Immacolata Concezione: aspetti teologici e storici

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

1.   Preliminari teologici 

Il dogma cattolico dell’Immacolata Concezione fu proclamato da papa Pio IX l’8 dicembre 1854 con la bolla Ineffabilis Deus, la quale sancisce che la Vergine Maria è stata preservata immune dal peccato originale sin dal primo istante del suo concepimento. Questo dogma non va confuso con il dogma della perpetua verginità di Maria, dogma anch’esso molto importante ma ben distinto e diverso dal primo, in quanto l’Immacolata Concezione ha a che fare con il peccato originale e non semplicemente con una qualche forma di peccato o peccaminosità attuale come potrebbe essere per esempio la mancanza di purezza o di illibatezza fisica e spirituale

Per quanto riguarda l’illibatezza di Maria, prima durante e dopo la nascita di Gesù, essa peraltro non implica necessariamente l'estraneità della ragazza di Nazaret al peccato originale anche perché è solo il risultato di un prodigioso intervento divino che si sarebbe potuto compiere anche se Maria fosse stata maculata e non immacolata: si pensi, per esempio, ad un altro prodigioso intervento di Dio come quello compiuto a favore di Sara, moglie di Abramo, che avrebbe concepito un figlio in età oltremodo avanzata e che non era certo immacolata.

Il dogma in parola non va altresí confuso con l’altro dogma della divina maternità di Maria e quindi anche con il concepimento verginale di Gesù da parte di Maria, pur essendo indiscutibile il concepimento immacolato di Gesù nel grembo di Maria, perché da tale fatto, per quanto prodigioso, non può ancora dedursi la natura immacolata di Maria, essendo logicamente evidente che Maria non possa essere ritenuta immacolata solo alla luce di una sua verginità biologica e della natura ovviamente incontaminata del Salvatore del mondo.

Il dogma in questione riguarda invece frontalmente il peccato originale, nel senso che per la Chiesa cattolica la madre di Cristo, pur essendo una creatura tra creature, fu resa esente da Dio dal peccato originale con cui ogni essere umano nasce. Va precisato o ribadito che il peccato originale non si riduce semplicemente ad un peccato originale di concupiscenza e quindi ad un peccato di ordine sessuale ma si riferisce o si estende ad un peccato più generale di orgoglio e di insubordinazione a Dio, alla sua legislazione, alla sua volontà. Anzi, la concupiscenza umana si spiega come effetto di una trasgressione più originaria e più grave di quella meramente sessuale perché volta ad infrangere il rapporto di dipendenza da Dio: tutto, qualunque cosa, il Signore avrebbe perdonato all’interno di questo rapporto di dipendenza, mentre nessuna colpa, ivi compresa quella di carattere sessuale, Egli ha potuto e voluto perdonare nel momento in cui ad essere messi in discussione furono il senso e il valore della sua stessa creazione.

Il peccato originale, dunque, non è tanto in un atto o più atti di “debolezza umana” (cui ipoteticamente la stessa Maria avrebbe potuto essere soggetta), ma nella superba indisponibilità a riconoscere l’errore, il peccato, la colpa, e a ricomporre, con una sincera richiesta di perdono, l’armonioso rapporto con Dio. Maria, per l’appunto, fu riconosciuta e proclamata dogmaticamente Immacolata Concezione non tanto perché fosse ipoteticamente priva delle naturali debolezze di ogni essere umano o delle comprensibili fragilità esistenziali di ogni creatura ma per la sua assoluta innocenza spirituale che non poteva non riflettersi sulla sua vita corporea e sulla materialità dei suoi atti quotidiani, per la sua incorruttibile moralità, per il suo amore incondizionato verso il Creatore, per la sua granitica fiducia nella misericordia e nella giustizia di Dio, per la sua indistruttibile fedeltà all’Altissimo.   

Ma, posto che tutto ciò sia concettualmente legittimo, perché fu riconosciuto e proclamato il dogma dell’Immacolata Concezione? Con quali specifiche argomentazioni teologiche? Perché solo Maria ottenne la grazia di restare nella condizione stessa di santità in cui Dio aveva posto Eva prima che ella cedesse alla tentazione di Satana e dunque il privilegio di non risentire della mortale malattia ereditaria contratta da tutto il genere umano con il peccato originale? Perché solo lei e non anche quegli uomini e quelle donne che, nel corso della loro vita, avrebbero dato prova a loro volta di eccelsa santità?  Il dogma recita testualmente: «…dichiariamo, affermiamo e definiamo la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certo ed immutabile per tutti i fedeli».

