Quale etica cattolica?

Scritto da Francesco di Maria.

 

Un’etica cattolica integrale, non integralista ma integrale, ovvero non un’etica cattolica parziale o incompleta, basata solo su alcuni aspetti della concezione cattolica della vita e del mondo ma non su tutti i suoi aspetti globalmente considerati e dottrinariamente inscindibili gli uni dagli altri, è un’etica fondata sulla verità rivelata da Cristo e quindi anche e principalmente sulla morte sacrificale e sulla gloriosa risurrezione di Gesù, figlio unigenito di Dio. Certo, se per integralista s’intende un cattolicesimo che testimonia, in modo composto ma fermo, contro l’ammissibilità del divorzio, dell’aborto, dell’omosessualità nel novero delle cose “normali”, e delle pratiche omosessuali o dei cosiddetti matrimoni omosessuali o ancora di certe pratiche eutanasiche nel novero dei “diritti civili”, un’etica cattolica integrale, che come tale è tenuta ad ascoltare e a valorizzare prontamente anche i possibili contributi di verità e di umanità contenuti in posizioni ed esperienze di vita non richiamantesi a credi religiosi, non potrà non essere costitutivamente anche un’etica “integralista”, ma il punto che qui merita pregiudizialmente di essere precisato è soprattutto che mai un’etica cattolica, intesa appunto nella sua interezza e quindi nell’insieme dei suoi richiami e dei suoi valori spirituali e religiosi, possa essere assimilata ad una semplice religione civile, ad una delle tante etiche esistenti al mondo, ad un complesso di princípi e norme codificate secondo criteri di razionalità puramente storici ed immanenti.

L’etica della Chiesa e dei credenti cattolici è ben riassunta da san Paolo: “Se dunque siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù dove Cristo è seduto alla destra di Dio. Aspirate alle cose di lassù, non a quelle che sono sulla terra; poiché voi moriste e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria. Fate dunque morire ciò che in voi è terreno: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e cupidigia, che è idolatria. Per queste cose viene l'ira di Dio [sui figli ribelli]” (Colossesi 3, 1-6). E’ dunque un’etica chiamata a costruire “le cose di lassù” già su questa terra attraverso un continuo esercizio di rimozione o di annientamento spirituale delle tante iniquità che sono o possono in ogni momento insorgere dentro ognuno di noi e che appartengono in generale alla complessiva realtà mondana segnata dal peccato.

E’ di conseguenza anche un’etica che, pur mai implicando forme ossessive e violente di opposizione al male del mondo, ivi comprese le sue molteplici ed inique strutture di peccato politico e sociale, implica una instancabile ricerca di comportamenti virtuosi e santi, nel vincolo d’amore a Cristo, e un concreto  appassionato e caritatevole impegno a favore del prossimo qui e ora bisognoso e di una società retta da vincoli morali e spirituali prima e oltre che da vincoli contrattuali ed economici.

Un’etica cattolica integrale comporta una rivoluzione permanente delle coscienze, persino al di là di ineccepibili abitudini di vita, e una perenne volontà di trasfigurazione spirituale delle strutture mondane di potere, ben oltre le molteplici e variegate contingenze storiche o storico-politiche e culturali a cui il cristiano eticamente impegnato non può certo mostrarsi indifferente ma a cui in ogni caso la sua fede non potrà mai essere totalmente ridotta. Sí, perché un’etica cattolica, che è un’etica d’amore o meglio l’etica per eccellenza dell’amore gratuito e disinteressato, non è una semplice etica filantropica, compassionevole e solidaristica, non è né un’etica sociale né  un’etica di servizio sempre e comunque condiscendente rispetto a qualsivoglia genere di istanze o di presunte esigenze antropologiche ed umane, né un’etica senza verità, ma è un’etica che ha il suo fulcro e la sua unica giustificazione nella verità stessa che è Cristo e quindi nella Parola e nei precetti di Dio correttamente intesi oltre ogni pur possibile fraintendimento o mistificazione teologica e religiosa.

Ma quest’amore cristocentrico, quest’amore della grazia (perché l’amore nel cui nome il cristiano è tenuto a pensare e a vivere è dono divino e, appunto, grazia), quest’amore della fede (in quanto la sua sostanza e la sua cifra più alta sono costituite dalla fede e da una fede rocciosa nel Logos incarnato), da cui l’etica cattolica non può prescindere, non di rado è stato in passato e continua ancor oggi ad essere equivocato o malamente usato nelle stesse comunità cristiane e cattoliche.

