Maria, carta vincente di Dio

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Maria non è la grazia ma è piena della grazia di Dio cosí come l’antica tenda ebraica (o “tabernacolo”) era pieno della presenza e della gloria di Dio. Maria diventa il nuovo tempio del Signore, un tempio di carne e di spirito ad un tempo in cui il Signore per mezzo del suo Cristo si compiace di venire ad abitare per poter essere ancora e sempre più vicino agli esseri umani da lui creati. In Maria Dio trova finalmente un corpo e un’anima disposti ad accoglierlo in modo integrale, senza esitazioni di sorta e per un inaudito bisogno di ricevere e donare l’Amore nella sua assoluta purezza. Maria non cerca l’amore limitato e imperfetto degli uomini ma l’amore infinito e perfetto di Dio allo stesso modo di come Dio non cerca creature capaci di amarlo in modo parziale e condizionato ma creature capaci di aprire la propria vita interamente al suo amore.

Per questo Maria, la migliore delle creature, diventa la prima e permanente casa di Dio uno e trino, quella in cui Dio viene per cosí dire nutrendosi del pensare e del sentire creaturali nella loro forma più intensa ed ineffabile e quella in cui trovano il loro germe tutte le successive forme di santa comunione (tra fratelli in un rapporto di reciproca carità, tra fratelli e Dio stesso nella Chiesa affidata a Pietro, e quindi anche nella celebrazione eucaristica e in tutte le pratiche di vita volte alla costruzione del Regno di Dio nel mondo) volute da Dio.

Maria è talmente abitata dalla grazia divina che la grazia divina viene in lei per incarnarsi. Maria è la più grande scommessa del genio creatore di Dio: Dio conferisce a questa creatura tutto ciò che occorre, in primis preservandola dal peccato originale, affinché essa sia nella migliore condizione possibile per corrispondere univocamente e stabilmente, nonostante le insormontabili insidie tese da Satana, alla volontà del Signore. Dio si fida di Maria come di nessun altro, perché nel momento stesso in cui ab aeterno la concepisce nella sua mente, la dota di tutte le qualità necessarie a consentirle di poter essere la sua compagna ideale, la sua principale collaboratrice, il riflesso creaturale più puro del suo purissimo amore.

Maria è la donna creata per la seconda ed ultima volta. Eva, nonostante fosse stata anche lei dotata di originaria innocenza, aveva profondamente deluso le aspettative divine, ma Dio, non volendo rinunciare al suo progetto di fare della sua creazione e delle sue creature un momento costitutivo ed integrante della sua eterna storia d’amore e di gloria, si concede una seconda e definitiva opportunità pensando a Maria, amando Maria, confidando in Maria. Maria non delude e confida in Dio nella stessa misura in cui Dio confida in lei: una meravigliosa corrispondenza di sensi spirituali tra l’umano e il divino.

A chi dunque, pur correndo ancora una volta il rischio di fallire, a chi Dio, se non alla sua novella donna paradisiaca, avrebbe potuto affidare il suo Figlio unigenito, ovvero l’immagine più pura di se stesso, ai fini della salvezza del genere umano? Di fatto, la verginale maternità di Maria sarebbe stata fecondissima e avrebbe continuato a generare in Cristo tanti figli e figlie sinceramente bisognosi di Dio seppur costantemente soggetti alla morsa del peccato.

Peraltro, il privilegio dell’Immacolata Concezione, perché indubbiamente di un privilegio si tratta, non solo non ha privato Maria di una libertà integrale in base a cui avrebbe appunto detto di sí a Dio, ma non l’ha neppure esonerata dalle dure prove della fede. Maria crede sempre in Dio, anche se a volte non capisce bene le parole e gli atti di Gesù; Maria non si allontana dal suo Dio neppure nei momenti di più avvilente oscurità quando ogni affetto, ogni speranza di felicità, ogni realtà spirituale, sembra dissolversi nel nulla. Anzi, l’Immacolata Concezione avrebbe posto Maria nella condizione di dover soffrire molto di più rispetto a tante altre donne e a tanti altri uomini. Solo in un senso si può parlare di privilegio: nel senso che, a causa di esso, nessuno al mondo avrebbe potuto soffrire in Gesù, con Gesù e per Gesù, più di quanto ebbe a soffrire Maria.

Può qualcuno di noi essere veramente sicuro di poter essere geloso di tale privilegio? Quanti di noi avrebbero la capacità di sottoporsi al concreto rischio di essere lapidati e di sopportare per tanto tempo maldicenze e accuse umilianti a causa di una gravidanza avvolta dal mistero o di una paternità molto dubbia? Quanti di noi potrebbero sopportare di lasciare la propria terra, per fuggire in esilio in mezzo a mille pericoli e per vivere in una terra straniera e ostile per oltre un decennio? Quanti di noi potrebbero accettare di veder morire su una croce come un comune malfattore non solo il proprio figlio ma un figlio né creato né procreato perché per natura identico a Dio stesso e come lui onnipotente? Quanti di noi sarebbero disposti a vivere in modo del tutto anonimo e dimesso, in condizioni spesso drammatiche e disumane, in mezzo a indicibili e logoranti sofferenze, dopo aver avuto per ipotesi il privilegio di sentire non metaforicamente ma realisticamente la voce di Dio e di sentirsi da lui collocato al centro del suo stesso Regno?

Certo, Maria, non solo per il privilegio ricevuto ma anche per la straordinaria fortezza d’animo con cui volle adempiere per tutta la vita persino gli “obblighi” spirituali più minuti in esso contenuti, è, umanamente parlando, una celebrazione apologetica ineguagliabile di Dio, anche se non si può dimenticare che ella rimane pur sempre una di noi dal momento che, come è stato giustamente osservato, «ciò che la Vergine è per nascita è quello che noi siamo chiamati ad essere, è la realtà della Chiesa, la “santa” Sposa di Cristo, come diciamo nel Credo. Nella lettera agli Efesini, Paolo usa la stessa parola – “immacolata” - per parlare della Chiesa o dei cristiani. Come dice il prefazio dell’8 dicembre, l’Immacolata Concezione è il “modello” della santità» (Mons. Jacques Perrier, “Io sono l’Immacolata Concezione”, in “Zenit” del 7 dicembre 2012).

E’ esattamente in questo senso e in questa ottica che Maria sarà per sempre “la serva” inimitabile del Signore, la sua insostituibile collaboratrice, l’eterna umanissima Madre di un Dio onnipotente che per amore ha voluto personalmente sperimentarne la ineffabile tenerezza creaturale. Tu sei il cielo di Dio, Maria; per mezzo tuo, immergendoci esistenzialmente nel sacrificio salvifico di Cristo, anche noi potremo diventare cielo, potremo ritornare in quel cielo in cui non si soffre e non si muore più. Non si può che sottoscrivere il seguente pensiero: Maria «è la porta che conduce a Cristo; comprendere con l’intelligenza della fede il posto che il Padre ha attribuito a Maria vuol dire costruire la nostra fede in Cristo sulla roccia; è per salvare la verità di Cristo che la Chiesa ha riconosciuto e definito il ruolo di Maria» (C. Tabarro, Il culto mariano e il Vaticano II, in “Zenit” del 13 maggio 2013).