Guai ai cristiani troppo benvoluti dal mondo!

Scritto da Massimiliano Farinotti on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Gesù ammonì i discepoli:  “Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi” (Lc 6, 24-26).  I veri discepoli di Gesù infatti sono segno di contraddizione: “Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo (…) il mondo vi odia. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 16, 18-20).

Poi Gesù indicò ai suoi discepoli questa beatitudine: “Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli” (Lc 6,20-23).

Ora, si capisce bene che se capitasse ad un cristiano di essere portato in trionfo sui mass media di tutto il mondo e magari nell’arco di un periodo molto esteso di tempo, quel cristiano dovrebbe preoccuparsi, specialmente nel caso in cui non avesse fatto nulla per difendere Gesù Cristo e la sua Chiesa dagli attacchi o dagli sberleffi del mondo. Il cristiano che cerca il consenso o l’apprezzamento del mondo pagano e di quello stesso mondo cristiano cosí sensibile ai richiami del mondo e cosí compromesso con le sue logiche di potere e di ricchezza, è un cristiano che offende la sua identità, che calpesta la sua dignità, che tradisce la testimonianza cui sarebbe tenuto. Il cristiano che critica la Chiesa per farsi amare da laici o non credenti è solo un cristiano che, suo malgrado, lavora contro il Regno di Dio, mentre solo il cristiano che criticasse amorevolmente comportamenti errati dentro o fuori della comunità ecclesiale e la sua stessa Chiesa a causa di una insufficiente percezione di giuste istanze evangeliche  o di possibili e vistosi cedimenti spirituali nei confronti di talune equivoche aspettative terrene, o che prendesse posizione contro quest’ultime per tenere alta la salvifica croce di Cristo, potrebbe esser certo di meritare, nonostante l’odio degli uomini e la possibile avversione di tanti suoi compagni di fede, l’amore di Dio.

Certo, non è ammissibile che un cristiano faccia il controcanto sistematico e puntuale al magistero dei papi e della Chiesa, anche se, per mera ipotesi, avesse buone ragioni teologiche per farlo, perché la sua testimonianza di verità non può andare disgiunta dall’umiltà e dalla prudenza evangelica. Né è possibile che egli sia dialogante e possibilista sino al punto di riconoscere la paritarietà di tutte le religioni o di offrire accoglienza alle teorie più aberranti (aborto, divorzio, eutanasia, matrimonio gay) del più avanzato pensiero moderno e contemporaneo.

A volte, noi cristiani dimostriamo di tenere più all’amicizia degli uomini che a quella di Dio e di piegare la nostra esigenza di verità eterna a esigenze di natura utilitaristica o edonistica. Non è un caso che san Paolo profetizzasse quanto segue: “Verranno giorni, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità, per volgersi alle favole” (Tm 4, 3-4). Una profezia che tuttavia non deve intendersi come assolutoria nei confronti di quegli altri cristiani che pensano di aver esaurito il proprio compito nel ripetere passivamente i dogmi e gli insegnamenti della Chiesa come se quest’ultimi non richiedessero ogni volta di essere ripensati e approfonditi, per trarne, sotto il vigile e benefico influsso dello Spirito Santo, significati sempre nuovi e sempre più ricchi di senso spirituale.

Qui, il problema della fedeltà a Dio non si può semplificare fino a farlo coincidere con il problema dell’orientamento tradizionalista o progressista del cristiano. Le etichette hanno solo un valore indicativo ma quel che conta, agli occhi di Dio, sono la sincerità e la profondità dello sforzo con cui ogni essere umano cerca di intendere correttamente i suoi insegnamenti e di eseguire rettamente  i suoi comandi, non solo e non tanto in ambito teologico ma anche e soprattutto nel quadro della propria vita spirituale e della propria attività quotidiana. Saranno certo diversi i modi di conoscere e di servire il Signore, a condizione che non si pensi che la salvezza offerta da Cristo possa essere più facilmente raggiunta da persone colte e dotate di raffinata intelligenza.

Non è cosí, essendo quest’ultime le più esposte al peccato di superbia e vanagloria e dunque alla possibilità di allontanarsi da Dio. Come scrive significativamente san Paolo:  «“Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti”. Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? Poiché… è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione… Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini”» (1Cor 1, 17-25). Questo avvertimento vale anche per i dotti di fede cristiana che, pur non mettendo in discussione il valore salvifico della croce, possono essere tentati di elaborare teorie o idee cosí sofisticate ed astratte sui punti più nevralgici del messaggio evangelico e della fede in Cristo da correre il serio pericolo di cadere nell’eresia o in una apostasia pratica e teorica.

Particolare diffidenza deve ispirare, sia sul versante dei tradizionalisti che su quello dei progressisti, quella inconsapevole saccenteria con cui ci si vorrebbe talvolta ergere a “difensori della verità” che abbiano anche l’ardire di dividere “i capri dalle pecore”, i preti giusti da quelli finti, i vescovi veri da quelli falsi e cosí via. Questo proprio ad un cristiano non è consentito. E’ consentita persino la più ardente e veemente testimonianza, volta tra l’altro ad ammonire, ad esortare o a correggere, ma il giudizio su chi si salva e su chi si perde spetta solo al Signore. Soprattutto certi “superapostoli” contemporanei, che, come al tempo di san Paolo, parlano moltissimo di Cristo solo per parlare e far parlare moltissimo di se stessi, dovrebbero essere tenuti debitamente a distanza, sia nel caso in cui rivendichino una Chiesa gelosamente arroccata sui suoi dogmi e tendenzialmente chiusa al mondo e alle sue ricorrenti “novità”, sia nel caso in cui rivendichino una Chiesa pur sempre custode delle principali verità della fede ma più capace di interagire con i molteplici aspetti della concreta processualità storica. Anche se il pericolo è quello per cui, per il timore di restare irretiti nelle allettanti ma pretenziose predicazioni di qualche “superapostolo”, si possa finire per negare ascolto ad autentici apostoli di Cristo!

Ciò detto e precisato, occorre tuttavia precisare che, per sua natura, un cristiano non potrà mai essere in sintonia con il mondo, perché il mondo è sempre troppo carico di peccato e di iniquità perché esso non debba essere combattuto nel nome e nel segno della “pace di Cristo” e dunque della sua verità e della sua giustizia. Un cristiano deve certo farsi operatore di pace nel mondo ma a patto che sia anche “affamato e assetato della giustizia” divina e non semplicemente per amore di quiete personale e di ordine sociale e politico. Il cristiano deve farsi portatore di pace a due livelli: un livello personale, dove dovrà sforzarsi di affrontare e risolvere continuamente i propri conflitti interiori in conformità alle sante prescrizioni di Cristo; un livello comunitario e sociale, dove pacificamente ma energicamente dovrà impegnarsi con spirito comunitario e di condivisione per contribuire a perseguire non già un bene pubblico puramente formale ma un bene pubblico radicato innanzitutto su una distribuzione equilibrata ed equa delle ricchezze disponibili. Quanto più amerà la pace, tanto più il cristiano si sentirà chiamato ad assolvere un ruolo di combattente, di soldato di Cristo a tutti i livelli.

E anche per questo egli non potrà mai essere troppo amato né dal mondo né forse da parte della sua stessa comunità spirituale e religiosa. Il giorno in cui venisse universalmente osannato nel mondo o unanimemente apprezzato e lodato nella sua stessa comunità, egli dovrebbe seriamente preoccuparsi, perché, parole di Gesù, un vero cristiano, prima o poi e in un modo o nell’altro, non può non essere contrastato e odiato:  «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi». In questo principalmente è la misura della nostra fedeltà a Cristo.