Infatti, pur potendosi facilmente presumere che quest’ultime ben conoscano la meravigliosa e perfetta descrizione che dell’amore cristiano ha fatto san Paolo, non di rado accade che in esse se ne faccia un uso piuttosto banale e strumentale: basta pensare a tutte le volte in cui credenti del clero e credenti laici ricordano che la carità è paziente e benigna solo perché spiritualmente incapaci di stare veramente vicino a chi abbia subíto una qualche grave prepotenza o sia stata vittima di atti crudeli o malvagi; che la carità non è invidiosa, non si vanta, non cerca il suo interesse, non si adira né tiene conto del male ricevuto, omettendo tuttavia di aggiungere e di precisare che la carità non gode dell’ingiustizia e non si compiace affatto dei torti e delle sofferenze che un modo ingiusto di agire procura a tanti esseri umani ma si compiace solo della verità predisponendosi esclusivamente in funzione di essa a tutto coprire, tutto credere, tutto sperare, tutto sopportare (1Corinzi 13, 4-7).

Solo chi sa e vuole intendere correttamente la Parola di Dio, sforzandosi di non darne mai per scontati e di approfondirne continuamente lo spirito e il senso oltre che la lettera, solo chi agli insegnamenti di Cristo si accosta senza inconscia saccenteria e senza nascosta ipocrisia, solo chi coltiva la fede senza astuti sdoppiamenti di personalità e senza comode o complicate razionalizzazioni dialettiche, può alla fine sperare di amare realmente secondo l’amore di Dio, sino al punto di poter amare persino i suoi nemici e di predisporsi a fare del bene addirittura a coloro da cui è odiato, a pregare anzi per essi e a benedirli. Ecco: è solo a chi è capace di tanto che l’apostolo Giovanni si riferisce quando scrive:  “Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perchè Dio è amore”. (Gv 4,7-8).

In altri termini, un’etica cattolica, pensata e vissuta alla luce di tutto il messaggio e dell’opera stessa di Cristo, non genera né paternalismo religioso, né spiritualismo a buon mercato, né astratto e aprioristico giustificazionismo teologico. Cosí come un’etica cattolica degna di questo nome non può generare moralismo ma solo e sempre moralità. Moralistica, infatti, è la fede che rinvia al “regno di Dio” come a qualcosa che è semplicemente di là da venire, sempre oltre la storia che sta divenendo in questo momento e sotto i nostri occhi, e quindi nella sua statica ed assoluta contrapposizione al mondo e a questo specifico e determinato mondo storico della politica, del diritto, dell’economia e della cultura in senso lato.

Espressione di profonda e rigorosa moralità è invece la fede che non separa drasticamente il “regno di Dio” dal “regno degli uomini”, allontanando sistematicamente il primo dalle specifiche e drammatiche contingenze di individui-persone storicamente determinati, ma lo considera come realmente e sia pure misteriosamente presente ad essi e tra essi e come immanente alle loro esperienze e al loro agire.

In una concezione etica di tipo moralistico il “regno di Dio” ha una funzione meramente evasiva o elusiva e semplicemente consolatoria rispetto a condizioni storico-umane manifestamente inique di esistenza personale e collettiva, mentre un’etica cattolica della moralità non solo viene riconoscendo in esso un pur agognato e reale punto di approdo metastorico della vita  personale e collettiva di uomini e donne ma ad esso viene assegnando un ruolo propulsivo già nel quadro di questa esistenza storico-mondana e una concreta funzione di sprone e di liberazione rispetto ad una molteplicità di reali e possibili angustie esistenziali di qualsivoglia natura, che trovano il loro invalicabile limite nella morte e che il mondo, pur con le sue leggi, i suoi ordinamenti, le sue istituzioni e i suoi stessi “godimenti” di natura ludica o estetica o genericamente spirituali, è impossibilitato a superare. Il “regno di Dio” è in mezzo a noi tutti, nel senso che Dio è con noi e che noi cooperiamo con Dio alla costruzione del suo regno.  

In questo senso, pure, l’etica cattolica, pur presupponendo che Dio giudica le sue creature più sulla base della sincerità e dell’onestà delle loro intenzioni che non sulla base del fatto che quest’ultime siano o non siano coronate da successo, non è un’etica della pura intenzione, del puro dover essere (nel senso di quelle effimere o ipocrite “buone intenzioni” di cui, come si sa, “è lastricata la via dell’inferno”), cui corrisponde quasi sempre da una parte il moralistico e sprezzante giudizio dell’“anima bella” ovvero di chi predica dall’alto o nel chiuso di una aristocratica e orgogliosa torre d’avorio  e dall’altra un gretto conservatorismo politico-sociale o forme immature e irrazionali di ribellismo individuale o collettivo, ma è un’etica realistica della responsabilità antitetica all’etica retorica e disimpegnata dell’anima bella e profondamente funzionale ad un coraggioso e fattivo impegno evangelico contro tutte le forme di schiavitù e di iniquità che si annidano nella coscienza personale e nelle pratiche oggettive ed interpersonali degli uomini, della cui complessità e drammaticità occorre tuttavia essere ben consapevoli cercando ogni volta di entrare in solidale e amorevole comunione fraterna con tutti coloro che ne siano particolarmente afflitti e tra cui fra l’altro potremmo esserci trovati o potremmo trovarci noi stessi.