Ora, questa formulazione dogmatica recepisce l’idea, espressa coraggiosamente da Procolo o Proclo patriarca di Costantinopoli nel secolo V e noto anche per aver efficacemente contrastato l’eresiarca Nestorio, di un intervento speciale di Dio nella creazione della futura madre del suo Figlio unigenito, affinché fosse una creatura nuova, formata “da una argilla monda” come era quella da cui era stato tratto Adamo prima del peccato originale. Il testo di Proclo fu ritenuto cosí rappresentativo della dimostrazione immacolista da confluire per l’appunto nella bolla “Ineffabilis Deus” di Pio IX.

Ma questo dogma mariano, anche alla luce della sua travagliatissima storia, era obiettivamente cosí ardito che solo l’intima convinzione di essere assistito da una presenza sovrannaturale avrebbe consentito al pontefice cattolico di resistere alla tentazione di non promulgarlo pur dopo averlo sottoposto ad un lungo e complesso iter procedurale e al vaglio di circa 600 vescovi. Egli stesso avrebbe raccontato in questi termini, alle suore del Buon Pastore di Imola nel 1857, lo stato mistico in cui venne a trovarsi al momento della definizione dogmatica: «Quando incominciai a pubblicare il decreto dogmatico, sentivo la mia voce impotente a farsi udire alla immensa moltitudine che si pigiava nella Basilica vaticana; ma quando giunsi alla formula della definizione, Iddio dette al suo Vicario tal forza e tanta soprannaturale vigoria che ne risuonò tutta la Basilica. Ed io fui tanto impressionato da tal soccorso divino che fui costretto a sospendere un istante la parola per dare libero sfogo alle mie lagrime. Inoltre, mentre Dio proclamava il dogma per bocca del suo Vicario, Dio stesse dette al mio spirito un conoscimento sí chiaro e sí largo della incomparabile purezza della santissima Vergine, che inabissato nella profondità di questa conoscenza, che nessun linguaggio potrebbe descrivere, l’anima mia restò inondata di delizie inenarrabili, di delizie che non sono terrene, né potrebbero provarsi che in cielo».

Ritornando al modo in cui il dogma è stato formulato, si può notare che esso non riguarda direttamente la santità di Maria, né la sua preservazione dalla concupiscenza intesa come lussuria, dal momento che, come insegna il caso di Eva, l’assenza di peccato originale denota solo lo stato iniziale di beatitudine in cui l’umanità si è venuta a trovare per grazia di Dio e non la convinta e definitiva accettazione di tale stato di santa beatitudine da parte dell’umanità stessa. Il non aver ancora contratto il peccato originale, dunque, non esime automaticamente la creatura che abbia beneficiato della grazia divina da una sua libera e responsabile scelta e dalla connessa decisione di perseverare o meno nel suo stato originale di santità, né la esime dalla possibilità stessa di cedere alla concupiscenza della carne, anche se le assicura il massimo di felicità per essa previsto da Dio congiuntamente al privilegio dell’immortalità.

Tutto ciò, nel caso di Maria, implica che ella, pur dotata di assoluta integrità fisica e spirituale sin dal primo istante del suo concepimento naturale, pur non risentendo cioè in alcun modo delle conseguenze nefaste del peccato originale e destinata come Eva all’immortalità, pur avendo ricevuto questa grazia e questo privilegio straordinari da Dio ab aeterno, e quindi prima del tempo e fuori del tempo, in vista dei meriti salvifici che avrebbe acquisito Gesù Cristo con la sua faticosa e dolorosa opera redentiva, non sarebbe stata esonerata dal lottare, nel corso della sua vita terrena, contro il peccato e ogni forma di tentazione letale, ivi compresa quella della concupiscenza, ma, sia pure non indebolita geneticamente ed esistenzialmente dagli effetti malefici del peccato originale, si sarebbe trovata solo nella migliore condizione possibile per poter contemplare il volto glorioso di Dio e per poterlo amare in totale spirito di servizio e fedeltà.

