La risurrezione tra storia e fede

Scritto da Francesco di Maria.

 

La risurrezione di Gesù è assolutamente centrale nella fede cristiana. Se i cristiani non avessero l’assoluta certezza  che questo avvenimento non ha niente a che fare con certa presunta mitologia “delle origini” e ha al contrario un oggettivo fondamento storico-empirico quale si apprende dalle testimonianze evangeliche, la fede in Cristo avrebbe oggi un valore non superiore a quello di una semplice supposizione.

Quello che ancora oggi viene messo in discussione è la totale storicità del racconto evangelico, come se tanti altri documenti del passato anche remoto, su cui si basano ricostruzioni storiche relative ad altre questioni o ad altri capitoli non irrilevanti della storia dell’umanità e generalmente ritenute attendibili ed incontrovertibili, potessero vantare un’attendibilità superiore solo per il fatto che in essi la posta in gioco non sia la possibilità di accertare la natura divina di un uomo o, per meglio dire, la divina consistenza ontologica dell’uomo Gesù. In realtà, se non hanno carattere di verità storica i vangeli, peraltro perfettamente concordanti sui dati di fondo della vita e dell’opera di Cristo, non si capisce perché mai tante altre narrazioni storiche, riguardanti contesti storici di differente natura anche se oltremodo rilevanti ai fini della ricostruzione di momenti essenziali della civiltà umana, dovrebbero essere considerate più obiettive e quindi più credibili anche ove magari dovessero risultare ben più lacunosi e parziali rispetto ai testi evangelici.

La storia, certo, non si può ridurre ad interpretazione storica, anche se i suoi fatti e i suoi significati oggettivi non possono sottrarsi al momento della verifica che è anche interpretazione. E ogni volta accade dunque che si abbia a che fare con determinati “punti di vista” (quelli che Max Weber definiva “idealtipi”) alla luce dei quali sia possibile per l’appunto ricostruire storicamente un fatto o un insieme di fatti. E’ però singolare che, solo quando si parla della risurrezione di Cristo secondo le pur chiare e collimanti testimonianze di discepoli e apostoli, molti storici di professione tendano ad arricciare il naso, e a dire il vero è questo anche il vizio di alcuni teologi “cattolici”, e a sentenziare con sussiego: “Per quanto riguarda questo argomento, disponiamo solo di alcune convinzioni ‘private’, solo di punti di vista personali e soggettivi quali quelli espressi dai cosiddetti evangelisti”.

E’ come se, una cosa riconosciuta vera da 100.000 persone (si fa per dire) fosse necessariamente più vera da un punto di vista storico rispetto ad una cosa riconosciuta vera solo (si fa per dire) da 1000 persone. In ogni caso, se i cristiani non ritenessero autentiche ed oggettive le testimonianze evangeliche sulla avvenuta risurrezione di Cristo, fonderebbero la loro fede sul nulla. Lo scrive e lo spiega con molta chiarezza san Paolo: «Ora, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo mentre di fatto non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini» (1Corinzi 15, 12-19).

Insomma, se i cristiani non credessero nella risurrezione di Cristo e quindi nella risurrezione di quanti avranno vissuto e saranno morti in Cristo come nell’aria che respirano o nell’acqua che bevono o nelle pietanze che consumano ogni giorno, sarebbero solo dei poveracci, dei poveri dementi e semplici disperati degni di essere commiserati più di tutti gli altri uomini.

Ma i cristiani coerenti e conseguenti, quelli che sanno fare veramente tesoro dei santi suggerimenti dello Spirito Santo, sanno che il valore della loro fede è indissolubilmente legato al fatto che si creda o non si creda intimamente nella risurrezione di Cristo non in senso puramente metaforico ma in senso radicalmente realistico. E’ difficile stabilire quanti cristiani oggi credano o crederanno profondamente fino alla fine della loro vita terrena in una risurrezione finale cosí intesa,  ma questo è ancora oggi e sempre sarà il vero banco di prova della fede dichiarata dai cristiani e dai cattolici in Cristo.

