l’incontro reale con Dio, questa intelligenza si mostra ancora dubbiosa circa il fatto che a Dio nulla effettivamente sia impossibile. Questa intelligenza, cioè, pur essendo piena di amore per il Signore, si rivela ancora troppo analitica, troppo legata alla logica umana, a procedimenti di controllo o di verifica che sono tipici del modo ordinario di pensare degli uomini e persino di tanti uomini di fede teologicamente e spiritualmente  convinti che Dio possa operare qualunque prodigio, ma che, allorché il prodigio si verifichi realmente, si lasciano prendere da una qualche forma di dubbio o di incredulità, la quale sta a denotare che lo slancio d’amore per il Signore non è ancora perfettamente libero e incondizionato ma un po’ trattenuto da riserve mentali, da una fede sincera ma non del tutto svincolata da umanissime istanze dimostrative di tipo logico-fattuale. E’ come se si dicesse all’angelo di Dio o a Dio stesso: dimostrami che quello che stai dicendo è vero. Ma come, si potrebbe osservare: tu, Zaccaria, uomo di Dio, che hai il privilegio di ascoltare la parola di Dio, non riesci ancora a fidarti ciecamente di quello che Egli ti sta dicendo?

 

Nulla, oltre la sua stessa infinita volontà di donazione alle sue creature, costringe Dio a far sentire la sua voce e a manifestare la sua volontà al buon Zaccaria, e cosí Egli, senza fare calcoli di nessun genere e senza temere di donarsi ben oltre quello che consentirebbero le sue prerogative divine, gli comunica di aver accolto la sua richiesta di grazia. Dio cioè non ha timore di manifestare apertamente, visceralmente il suo amore per l’uomo-sacerdote Zaccaria, mentre quest’ultimo, nonostante tanta pratica di cose divine e tanta pia consuetudine per le cose spirituali, si mostra ancora incerto e titubante verso la Parola stessa di Dio.

 

L’intelligenza di Zaccaria, dunque, per quanto intrisa di genuina e fedele religiosità, non si può dire sia totalmente arroventata di un amore che spenga ogni perplessità, ogni dubbio, ogni esitazione, e che favorisca immediatamente la sintonizzazione dell’intelletto credente con le speranze del cuore orante. Resta questo scarto, piccolo ma reale, tra la fede dell’intelletto e la fede del cuore, tra il sentire della mente e il sentire dello spirito, e questo scarto, per quanto minimo, induce il Signore a punire momentaneamente, a fin di bene, il suo servo Zaccaria rendendolo muto e togliendogli quella parola di troppo con cui avrebbe voluto ottenere ulteriori garanzie sulla concessione della grazia prodigiosa che l’angelo gli aveva annunciato.

 

Al moto incondizionatamente caritatevole di Dio, che non solo concede la grazia richiesta ma comunica o fa comunicare all’interessato l’avvenuto accoglimento della sua supplica, corrisponde il gioioso turbamento ma anche l’affettività in qualche modo carente o deficitaria di Zaccaria, che, anziché manifestare prontamente la sua profonda gratitudine all’angelo per il meraviglioso e stupefacente gesto d’amore che il Signore aveva compiuto verso di lui non solo facendogli la grazia ma persino facendogliela annunciare dal suo ambasciatore, si preoccupa di chiedere garanzie, prove, sulla veridicità di quello che gli si sta comunicando.

 

Anziché dire immediatamente: “Dio mio, hai accolto la mia preghiera e hai voluto persino farmelo sapere! Il tuo servo ti ringrazia dal profondo del cuore”, Zaccaria trova il modo di sfigurare in un solo istante tutta una vita consacrata a Dio nella preghiera e nell’amore verso di lui e verso il prossimo. E il temporaneo mutismo cui viene condannato da Dio ha questo significato: di aver parlato a sproposito, di aver dubitato di Dio, di aver parlato non per ringraziare e per lodare il suo Signore, di aver aperto bocca non per manifestargli tutto il suo amore riconoscente ma per esprimergli meschinamente la stessa apprensione che avrebbe potuto essere espressa sulla parola di un semplice uomo. Zaccaria viene reso muto perché egli capisca, in un profondo raccoglimento interiore, che la sua mutilazione fisica è preferibile all’incapacità di usare la voce e la parola per magnificare adeguatamente il Signore. E, infatti, quando Zaccaria diviene perfettamente consapevole dell’errore commesso perfezionando finalmente il suo sentimento d’amore verso Dio, gli viene restituita ancora una volta misericordiosamente la parola.

