Manifesto di un nuovo partito cattolico

Scritto da Francesco di Maria.

 

Quando la politica non ha più profeti, ovvero persone credenti e non credenti che si occupino del bene comune non a chiacchiere o con idee solo apparentemente significative ma con irreprensibili condotte di vita e precise, rigorose e impopolari prese di posizione, suscettibili di esplicarsi coerentemente sul piano legislativo, a favore degli ultimi di sempre come i disabili, i malati, i nullatenenti, e dei “nuovi poveri” come intere masse giovanili prive di lavoro, disoccupati e cassintegrati, titolari di pensioni medio-basse, sino al punto di non sottrarsi al pubblico oltraggio pur di rimanere persone integerrime e serie, il mondo, la società e ogni forma di vita civile sono destinate ad impoverirsi ineluttabilmente sia in senso economico sia in senso morale e spirituale.

Per i cattolici in particolare, dopo la fine della Democrazia Cristiana, non si è mai data, certo per loro diretta responsabilità, un’occasione di rinascita e di unità politica all’interno di un partito che, pur rappresentando voci ed esigenze diversificate o variegate, fosse capace di coniugare al suo interno l’istanza di ben rappresentare punti fermi della loro fede quali quelli relativi ai princípi dogmatici da cui essa non può prescindere e ai cosiddetti “valori non negoziabili” con un’istanza forte di giustizia economica e sociale anch’essa a pieno titolo appartenente all’insegnamento evangelico e alla migliore storia dell’impegno cattolico nel mondo. Dopo la fine della Democrazia Cristiana, c’è stato Berlusconi e il berlusconismo, c’è stato l’illusionista delle folle e la sua capacità di manipolarle a proprio piacimento nel nome di un benessere nazionale sempre promesso ed esaltato ma mai realmente voluto e perseguito e di una concezione strumentale e demagogica della libertà volta ad affermare il primato dell’individuo sulla collettività e sugli stessi ordinamenti democratici dello Stato.

Alla fine per Berlusconi la condanna giudiziaria, troppo tardiva secondo alcuni e ingiusta secondo molti, è arrivata, mentre la sua mentalità, la sua filosofia di vita, il suo cinico e opportunistico pragmatismo, ha nel frattempo contagiato e inquinato la coscienza di molti italiani, ivi compresi quei cattolici che nella DC avevano militato solo per tornaconto personale e che nel partito dell’imprenditore lombardo hanno trovato per tanti anni un’occasione ancora più ghiotta per accaparrare vantaggi, profitti e privilegi personali.

Un lucido e coraggioso intellettuale cattolico come Aldo Maria Valli ha evidenziato come, all’indomani della condanna inflitta al “guitto Berlusconi”, non si può fare a meno di porre una domanda concernente i cattolici e le gerarchie: «come è stato possibile che per tanti, troppi anni la Chiesa istituzionale e un largo numero di sedicenti cattolici abbiano appoggiato quest’uomo? Com’è stato possibile che tanti cattolici, a tutti i livelli, abbiano votato e chiesto di votare per lui, che gli abbiano concesso credito, che lo abbiano visto come l’uomo della provvidenza? Com’è stato possibile che una parte, una larga parte del mondo cattolico non abbia provato un moto di spontanea ripulsa verso il guitto impegnato a usare la politica e gli italiani per il proprio tornaconto?» (L'esame di coscienza che non ci sarà, in www.vinonuovo.it, 3 agosto 2013).

Difficilmente a tale domanda si potrà dare una risposta perché i cattolici italiani generalmente non sono abituati a fare esami di coscienza troppo rigorosi e dolorosi e perché rispondere a questa domanda equivarrebbe a riconoscere «il vuoto culturale di un soggetto, il cattolico medio italiano, che sia sotto la Dc sia, e a maggior ragione, sotto l’ombrello berlusconiano non è mai stato abituato a pensare con la propria testa, a usare lo spirito critico, a distinguere tra senso dello Stato e opportunismo, ma si è lasciato guidare da una categoria tanto generica quanto comoda, l’anticomunismo, accontentandosi di parole d’ordine vuote» (ivi). Inoltre, osserva impietosamente Valli, «fare questo esame di coscienza equivarrebbe a togliere il velo steso sopra una classe dirigente ecclesiale in gran parte modesta e tremebonda, incline a non disturbare il manovratore e anzi a ingraziarselo, per ottenere vantaggi immediati. Fare questo esame di coscienza equivarrebbe a mostrare come la religione, separata dalla fede, diventi facilmente alibi per giustificare il non giustificabile, per chiudere gli occhi davanti all’arroganza del potere, per trasformare la stessa appartenenza di fede in strumento di potere e di sottopotere. Procedere con questo esame di coscienza equivarrebbe alla fin fine a mostrare il tradimento del Vangelo operato da tanti, sia chierici sia laici cattolici, che il berlusconismo o l’hanno sposato in pieno o l’hanno tollerato in silenzio o hanno cercato di utilizzarlo».