E’ difficile stabilirlo ma non è irrealistico pensare che, per molti di loro o di noi, non è o non sarà affatto semplice coltivare in modo stabile un simile convincimento nella parte conscia e nella parte inconscia del loro o del nostro io. Non è irrealistico, dal momento che, già al tempo di Gesù e di san Paolo, intorno alla realtà della risurrezione si fronteggiavano gruppi contrapposti di “credenti” e più esattamente i sadducei  che limitavano la fede in Dio e l’azione stessa di Dio alle cose di questo mondo e i farisei che invece credevano nella risurrezione fisica e spirituale dei morti.

Pertanto, sia esistenzialmente sia teologicamente, la risurrezione di Cristo è il primo e più alto articolo della nostra fede. Innanzitutto, perché testimonia dell’infinito potere di Dio, il quale non sarebbe onnipotente se, dopo aver  creato l’universo e la vita e dopo aver esercitato il suo potere su entrambi, non fosse poi in grado di risuscitare un morto. Un Dio che crei una vita, che non sopravviva alla morte o non si ricostituisca dopo la morte senza perdere la sua vitalità ma acquistando anzi ulteriore e indistruttibile vitalità, non è un Dio onnipotente. Un Dio che non avesse il potere di abbattere per sempre la morte non potrebbe essere degno di fede e di adorazione. E’ proprio nel risuscitare Gesù dalla morte che Dio ci dimostra incontrovertibilmente e ci ricorda perennemente la sua assoluta sovranità sulla vita e sulla morte.

In secondo luogo, la risurrezione di Gesù è proprio la peculiarità, la specificità del cristianesimo rispetto a tutte le altre religioni. Tutte le altre religioni, infatti, sono state fondate da uomini, profeti o santoni, che sono andati a finire e sono rimasti per sempre in una tomba. Solo il Dio cristiano è stato capace di diventare uomo, di morire per i nostri peccati e di risuscitare dopo appena tre giorni dalla morte. La morte ha provato a trattenerlo ma non ha potuto trattenerlo, perché Dio vive anche attraverso la morte e al di là della morte, perché Dio è vita sempre e comunque.

E’ alla luce della gloriosa risurrezione come fatto incontrovertibile e come oggetto non illusorio di fondata speranza cristiana che possono essere effettivamente compresi tutti i gesti e gli insegnamenti di Gesù, il suo rapporto con il Padre, l’autorità con cui si confronta con la religiosità ebraica rimettendo anche i peccati, i suoi stessi miracoli. Senza gloriosa risurrezione, perché mai, se non per pura ed inveterata abitudine o educazione, noi cristiani dovremmo credere in Gesù come in Dio venuto nella storia e nel modello di uomo e di umanità da lui insegnato e proposto e infine adoperarci al fine di realizzare nel miglior modo possibile già su questa terra il suo stesso Regno?

Solo alla luce della risurrezione possiamo capire realmente da che cosa il Cristo è venuto a salvarci in questa nostra storia mondana. E da che cosa è venuto a salvarci se non dal non senso di un’esistenza abbandonata a pura casualità, a fredda accidentalità? E dalla incomprensibile tirannia di semplici e impersonali meccanismi di potere o  di altrettanto arbitrari e irrazionali rapporti di forza?

La salvezza offerta da Cristo attraverso la croce e la risurrezione ha proprio questa funzione: di fare in modo che ogni uomo possa completamente realizzarsi per quello che è, che sa e che vuole secondo la Parola di Dio, e non perché in vario modo, o in sensi di volta in volta diversi, condizionato dalla schiavitù del potere o del denaro, dalle convenzioni sociali o dal riconoscimento altrui. In cielo saremo come, con l’aiuto di Dio, ci saremo sforzati di pensare, di vivere, di agire e di essere in terra. Ma, senza credere nella risurrezione come fatto storico ed extrastorico ad un tempo, come realtà radicata nella storia e tuttavia implicante un sempre rinnovato atto di fede,  non potremmo mai avere la forza di pensare, di vivere, di agire e di essere secondo quanto è gradito a nostro Signore Gesù Cristo e al nostro Padre celeste.