 

Diversa è l’intelligenza, il modo di pensare e di ragionare di un uomo pio e giusto come Giuseppe che, pur coltivando un comprensibile dubbio sulla natura della gravidanza della sua amata Maria, crede immediatamente, senza alcuna remora, a ciò che l’angelo gli riferisce al riguardo. La sua è un’intelligenza totalmente immersa nell’amore per il Signore: egli non può dubitare, perché le origini della sua fede risiedono più nella sua sensibilità personale che nello studio pure utile e necessario delle sacre scritture, più nella sua capacità spirituale di contemplare e lodare il Signore che in un’attività intellettuale pure indispensabile e volta principalmente ad interrogarsi su Dio e sui suoi misteri, più nella sua propensione esistenziale a percepire la presenza di Dio nel quadro della sua concreta quotidianità che nelle pur salutari istruzioni della catechesi e della teologia.

 

Cosí come totalmente immersa nell’amore per il Signore, totalmente mossa dalla stessa carità che è nel cuore di Dio, è l’intelligenza di Maria di Nazaret, la fedele sposa di Dio e del suo amato Giuseppe. L’intelligenza di Maria è un’intelligenza agapica, un’intelligenza cioè la cui stessa sostanza è pura e semplice carità, ovvero amore disinteressato per la verità, slancio purissimo e appassionato verso tutte quelle idealità umane che emanano dalla verità divina, dedizione incondizionata alla causa della giustizia tra gli uomini.

 

Per questo Maria, pur turbata e oltremodo coinvolta emotivamente quando le appare l’angelo di Dio che le annuncia la sua prossima maternità divina, non mette in discussione né il carattere reale dell’apparizione né l’assoluta veridicità del messaggio angelico. All’arcangelo Gabriele chiede solo di sapere in che modo diventerà madre del Figlio di Dio, dal momento che ella è vergine e non ha alcuna intenzione di conoscere uomo in senso carnale.

 

Maria, che da sempre aveva sentito affettivamente ancor più che intellettivamente la vicinanza di Dio, la presenza di Dio in mezzo agli uomini, non chiede credenziali, garanzie, prove circa il fatto che quel che sta udendo è vero. Ella sa che è vero per il semplice fatto che a parlare è un angelo divino, è Dio stesso, laddove né l’angelo né Dio possono mentire e possono essere sottoposti a verifiche di sorta da parte dei beneficiari del loro messaggio.

 

Questa intelligenza agapica di Maria sarebbe stata la costante di tutta la sua vita. Ogni fatto, ogni avvenimento, grande o piccolo che fosse, lieto o doloroso che fosse, tutto ella avrebbe sempre guardato, considerato, valutato con amore, col distacco spirituale di chi, qualunque cosa accada, non si sente smodatamente soggetta né a fenomeni di entusiastica esaltazione né a fenomeni di scoramento o disperazione in quanto cosciente di essere proprietà di Dio e sempre e comunque fiduciosa nel suo aiuto paterno, ma anche con la generosa partecipazione di chi vuol farsi umile testimone e portatore dell’amore divino tra gli uomini.

 

Noi spesso, nel migliore dei casi, siamo più somiglianti al buon Zaccaria che non alla vergine Maria perché, nell’ascoltare la vera e non filtrata Parola di Dio, non ragioniamo come quest’ultima ma eccepiamo come il primo. Non diciamo come Maria: fammi capire bene, Signore, questa tua parola; fa che io sia capace di cogliere il giusto senso e le reali implicazioni del tuo insegnamento e della tua volontà; ma ci comportiamo piuttosto come Zaccaria che, pur ascoltando sinceramente il suo Signore, non appare perfettamente sicuro della natura divina della grazia concessagli da Dio, né sa astenersi dall’eccepire qualcosa, dal chiedere ancora dei segni che comprovino l’autenticità di quel che ha appena ascoltato. Spesso siamo come Zaccaria, perché, nonostante tanta pratica religiosa e tanta devozione eucaristica, la nostra fede risente ancora dell’instabilità del nostro modo di essere, di vivere e di pregare. Perché abbiamo bisogno di credere ma non siamo capaci di credere fino in fondo, in modo sempre coerente e incondizionato, né siamo pronti a lodare il Signore per tutte le grazie che riceviamo in quanto spesso confuse con situazioni e benefici del tutto ovvi e normali della nostra vita.

Nonostante questo deficit di intelligenza agapica, dobbiamo tuttavia sforzarci di essere, di vivere, di amare e di pregare come Maria: una donna normale, una serva umile e intelligente di Dio, resa immensa da Dio-Amore per l’eternità.