Questo è un punto molto importante, perché qui è in gioco la possibilità di capire che la madre di Cristo e di Dio non ha svolto un semplice ruolo passivo ma anche un preciso ruolo attivo nella complessiva economia divina della salvezza. Il dogma dell’Immacolata Concezione, in altri termini, non afferma che Maria non potesse peccare ma solo che ella, contrariamente a ciò che sarebbe toccato al resto del genere umano in conseguenza del peccato originale, avrebbe conservato la prerogativa divina della santità e dell’immortalità sino a quando fosse stata capace, con il costante sostegno dello Spirito Santo, di rispettare ed eseguire fedelmente la volontà di Dio, pur se sempre per effetto dei meriti conseguiti da Cristo. Se Maria non avesse avuto la possibilità di peccare e non si fosse quindi sentita soggettivamente esposta al peccato, nonostante la sua fede, la sua assoluta purezza, la sua totale verginità fisica e spirituale, avrebbe forse potuto cantare nel "Magnificat" il celebre versetto "il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore"? Qui Dio non è ancora Gesù ma il Dio dei padri, della migliore fede ebraica: se Maria non si fosse sentita soggetta a debolezze e a tentazioni di nessun genere, perché mai avrebbe dovuto identificare Dio con il suo Salvatore: da che cosa Maria desiderava di essere salvata, di essere liberata, se non, come una comune peccatrice, dal peccato, dal male che ne deriva e dalla morte eterna?  

Che Maria sia stata assunta in cielo, in corpo e anima, subito dopo la sua morte è il premio che Dio ha voluto riservare a colei che, pur immacolata di natura e di nascita, sarebbe stata capace di perseverare nel corso di tutta la sua vita terrena, per sua propria scelta e con ammirevole impegno spirituale, nella sua condizione privilegiata di originaria e originale illibatezza fisica e spirituale. 

In definitiva, quindi, il dogma ci dice che Maria di fatto non ha commesso alcun peccato, né mortale né veniale, in tutta la sua vita, a causa di un privilegio divino in virtù del quale tuttavia sarebbe stata chiamata da Dio stesso a farsi carico di un compito ben più gravoso di quello generalmente affidato ad ogni essere umano. D’altra parte, c’è da considerare che, se Maria fosse stata maculata, cioè contaminata dal peccato originale, Gesù, nascendo da lei, sarebbe stato a sua volta necessariamente contaminato dalla sua natura peccatrice, benché qui sia possibile sollevare la seguente obiezione: se Dio è stato capace di proteggere Maria dal peccato, non avrebbe potuto proteggere Cristo dal peccato direttamente, ovvero senza la mediazione della natura immacolata di Maria e della sua stessa maternità? A questa obiezione è legata la posizione critica che nei confronti di questo dogma mariano hanno sempre assunto non solo i protestanti ma anche gli ortodossi, per i quali l’Immacolata Concezione non sarebbe né teologicamente necessaria né biblicamente fondata o giustificata. Per cui il dogma cattolico risulterebbe privo di fondamento.

Ma la Chiesa risponde che il suo dogma è necessario perché, senza l’Immacolata Concezione, Gesù, almeno nella sua natura umana, sarebbe stato oggetto della sua stessa grazia. Vale a dire: se la natura di Maria fosse stata maculata, la natura umana di Gesù avrebbe potuto essere preservata nella sua assoluta santità ed immacolatezza solo in modo miracoloso, il che in altri termini significa che Dio avrebbe dovuto graziare se stesso, ma questo sarebbe una contraddizione in termini perché la grazia, quindi un “favore immeritato”, può essere concessa da Dio a qualcuno che, proprio per ragioni ontologiche, non merita, ragion per cui Dio, che è perfetto in tutti i sensi già per definizione, non può certo graziare se stesso.  

Non fu dunque necessaria alcuna “grazia” per proteggere Gesù dal peccato. Essendo Dio incarnato, Gesù era nella sua essenza “immune” dal peccato. Senonché, Dio volle che il suo Cristo assumesse la natura umana nascendo normalmente da donna e volle rendere immacolata questa donna sin dall’origine del suo concepimento semplicemente perché ritenne giusto che quella donna-madre, chiamata a concepire il Figlio di Dio e pur senza averne alcun merito, avesse una natura umana immacolata come quella, umana e divina, del Figlio, in modo che madre e figlio avessero in comune la stessa predisposizione ad obbedire al Padre sia pure per assolvere funzioni salvifiche diverse.