L’etica cattolica, infine, pur aperta ad un serio e costruttivo confronto con un’etica laica, non può tuttavia non differenziarsi profondamente e, alla fine, irrimediabilmente da essa. Il laico, non il laico credente ma il laico non credente o ateo, infatti, è colui che agisce senza operare alcun esplicito riferimento a Dio, che non si sente limitato da niente e che conta o confida esclusivamente su se stesso e sulle sue forze. Il cristiano, invece, è colui che pone o si sforza di porre ogni suo pensiero ed atto in relazione a Dio e ai suoi insegnamenti, colui che pertanto ha sempre ben presente il senso del limite e del peccato e che proprio per questo, quale che possa essere il grado della sua integrità morale e spirituale, non confida in se stesso ma esclusivamente nella misericordia di Dio. Il laico ritiene che, operando secondo razionalità e princípi etici universalmente riconosciuti, non si possa che perseguire il bene proprio e il bene altrui o bene comune, mentre il cristiano crede che, senza l’aiuto e senza la grazia di Dio, nessuno sforzo e nessuna opera umana siano suscettibili di produrre frutti buoni e duraturi.

Una volta il cardinale Joseph Ratzinger scrisse che «il problema soggiacente a tutta la morale cristiana è di capire come l’agire umano e l’agire divino collaborano», e in questo stretto nesso tra volontà umana e grazia divina è appunto il senso complessivo dell’etica cattolica. Però non bisogna pensare che questa differenza tra il confidare in Dio-Cristo e il confidare in se stessi divida uomini e donne in due categorie distinte e separate di persone, perché in realtà essa agisce all’interno di ogni soggetto e degli stessi soggetti che professano una fede cattolica.

Può infatti capitare che un laico non credente riesca ad esprimere nel corso della sua vita una spiritualità più sincera e generosa seppur non dichiaratamente religiosa, e per questo più gradita a Dio, di quella dichiaratamente religiosa di un credente cattolico sempre preoccupato e inquieto che agisce e vive come se Dio non ci fosse, e che per contro un credente cattolico, in aperto contrasto con la sua professione di fede e pur partecipando e accostandosi assiduamente alla santa messa e alla santa eucaristia, si lasci tuttavia andare ad atteggiamenti mentali e pratici simili a quelli di chi tende a deprimersi quando vede che le cose non vanno secondo le sue aspettative o i suoi desideri.

E’ proprio cosí: non è infrequente il caso in cui un cattolico si senta depresso o frustrato perché certe sue aspettative non siano state soddisfatte. Questo concetto è espresso nel vangelo di Luca, ove si racconta della pesca miracolosa. Dopo una notte infruttuosa nel corso della quale non è riuscito a pescare niente, Pietro, dopo aver fidato solo sulle sue forze e in evidente crisi di fede, appare sconfortato e sull’orlo della depressione. Depressione che supera non appena torna a riporre la sua incondizionata fiducia in Cristo Signore e Salvatore. La notte infruttuosa rappresenta i momenti in cui persino il credente più affezionato e più fedele a Dio si sente improvvisamente solo, abbandonato da lui o comunque da lui lontano, e cede alla tentazione di pensare che le cose della sua vita debba affrontarle e risolverle fidando solo sulle sue forze. Tale atteggiamento però è frustrante perché Pietro scopre abbastanza presto che senza Cristo non può fare nulla, e, nel caso specifico, non può pescare nulla pur impegnandosi strenuamente per moltissimo tempo: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla” (Lc 5, 5), sono le sue parole.

Ecco: a volte anche il cattolico più sperimentato può agire come il laico non credente che pensa e vive senza percepire la concreta presenza di Dio nella sua esistenza, che pensa e vive senza più affidarsi alla “parola di Cristo”, e fidando presuntuosamente o disperatamente solo su se stesso. Ma può anche accadere che, nell’usufruire di condizioni di vita materiale e spirituale abbastanza lineari e gratificanti o addirittura lussureggianti, ci si senta indotti a presumere stoltamente di avere Dio a portata di mano (si veda l’episodio evangelico del giovane ricco), oppure che, al contrario, pur avendo sempre vissuto in modo trasgressivo e irreligioso, ci si possa sentire improvvisamente e irresistibilmente attratti, proprio nei frangenti più terribili e dolorosi della propria esistenza, dall’amore misericordioso di un Dio pronto a morire come noi e per noi sulla croce della vita (si pensi ad uno dei due malfattori crocifissi accanto a Gesù). 

L’etica cattolica è un’etica rigorosa anche in questo senso: che nessuno mai, sino alla fine della sua esperienza terrena, possa considerarsi assolutamente salvo o dannato.