Preti solo con Maria

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Se Dio è entrato nel mondo terreno attraverso Maria, l’uomo potrà entrare nel mondo celeste e quindi nella vita eterna di Dio solo attraverso Maria. Dopo Cristo, l’uomo non può più amare e servire Dio senza Maria o a prescindere da Maria, ma solo in sua compagnia e per mezzo suo. Se Dio ha avuto bisogno di Maria per venire a salvarci, quanto più l’uomo avrà bisogno di lei per salire verso Dio? Questo vale per tutti e per ognuno di noi, in particolare per i sacerdoti che più direttamente partecipano o dovrebbero essere partecipi del sacrificio eucaristico di Cristo. Se Gesù ha avuto bisogno di una madre come Maria, a maggior ragione coloro che sono chiamati ministerialmente a seguirne le orme e a darne concreta e vissuta testimonianza dovranno avvertire la necessità spirituale di averla al proprio fianco non per pura convenzione religiosa ma per una meditata e responsabile scelta di vita.

Preti di Dio e di Cristo si può essere dunque solo con e non senza Maria nella mente e nel cuore, nei pensieri e negli atti di ogni giorno. Il sacerdote che ogni giorno dice in modo convinto: “Madre, fà che il Signore ascolti la mia supplica”, moltiplica le sue possibilità di essere ascoltato da Dio rispetto ad un sacerdote che, pur manifestando devozione dottrinaria alla santissima Vergine, non ne percepisca realmente la vitale presenza nell’ambito della sua quotidianità. Chi si genuflette dinanzi a Cristo deve genuflettersi nello stesso tempo dinanzi alla sua santissima Madre, non perché quest’ultima debba essere collocata sullo stesso piano di Dio ma semplicemente perché Dio stesso ha voluto e vuole che ella fosse e sia amata e venerata dello stesso o con lo stesso amore con cui gli esseri umani amano e adorano Dio: i Magi si genuflettono significativamente dinanzi a Dio e a Maria che lo stringe teneramente tra le sue braccia.

Poiché Dio è stato di Maria come di nessun altro e Maria è stata di Dio come nessun altro, solo entrando in intimo e costante contatto con Maria ognuno di noi e più segnatamente il sacerdote può ottenere di stabilire con Dio lo stesso legame che Dio ebbe con Maria e che Maria ebbe con Dio. Più forte è la comunione con Maria, più forte è la comunione con Dio. Con Maria veramente radicata nella propria psiche e nel proprio spirito, il prete, specialmente in un tempo come quello odierno in cui prevale una cultura omnipervasiva dell’immagine, non potrà mai correre il rischio di vivere il suo sacerdozio come una condizione privilegiata e più onorevole di vita rispetto a quella di qualunque altra persona, come ruolo gratificante e più esaltante di altri ruoli dal punto di vista psicologico e sociale, né potrà andare incontro a facili esaltazioni mistiche di tipo nevrotico o istrionico, ma lo avvertirà piuttosto come un’umilissima e “inutile” condizione volontaria di “rinuncia” ai beni e agli onori reali o possibili di questo mondo, come stato vocazionale liberamente scelto per abbassare e non per innalzare se stessi attraverso un servizio evangelico non retorico e puramente liturgico-istituzionale ma sostanziale e volto a trasformare sempre meglio la liturgia eucaristica nella liturgia stessa della vita.

Lo stesso linguaggio usato dal sacerdote potrà denotarne talvolta le effettive caratteristiche spirituali, nel senso che il presbitero abituato a parlare di sé più come di un “sacerdote” che come di un “prete”, più come di un “ministro” che come di un “presbitero” per l’appunto, potrebbe forse essere affezionato all’abito che porta e al ruolo che svolge piuttosto che all’obbligo evangelico di essere in tutto e per tutto disciplinato interiormente e di dedicarsi a forme non gradevoli e gratificanti ma faticose, stressanti e talvolta persino deprimenti di servizio pastorale.   

Il prete è umile non se parla di umiltà ma se si mette nella condizione di essere realmente umile, se si sforza sinceramente di essere umile come Maria, se non vuole essere umile per superbia, e quindi in realtà per ingrandire se stesso, ma vive concretamente e radicalmente in una condizione di vita in cui, per quello che fa oltre che per quello che dice, non può essere altro che obiettivamente umile anche se egli sperimentasse interiormente sollecitazioni di tipo contrario. Maria non ama psicologicamente e spiritualmente né potere, né ricchezza, né onori, né particolare visibilità mondana, né godimenti terreni non contemplati dal volere divino, semplicemente perché sa che il vero potere, la vera ricchezza e i veri onori, il superamento della propria relativa o assoluta invisibilità esistenziale e la fruizione di autentici e durevoli godimenti sono quelli che Dio concederà per l’eternità a chi avrà saputo amarlo e servirlo con comportamenti ed opere semplici ma sostanziali ed essenziali di carità totalmente disinteressata.