Dio operò il miracolo su Maria, che era “piena della sua grazia”, perché era conveniente, per la sua opera di salvezza e per i meriti che avrebbe acquisito nella persona storica del Figlio e del Salvatore dell’umanità, che il grembo e il cuore di colei che aveva voluto prontamente e fedelmente collaborare al suo piano salvifico e redentivo fossero resi immacolati sin dal momento in cui era stata concepita. Questo privilegio mariano è dovuto all’amore incontenibile e grato che Dio ha inteso tributare per l’eternità a colei che le si sarebbe offerta oblativamente per amore. Nel renderla immacolata Dio ha avuto fede in quella bellissima e umile creatura a sua volta innamorata di Dio più che di qualunque altra cosa o persona.

Con ciò, non è che Maria non potesse peccare. Poteva peccare come aveva peccato l’immacolata Eva prima di mangiare disgraziatamente dell'albero della conoscenza del bene e del male, ma Maria, alla cui creazione, sia pure attraverso la normale via biologica della generazione umana, Dio si sarebbe per cosí dire dedicato con particolare attenzione e minuzioso impegno, avrebbe mostrato ben altra tempra rispetto ad Eva e non avrebbe mai trasgredito, pur non vivendo nel mondo edenico di perfezione e di santità in cui era stata collocata Eva originariamente ma in un mondo ormai corrotto e peccaminoso che solo Cristo, con il suo amore e il suo sacrificio espiatorio, avrebbe potuto redimere. In tal senso, Maria è stata veramente il capolavoro di Dio e forse anche il suo più grande miracolo di cui abbia potuto e potrà sempre beneficiare l’umanità.

E, poiché era spiritualmente giusto che Maria dovesse vivere nascostamente la sua vita in funzione della gloria di Cristo, si può ben comprendere perché Bibbia e Vangelo siano su di lei talmente sobri o lacunosi da non favorire affatto un’adeguata comprensione teologica del significato complessivo e delle diverse articolazioni del suo misterioso destino esistenziale. Nelle Sacre Scritture si possono trovare solo pochi indizi e scarsi accenni allusivi e profetici circa il ruolo che Maria avrebbe svolto nell’economia generale della salvezza divina, ma non certo prove incontrovertibili della sua immacolata concezione, anche se il lettore particolarmente ispirato non sente il bisogno di prove incontrovertibili per accoglierla intuitivamente nella sua mente e nel suo cuore.

D’altra parte, Gesù aveva avvertito i suoi che non avrebbe potuto loro comunicare tutte le cose che sarebbero pur rimaste da comunicare, perché essi non avrebbero potuto ancora capire in quel momento determinate verità il cui senso solo gradualmente le future generazioni avrebbero potuto acquisire e approfondire con l’aiuto dello Spirito Santo o del divino Paraclito (Gv 16, 12-15). Una di queste verità, pur rivelate da Cristo ma non nella loro pienezza e suscettibili di essere progressivamente approfondite e assimilate nel tempo da parte delle future generazioni, era ed è probabilmente proprio il mistero dell’Immacolata Concezione di Maria.    

 

2. Breve storia del dogma

Perché l’Immacolata Concezione della Vergine Maria è stata riconosciuta sul piano dogmatico solo nel 1854? E’ una domanda che può essere considerata legittima se si pensa al ruolo fondamentale assolto oggettivamente da Maria di Nazaret nel piano divino della salvezza e se si considera l’enorme e appassionata venerazione popolare di cui, sia pure con qualche eccesso, la madre di Gesù ha sempre goduto nel corso dei secoli.

La verità è che storicamente, su questo argomento, intuito e sentimento popolari da una parte e sapere e giudizio teologici dall’altra hanno sempre seguíto vie sostanzialmente diverse anche se talvolta parzialmente convergenti. Si può anzi dire che il popolo cristiano, il sensus fidelium, la religiosità o la pietà popolare, sono sempre venuti esercitando sulla teologia dotta o colta della Chiesa e sullo stesso magistero pontificio una relativa egemonia che alla fine, sia pure tra ricorrenti incertezze e perplessità dell’intelligencija ecclesiastica, avrebbe spinto quest’ultima a riconoscere la fondatezza e la legittimità dogmatica della immacolata concezione di Maria.