E infine, senza dimenticare che massicce dosi di berlusconismo sono state iniettate nel frattempo anche in quasi tutti gli oppositori politici ufficiali di Berlusconi che ne hanno enormemente favorito la durata politica proprio perché subalterni al “berlusconismo”, ecco la domanda più crudele ma anche più significativa: «Dov’erano i cattolici quando il guitto destabilizzava lo Stato con le sue battaglie ad personam? Dov’erano quando inebetiva gli italiani con i suoi circenses televisivi? Dov’erano quando separava la morale privata da quella pubblica infrangendo cosí uno dei pilastri della dottrina sociale della Chiesa? Dov’erano quando, palesemente e senza vergogna, divulgava con il proprio comportamento l’idea che con la ricchezza sia possibile guadagnarsi l’impunità?». La risposta è esplicita, veritiera e implacabile: «la verità è che la Chiesa italiana e gran parte dei cattolici, se si studia il loro rapporto con il guitto di Arcore, hanno sulla coscienza gravi peccati, sia di connivenza sia di omissione. Quando ne hanno preso le distanze lo hanno fatto timidamente e in ritardo, a scempio ormai compiuto, e comunque è difficile dimenticare certe immagini, come la folla del meeting di Rimini osannante nei confronti del guitto, accolto come un salvatore e riverito, incredibile dictu, come un vero statista» (ivi).

Fin qui una pars esclusivamente destruens del cattolico Aldo Maria Valli. Ma in questi giorni un altrettanto coraggioso e umile intellettuale cattolico, che risponde al nome di Edoardo Tincani e che l’“esame di coscienza” ha inteso farlo in profondità a cominciare da se stesso, si sta adoperando per approntare anche una pars construens, per far circolare quanto più estesamente possibile una sua proposta politica, non già di ricostituzione della “balena bianca” ma di formazione ex novo di un partito cattolico totalmente radicato nel vangelo stesso di Cristo: non un partito dei cristiani e dei cattolici (nonostante quanto sembrerebbe esprimere il sottotitolo del suo significativo volumetto “In politica con più fede. Un nuovo partito dei cristiani?”, Reggio Emilia 2012), perché sarebbe non solo presuntuoso ma anche impossibile perseguire una soluzione del genere, ma un partito di cristiani e di cattolici che si sforzi, come un “piccolo resto” della politica, di far germogliare la speranza altrimenti irrimediabilmente perduta di poter migliorare, senza retorica e senza proclami programmatici ma solo con la saggezza e l’audacia della fede in Cristo Signore della vita e della storia, l’esistenza individuale e collettiva sino a renderla sensibilmente più dignitosa di quanto oggi non sia.

Questo è il principale nucleo ispiratore della proposta di Tincani, che non indulge né a manifestazioni di orgogliosa indipendenza spirituale dalle gerarchie della Chiesa né a forme di calcolato o interessato ossequio verso le stesse gerarchie ecclesiastiche, anche perché quest’ultime, egli nota giustamente, non di rado vengono assumendo e svolgendo ruoli politici “impropri” o comunque molto più adatti a dei laici credenti che abbiano conoscenze e competenze ben più specifiche e puntuali. Il fatto è che Tincani, da cristiano colto e sensibile, non ritiene più sopportabile cristianamente assistere ad un epocale naufragio della politica e della politica democratica, sempre più incapace di dare risposte vere e non fittizie a ciò per cui nacque storicamente e in funzione di cui può giustificarsi la sua stessa ratio originaria e costitutiva: ai problemi e alle necessità della gente comune e, più specificamente, dei ceti popolari meno abbienti.

Egli è ben consapevole di come «la globalizzazione dei mercati, delle tendenze culturali, delle strategie del terrore, cosí come la scarsa attitudine della politica nel fornire alle persone risposte soddisfacenti alle incognite del lavoro, della sicurezza o della stessa tenuta del loro indebitatissimo Stato» rendano non più prorogabile un impegno politico cattolico oltremodo ravvicinato (p. 34), e  rileva poi che lo scollamento tra fede e vita, le divisioni non solo politiche esistenti tra i cattolici e nella Chiesa, il sostanziale “disimpegno” politico di cattolici non convenzionali e tuttavia isolati, sono diventati d’altra parte troppo macroscopici e abnormi perché dei credenti che siano in possesso di una coscienza cristiana ancora sufficientemente vigile, reattiva e caritatevole, possano continuare a far finta di non vedere e a starsene in disparte in attesa che qualcosa di nuovo possa succedere quasi meccanicamente.