Tutti i cristiani e in special modo i preti devono dunque pregare ed imitare nel miglior modo possibile Maria, cioè la più spirituale di tutte le creature pur essendo stata radicalmente terrena, la creatura più amata dal Padre, la madre terrena ed eterna del Figlio unigenito, l’essere umano resosi docile più di ogni altro allo Spirito. Essi, per tutto questo, non possono minimizzare nella loro vita la presenza di Maria che è presenza atta a sostenere, consolidare, potenziare la fede in Cristo. Che la presenza di Maria sia vitale per la vita della Chiesa come per quella del singolo cristiano e degli stessi sacerdoti, è stato efficacemente espresso e sottolineato dal teologo Raymond Panikkar: «Tutto è importante: teologia, scienza, cultura, progresso, tutto è molto importante, però, senza Maria, la nostra vita cristiana è monca e qualsiasi concezione che si tenta di dare del cristianesimo diventa fallimentare» (Dimensioni mariane della vita, Vicenza 1972, p. 5).

Maria ricorda a noi tutti e ancora di più ai sacerdoti che vero credente in Cristo e suo vero seguace è solo colui che si predispone interiormente ad apprendere cose sempre nuove e ad ascoltare attentamente e senza pregiudizio tutti coloro con cui venga significativamente a contatto non solo in ambito ecclesiale ma in qualunque altro ambito della sua quotidianità. Maria infatti apprese cose importanti non solo dall’angelo Gabriele o da ispiratissimi spiriti religiosi come Simeone e Anna, ma anche da sua cugina Elisabetta, dai dotti ma “laici” magi orientali e da persone oltremodo lontane dalle “cose sacre” come i pastori. Tutto ella venne meditando e confrontando nel suo cuore sia sul piano sapienziale che su quello esistenziale, ivi compresi gli avvenimenti più drammatici della sua vita, senza mai pretendere di poter vivere di rendita (si allude allo straordinario annuncio rivoltole dall’angelo) e senza mai dare niente per scontato, ad eccezione della sua granitica fede in un Dio giusto e misericordioso. Maria rispose prontamente alla vocazione, venne assimilando e approfondendo in modo permanente e progressivo l’insegnamento del Figlio e i misteri di Dio nel fuoco delle brusche sollecitazioni della vita quotidiana, fu molto solerte e sollecita nell’annunciare la Parola di Dio prima con la visita ad Elisabetta e poi facendo missione con e nella Chiesa di Cristo.  

 Maria, in sostanza, incarna il perfetto modello del discepolo di Cristo. Pertanto, i sacerdoti, chiamati nella storia a costruire una chiesa sempre più fedelmente discepolare, trovano in lei e nelle sue virtù umane e spirituali il loro modello più alto che si devono sforzare di imitare. Come è stato ben scritto: «Maria è la lettera su cui Dio non ha scritto quello che gli uomini non sono e quello che non diventeranno mai, ma ha scritto chi sono, più ancora, chi dovranno essere per piacergli» (Mons. Michele Giulio Masciarelli, L’esercizio del presbiterato con Maria, in “Maria e il sacerdozio”, Atti del 30° Convegno Mariano tenutosi a Roma dal 28 al 30 dicembre 2009, Roma, Centro di Cultura Mariana, 2010, p. 287). Qui bisogna tener presente che Gesù non chiamò cristiani i suoi seguaci ma discepoli, per cui un cristiano che non sia innanzitutto e soprattutto discepolo fedele del Maestro è un assoluto non senso. Maria, per l’appunto, è colei che indica ai sacerdoti e a noi tutti, con il suo stesso modo di pensare, di credere e di vivere, la perfetta via del discepolato, che non è quindi perseguibile senza Maria.

Maria insegna che il discepolo di Gesù non si emancipa mai dal maestro per “mettersi in proprio” ma muore discepolo senza cercare di superare il maestro essendo consapevole del fatto che Gesù è non un maestro come tanti ma un maestro unico per sapienza e umanità, l’unico maestro da cui non è né desiderabile né conveniente emanciparsi perché un’ipotetica emancipazione da lui da parte del discepolo determinerebbe una drastica riduzione delle possibilità conoscitive e spirituali di quest’ultimo. Da questo punto di vista sarà sempre opportuno ricordare soprattutto ai preti di stare attenti a quello che dicono e al modo in cui lo dicono, oltre che naturalmente a quello che fanno. Infatti, specialmente oggi i preti sono non di rado esposti al rischio di un frenetico attivismo esteriore che si frappone oggettivamente al compimento di uno dei principali obblighi spirituali del sacerdote: quello di “stare con lui”, con il Signore (Mc 3, 14). Ma il sacerdote capace di stare non solo liturgicamente ma anche spiritualmente ed esistenzialmente con Cristo, sarà altresí tenuto ad essere un discepolo sinodale, cioè capace di “camminare insieme” agli altri e più segnatamente insieme a tutti coloro che versano in particolari condizioni di bisogno e di povertà materiale e spirituale. Tutti i cristiani sono chiamati ad essere sinodali ma il prete è o dovrebbe essere l’uomo sinodale per eccellenza.