Leggendo il “Protovangelo” di san Giacomo, che tratta della vita di Maria, si comprende come il popolo di Dio amasse la madre di Gesù sin dalle prime comunità cristiane. E’ dall’inizio della storia cristiana che la fede popolare, specialmente quella fiorita in Oriente, ha attribuito a Maria epiteti come “tutta bella, tutta santa, intemerata, senza colpa, più pura degli angeli” e via dicendo, a testimonianza dell’alta concezione che c’è sempre stata nella fede della gente semplice e umile circa la perfetta santità di colei che sarebbe diventata la teotòkos, ovvero la Madre di Dio.

Peraltro, anche se per i primi due secoli dell’era cristiana la figura di Maria è quasi del tutto assente nella letteratura cristiana (fanno eccezione Giustino di Nablus e Ireneo di Lione con il loro confronto tra Eva e Maria), la stessa successiva attenzione teologica verso di lei, pur non segnata da interpretazioni sempre univoche o convergenti benché sempre rispettosissima della sua divina maternità, risulta sempre più insistente e consistente e, a vario titolo, la sua figura, già nel IV secolo introdotta nel canone della messa in Oriente, diventa poco per volta oggetto di culto anche in Occidente, prima e parzialmente nelle feste mariane legate alla pietà popolare e agli apocrifi e poi anche, con prudenza ancora maggiore, in ambito liturgico.

Tuttavia, per quanto riguarda la Chiesa cattolica occidentale, non si può affermare che, almeno sino all’anno mille, esistesse in essa un vero e proprio culto mariano.   

E, proprio per avere un’idea della resistenza opposta nel campo cattolico occidentale in particolare al dogma dell’Immacolata Concezione, si pensi che ancora nell’800, ovvero il secolo in cui Pio IX lo avrebbe proclamato, un autorevolissimo e degno filosofo e sacerdote cattolico come Antonio Rosmini, particolarmente stimato dallo stesso Pio IX come buon cattolico e ardente apostolo della verità cristiana, pur ritenendo “moralmente sicura” l’Immacolata Concezione, ne sconsigliava tuttavia la definizione dogmatica: questa era la sua posizione alla vigilia della proclamazione del dogma e non molti anni prima della sua morte avvenuta nel 1855.

Però nella resistenza degli “uomini di Chiesa”, di prelati, di cardinali, di vescovi e di teologi, non si deve vedere necessariamente malafede o irriverenza verso la madre di Cristo, bensí la preoccupazione in parte certamente legittima che, nel considerare Maria come esente dal peccato originale, si rischiasse di metterla sullo stesso piano del Figlio unigenito e soprattutto di alterare o vanificare il profondo senso salvifico e redentivo del sacrificio di Cristo. Come si potrebbe considerare per esempio in malafede un teologo innamoratissimo di Maria, come san Bernardo di Chiaravalle, che tuttavia si sarebbe opposto risolutamente alla diffusione in Europa della festa della Concezione di Maria, introdotta inizialmente in Inghilterra nel 1127 e poi attecchita anche nella chiesa di Lione nel 1140?

Questo è giusto precisare, anche se, già a cavallo tra XI e XII secolo, il monaco benedettino inglese Eadmero, allievo e amico di sant’Anselmo d’Aosta, non esitava a contrapporre polemicamente, proprio in un trattato dedicato alla vergine Maria, «la pura semplicità e l’umile devozione» dei poveri, che celebravano la festa della Concezione Immacolata di Maria, alla «scienza superiore e disquisizione valente» dei ricchi ecclesiastici o secolari, che invece avevano abolito questa festa «dichiarandola priva di fondamento» (come viene rilevato dal compianto amico S. De Fiores, Maria. Nuovissimo Dizionario, 2 voll., vol. I, pp. 847-848).

D’altra parte, proprio il maestro di Eadmero, ovvero il citato Anselmo d’Aosta, pur pensando che Maria fosse stata redenta da Cristo anticipatamente e quindi prima della nascita del Salvatore, continuava a ritenerla concepita come tutte le altre creature nel peccato originale. La “redenzione anticipata” di Anselmo è fatta propria anche dai grandi teologi scolastici come Bernardo di Chiaravalle, uno dei massimi cantori di Maria nazarena, Alessandro di Halles, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino che fu molto indeciso sulla natura maculata o immacolata di Maria ma che nella sua opera principale o considerata tale, ovvero la “Summa Theologiae”, prese posizione a favore della tesi maculatista, e san Bonaventura.