E’ giunto il tempo di agire. C’è un tempo per formarsi (l’allusione è alle curiali “formazioni permanenti” cui si assoggettano di buon grado molti credenti laici) e c’è un tempo per agire anche e soprattutto in politica non per trarne benefici personali ma solo per sacrificarsi e mettere i propri talenti a disposizione degli altri, della comunità nazionale e persino internazionale. Sí, perché Tincani rileva che oggi la politica ritrova il suo o un suo senso solo se torna ad essere capace di riorientare il mondo e non questo o quel settore della vita nazionale, solo se si mostri in grado non di subire ma di riorientare la finanza e l’economia di cui la prima è solo parte, e in sostanza di riequilibrare i rapporti tra le diverse forme di potere (economico-finanziario, etico-giuridico, burocratico-amministrativo) sulla base di una ritrovata tendenziale centralità della politica. 

Non è più tempo di confronto tra scuole cattoliche di pensiero, di convegni e giornate di studio, di ennesimi proclami politici dei vescovi. Bisogna che chi sente realmente vivo Cristo nella sua vita, nel suo cuore, nei suoi progetti e nelle sue speranze, si dia da fare per ritrovarsi insieme a quanti avvertano la medesima necessità di agire, di offrirsi onestamente, di servire gli altri con dedizione e inequivocabile spirito di carità. Occorre oggi che ci siano dei “tralci” anche e soprattutto in politica se non si vuole che, salvo che nelle omelie e nelle predicazioni istituzionali e solitamente un po’ astratte di vescovi e preti, il mondo resti senza luce e la terra senza sale. Cristo, più che la sua stessa Chiesa ma possibilmente insieme alla sua Chiesa, deve animare i nostri pensieri e muovere i nostri passi di cattolici giustamente convinti che egli sia l’unico rivoluzionario della storia non solo perché capace di farci superare le angustie, i limiti e la fine della nostra esperienza storico-umana nel quadro della sua vita divina che continua dopo la morte e in cui le nostre vite non avranno più fine, ma anche perché egli è venuto a cambiare radicalmente il mondo non solo in senso genericamente spirituale ma anche in un concreto e specifico senso economico, sociale e politico.

Questo è precisamente l’impegno inderogabile dei cattolici: operare e militare in politica da figli di Dio, uniti saldamente a Cristo come i tralci sono strettamente uniti alla vite, incapaci di produrre cose buone da soli ma di produrne senz’altro insieme a lui  e in lui. Un partito dei “tralci”, scrive Tincani, ma un partito che forse, proprio in ossequio a questa bellissima e impegnativa immagine del tralcio evangelico, potrebbe anche denominarsi felicemente “vangelo e democrazia” o “vangelo e democrazia popolare”, dove il termine “vangelo” sarebbe tra l’altro il vero discrimine tra una concezione “laicista”, licenziosa o permissiva e demagogica o populista, e una concezione religiosa e cattolica (non nel senso di confessionale ma di “universale” e quindi di aperta a tutti e al contributo di tutti gli uomini di buona volontà) della politica e della democrazia.

Dunque: “cercansi tralci”, è l’appello di Tincani. Chi pensa di poter essere un tralcio evangelico e non inutile intralcio in politica, si faccia avanti, si presenti, si qualifichi: con l’aiuto di Cristo Tincani, primo e principale responsabile di questa necessaria ed auspicabile impresa politica, cercherà di capire, di distinguere, di fare la migliore selezione possibile, di metter su un partito leggero, agile ed efficiente dal punto di vista statutario, organizzativo e finanziario, massmediale e programmatico, di farvi confluire energie intellettuali e spirituali vigorose, sane, laboriose, che sotto la benevola assistenza di Cristo potranno far lievitare il Regno di Dio anche nel complicatissimo mondo politico nella misura del cento, del sessanta o del trenta per cento, tenendo ben presente che il primo e non eludibile obiettivo di una seria ed evangelica azione politica non può che essere in questo momento storico la lotta intelligente e responsabile ma convinta e necessaria per una profonda e radicale ridefinizione di tutti i trattati internazionali ed europei che, tutti indistintamente e acriticamente subordinati alla indiscussa ma molto problematica logica dei cosiddetti “debiti pubblici”, risultano realisticamente finalizzati non già al progresso economico e civile dell’umanità ma al suo ineluttabile e globale declino. 

Il libro di Tincani è bello, ispirato, profetico! E’ un prezioso e coraggioso anche se non ancora esaustivo manifesto delle direttrici lungo le quali presto potrebbe cominciare il suo cammino di testimonianza e di concreto impegno politico il nuovo ed evangelico partito cristiano e cattolico cui l’audace e generoso fratello di Reggio Emilia ha già saputo dare un vitale e lodevole impulso.  Generoso ma anche sapiente e non sprovveduto fratello cattolico che avverte perentoriamente quanto segue: il nuovo partito dovrà «tenere il più possibile lontano dalla propria dirigenza arrampicatori e personaggi subdoli del sottobosco politico perennemente pronti a riciclarsi o a rifarsi una verginità politica» (p. 83). Che Dio lo illumini e lo benedica!