In effetti, «la sinodalità segna la psicologia del popolo cristiano,… pellegrino per definizione» e «chiamato perciò a sviluppare una psicologia esodale, a coltivare un cuore di cercatori insonni del Dio vivente, a sviluppare una identità sinodale che corrisponda alle esigenze dell’accoglienza, della comunione, della convivialità, di una missione pensata e vissuta insieme» (ivi, p. 297). Donna e discepola sinodale esemplare fu Maria, che, specialmente dopo la morte di Gesù, non pregò da sola o per se stessa ma con gli apostoli e in mezzo agli apostoli di Cristo, ovvero con tutta la Chiesa e nella Chiesa di Cristo. Quella di Maria è una presenza sinodale e orante «nella Chiesa nascente e nella Chiesa di ogni tempo, poiché ella, assunta in cielo, non ha deposto la sua missione di intercessione e di salvezza» (Paolo VI, Marialis Cultus, n. 18).

Da chi, più che da lei, fedeli e sacerdoti potrebbero apprendere l’arte impegnativa della preghiera e della carità verso il prossimo e, più precisamente, verso i più bisognosi? I sacerdoti, di conseguenza, dovrebbero apprezzare ad amare il documento più alto della preghiera e della carità mariane, vale a dire il Magnificat, nello stesso modo in cui apprezzano ed amano il vangelo di Cristo, giacché il Magnificat, nato e ispirato direttamente da Dio o dall’angelo di Dio nello spirito di Maria dopo averne ella sentito in senso fisico-sensoriale la voce, è una preghiera, un canto di gioia e di lode, una incomparabile manifestazione di fede in un Dio non nebuloso ma dotato di una sua precisa identità personale e fedele alle sue promesse di giustizia nella storia e oltre la storia. Maria, nel Magnificat, annuncia quello che ha ascoltato e che ha ascoltato più esattamente fino a sentire nel suo orecchio, non metaforicamente ma realisticamente, la voce del Signore: la sua fede nasce dall’ascolto, anzi da un ascolto radicale che coincide persino con il sentire Dio che parla non solo nel cuore ma anche o proprio nell’orecchio. Fides ex auditu, avrebbe detto san Paolo, ma quello di Maria è un caso in cui la frase paolina deve intendersi alla lettera, senza nessuna forzatura o nessun alleggerimento di tipo spiritualistico.

Ora, i sacerdoti che amano intimamente e senza riserve Maria sanno bene grazie a lei che non avrebbe alcun senso annunciare la Parola di Dio se non innanzitutto ascoltandola in prima persona anche ma non solo attraverso mediazioni sacerdotali, teologiche, ecclesiastiche di tipo normativo e catechistico. La Chiesa di Cristo può annunciare la Parola solo a condizione che faccia sempre di nuovo esistenzialmente esperienza, attraverso un ascolto personale e comunitario non immaginario ma mai definitivo, del senso sempre antico e sempre nuovo della sua eterna ma inesauribile Parola di verità e di vita. Cristo stesso ha annunciato dopo aver ascoltato la voce del Padre; ha annunciato solo quello che, a più riprese e secondo modalità non scontate, ha ascoltato dal Padre nel quadro delle sue dolorose vicissitudini terrene e di un rapporto molto intenso con fratelli e sorelle di questa terra.

I preti che parlano di ascolto solo per motivi liturgici ed istituzionali non potranno mai proporsi come annunciatori credibili dell’insegnamento di Cristo. I preti che pretendono sia pure inconsciamente di avere una capacità di ascolto più profonda e significativa di quella di cui può essere dotato chiunque altro, si precludono seriamente la possibilità di annunciare e testimoniare in modo fecondo la parola divina; i preti che sotto sotto si sentono più rappresentanti di Dio in terra che non “inutili servi” di Dio e degli uomini, non possono che rinviare sine die il loro incontro con il Dio vivente che parla ai figli che ama. I preti, per essere veramente preti di Dio, hanno solo un modo: che siano preti non senza Maria, non anche con Maria, ma solo con Maria, perché solo se in lei hanno la loro unica bussola spirituale possono sperare di ascoltare un giorno e per l’eternità la vera e inconfondibile voce di Dio.