Non c’è dubbio che, in relazione alla questione di cui si sta trattando, su questo pur variegato pensiero teologico scolastico avrebbe molto influito l’eredità agostiniana. E Agostino, in effetti, pur cercando di conciliare il diffuso sentimento popolare di una originaria santità di Maria con la tesi paolina secondo cui «in Adamo siamo tutti peccatori» (Rm 5, 12), ivi compresa Maria, e sostenendo che, pur essendo dunque ella di nascita peccatrice al pari di tutti, la sua condizione di nascita sarebbe stata immediatamente “cancellata” dalla grazia di Dio (in “De natura et gratia”), non si era spinto sino al punto di accettare l’idea di un’origine immacolata della madre di Cristo, anche se molte erano le possibili considerazioni per le quali non sembrasse possibile che Cristo potesse essere accolto, al momento della sua nascita o della sua generazione terrena, da un corpo e da un’anima femminili già corrotti dal peccato d’origine.

Agostino, in sostanza, aveva ritenuto che Maria, pur perfettamente santa e quindi esente da peccato nel corso della sua vita terrena in virtù di una permanente azione protettiva su di lei esercitata dallo Spirito Santo, non potesse essere proclamata santa e immacolata già al momento del concepimento. E questo accadeva ad Agostino di pensare proprio mentre in Oriente, al contrario, un vescovo patriarca di Costantinopoli come Proclo, di poco più vecchio di lui, non esitava a sostenere e a difendere l’immacolata concezione di Maria, descrivendo quest’ultima come «il santuario dell’impeccabilità, il tempio santificato di Dio…, il paradiso verdeggiante e incorruttibile».

Un significativo cambiamento di rotta si sarebbe avuto, verso la fine del XIII secolo, con il francescano scozzese Giovanni Duns Scoto (definito da papa Giovanni Paolo II nella Catechesi del 5 giugno 1996 “Dottore dell’Immacolata” perché con la sua dottrina avrebbe offerto alla Chiesa la chiave di superamento delle obiezioni circa appunto l’Immacolata Concezione di Maria). E’ con lui che prende forma il dogma nei termini in cui sarebbe stato fissato dal magistero della Chiesa nel 1854. Questo grande teologo francescano non sostiene la “redenzione anticipata” di Anselmo d’Aosta e degli altri esponenti della scolastica medievale, ma la cosiddetta “redenzione preventiva” o “preservativa”, conosciuta anche come “argomento della convenienza” (segnalo volentieri al riguardo un bel volumetto scritto e pubblicato alcuni anni or sono da un giovane parroco di Nocera Terinese, don Maurizio Mete).

Diversamente dai predecessori, infatti, egli non dice che Maria fu concepita nel peccato originale e poi redenta anticipatamente da Cristo, cioè prima della sua nascita, alla stregua quindi di un’anomala eccezione o appunto di un caso anticipato dell’opera storico-redentiva di Cristo, ma dice che ella fu concepita senza peccato originale e che la sua immacolata concezione, lungi dal configurarsi come “anomala eccezione”, fu pur sempre ottenuta grazie all’esclusiva mediazione salvifica di Cristo unico mediatore che meritò di redimerla preventivamente preservandola dal peccato originale. Maria, in sostanza, fu subito ciò che ogni altra creatura può diventare alla fine della sua vita terrena in virtù del sacrificio redentivo di Cristo: di nuovo immacolata come immacolati erano stati Adamo ed Eva nel momento della creazione.

Maria, senza averne alcun merito, fu esentata dal peccato originale da Dio ma solo a causa ed in funzione dei meriti di Cristo che non poteva non voler conferire questo privilegio a colei che lo aveva fatto nascere consapevolmente per la salvezza degli uomini, partecipando cosí attivamente all’opera universale di redenzione realizzata da Cristo unico redentore. Dove risulta adeguatamente ripresa e sviluppata l’argomentazione precedentemente addotta dal monaco Eadmero circa la possibilità dell’immacolata concezione: Dio poteva farlo, per cui nel momento in cui avesse voluto avrebbe potuto farlo, donde il famoso assioma “Potui, decuit, ergo fecit” (Dio poteva, era conveniente, perciò lo fece”). Certo, era conveniente ma unicamente, questa è la precisazione aggiuntiva di Duns Scoto, in relazione ai meriti salvifici di Cristo alla luce dei quali la stessa Maria sarebbe stata salvata sia pure preventivamente rispetto al resto del genere umano. E’ forse opportuno insistere: anche Maria era stata redenta da Gesù, anche se con una redenzione preventiva e preservativa, prima e fuori del tempo. Ella fu preservata dal peccato originale in previsione dei meriti del suo figlio divino. Ciò conveniva, era possibile, e dunque fu fatto.

Nei secoli successivi i teologi cattolici furono sostanzialmente divisi sulla questione: generalmente i domenicani si fecero sostenitori della redenzione anticipata degli scolastici (macolisti), mentre i francescani sostennero la redenzione preventiva di Scoto (immacolisti). Ma non c’è dubbio che la teoria di Scoto avrebbe lasciato il segno e che essa molto avrebbe contribuito a rafforzare in ambito cattolico le quotazioni della causa immacolista: infatti, circa 130 anni dopo la morte di Scoto, e più esattamente il 17 settembre del 1439 il Concilio di Basilea, benché le sue decisioni fossero in parte inficiate dai contrasti teologici insorti nella sua fase conclusiva, dichiarò la verità dell’Immacolata Concezione “conforme al culto della Chiesa, alla fede cattolica e alla Sacra Scrittura”; nel 1477 si ebbe l’introduzione a Roma della festa liturgica della Concezione di Maria ad opera di papa Sisto IV che, pur non pronunciandosi sul piano dogmatico, proibí con due “bolle” a macolisti e immacolisti di accusarsi vicendevolmente di eresia; merita inoltre di essere qui ricordato che sulle posizioni scotiane si sarebbe schierato anche un eminente filosofo cardinale del XV secolo come Niccolò Cusano.

In effetti, a partire da Scoto l’attendibilità della tesi immacolista sarebbe cresciuta a vista d’occhio: il Concilio di Trento nel 1546, pur senza definire il dogma dell’Immacolata Concezione, non intese includere Maria nel novero di tutte le altre creature necessariamente affette dal peccato originale; nel 1661 papa Alessandro VII non solo si dichiarò favorevole all’Immacolata Concezione ma vietò di attaccarla in qualunque forma; nel 1708 papa Clemente XI diede un notevole contributo al rafforzamento della fede nella natura ab aeterno immacolata di Maria estendendone la festa liturgica alla Chiesa universale per cui tale festa divenne precetto.

Ma, nel frattempo, anche santi e sacerdoti vennero facendo la loro parte, la quale anzi non avrebbe potuto non concorrere ad incidere sulla decisione di Pio IX di proclamare in forma dogmatica nel 1854 l’Immacolata Concezione: si pensi a san Francesco Antonio Fasani di Lucerna (prima metà del ’700), devotissimo dell’Immacolata Concezione sino al punto di definirsi “il peccatore dell’Immacolata”, oppure al sacerdote ascolano Francesco Antonio Marcucci, poi vescovo di Montalto delle Marche, che parlava dell’Immacolata come “del sacrosanto e illibato mistero”. Un altro prezioso appoggio al riconoscimento e alla proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione sarebbe venuto nel 1830 anche dalla presunta ma probabile apparizione di Maria a Caterina Labourè, che avrebbe promosso la diffusione di una medaglia nota come Medaglia Miracolosa recante l’invocazione: «O Maria concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a Te».

E, infine, anche i numerosi trattati di devozione mariana o sul culto mariano pubblicati tra XVI e XVIII secolo (si pensi a quelli celeberrimi di Luigi Maria de Montfort o di Alfonso Maria de’ Liguori), congiuntamente ad un proliferare di associazioni mariane e ad una molteplicità di particolari atti di consacrazione alla Santa Vergine, non avrebbero fatto mancare il loro impulso al processo di dogmatizzazione della causa immacolista

La conferma definitiva, che avrebbe premiato gli sforzi spirituali di quanti si erano fatti apostoli nel corso dei secoli dell’Immacolata Concezione di Maria e sancito la giustezza della decisione di Pio IX di procedere alla definizione e proclamazione del relativo dogma, sarebbe venuta incontrovertibilmente a Lourdes nel 1858, quando proprio la Regina del Cielo in persona si sarebbe presentata alla piccola Bernadette con queste parole pronunciate in lingua portoghese: “Io sono l’Immacolata Concezione”.