Il Santo Rosario, preghiera non di evasione ma di lotta

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Le origini storiche della preghiera devozionale del Santo Rosario risalgono al tardo medioevo quando essa, secondo quanto si legge in un manoscritto del 1501, cominciò ad essere diffusa dai Cistercensi che si richiamavano rigorosamente alla regola di san Benedetto, rafforzandosi poi con i Certosini e decollando definitivamente grazie all’opera dei Domenicani. Ma non c’è dubbio che il momento storico più importante della diffusione di massa della celebre preghiera mariana sia da individuare nella vittoria cristiana di Lepanto contro le flotte musulmane dell'Impero ottomano (7 ottobre 1571), quando i cristiani fermarono la pericolosa avanzata islamica attribuendo alla Madre di Dio l’esito favorevole di quel terribile scontro navale che avrebbe provocato la morte in mare di circa quarantamila uomini.

Pur nascendo dunque come preghiera contemplativa, il Santo Rosario sarebbe venuto legando la sua fama principalmente a quell’evento bellico cruento e sanguinoso, tanto che sarebbe stato giusto ricordarla non solo o non tanto come una preghiera ascetica o mistica ma anche e soprattutto come una preghiera di combattimento o di lotta contro il male e contro i nemici della fede cristiana. Forse, d’altra parte, non è un semplice caso che l’importanza storica di questa preghiera sia legata al mare, perché biblicamente il mare (in ebraico jam) evoca qualcosa di particolarmente significativo, ovvero le forze irrazionali e malefiche della vita e del mondo, il caos, la morte, il nulla e il male.

Nel Libro di Giobbe (38, 11), Dio, quando descrive l’ordine misterioso su cui si regge il creato, facendo riferimento proprio al contrasto tra la terra e il mare, ordina al mare di placare la furia “arrogante” delle sue onde con queste parole: «Fin qui giungerai e non oltre, e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde». Si ricorderà che anche Gesù ingiunge al mare in tempesta di placarsi e che il “cielo nuovo” e la “terra nuova” preannunciati dall’apostolo Giovanni non avranno più alcuna relazione con il mare, dal momento che “il cielo e la terra di prima…erano scomparsi e il mare non c'era più” (Apocalisse 21, 1).

Su questa terra, invece, avremo sempre a che fare tanto con il mare quanto con tutto ciò che esso evoca: menzogna e violenza, ipocrisia e malvagità, egoismo e ingiustizia, odio e guerra. Saremo sempre alle prese con molteplici forme di male e di cattiveria derivanti dal peccato, avremo sempre a che fare con situazioni molto dolorose e crudeli, con fenomeni di disperazione individuale e collettiva. E, ogni volta, per gli avvenimenti giornalieri come per quelli epocali, gli uomini si troveranno ad un bivio, si troveranno dinanzi ad una Lepanto storico-esistenziale: o per chiedere sinceramente alla Madre di Dio di aiutarli a sconfiggere il male, o al contrario per confidare unicamente sulle loro forze a questo stesso scopo.

Ma i cristiani che imploreranno l’aiuto di Maria dovranno essere consapevoli, come probabilmente lo erano quei cristiani della seconda metà del secolo XVI, che l’efficacia del soccorso della Madre celeste sarà commisurato alla loro stessa capacità di mobilitazione morale e spirituale; che non sarà dunque sufficiente implorarne il sostegno o la protezione senza mettersi realmente in gioco, senza assumersi precise responsabilità di pensiero e di azione, senza impegnarsi concretamente e generosamente in prima persona nella lotta contro le variegate tipologie di male che potrebbero affliggere le loro singole persone, le loro famiglie o le loro comunità religiose, sociali e nazionali.

Questo non significa che la loro preghiera debba essere priva di quella sua dimensione tradizionale che è nota come dimensione contemplativa, se con questo termine si voglia intendere la meditazione delle cose divine, la sincerità e l’intensità della devozione religiosa, la propensione ad ascoltare la Parola di Dio e a riflettere su se stessi e sui propri limiti, ma che piuttosto essa non debba riflettere un modo troppo intimistico, troppo privato di vivere la fede, un modo passivo o rassegnato di stare nel mondo, un modo tendenzialmente fatalistico e rinunciatario di leggere i fatti della vita e della storia, e insomma una sorta di quietismo o di immobilismo spirituale in ragione del quale si resti in attesa che la grazia e le grazie celesti scendano a risolvere le complesse e drammatiche problematiche esistenziali dell’orante senza che questi si senta realmente chiamato a vivere tra gli altri, con gli altri e per gli altri, in funzione di una santità di vita che non può mai costruirsi individualisticamente, solipsisticamente o secondo un’ascesi del tutto indifferente alle vicissitudini dei nostri simili ma solo in senso concretamente comunitario, sociale e, in senso lato, politico.

Dobbiamo recitare il Santo Rosario non pensando semplicemente ai fatti nostri ma ai fatti nostri in relazione ai fatti o meglio ai bisogni altrui, non essendo separati dal mondo ma separati nel mondo, non preoccupandoci solo della nostra salvezza ma anche della salvezza del nostro prossimo e persino dei nostri nemici. Poi, certo, non mancheranno anche certe particolari “spine” personali e intime di peccato, per le quali occorrerà invocare costantemente l’aiuto di Maria, ma il contesto spirituale in cui non meccanicamente ma con sempre rinnovato slancio affettivo e religioso bisognerà snocciolare i grani del rosario dovrà essere quello in cui il proprio destino spirituale si venga percependo come destino non sostanzialmente scisso dal destino comune di tutti gli esseri umani ma come parte integrante di esso e da esso mai completamente divisibile.

Quando si pregava per fermare a Lepanto la flotta islamica dei turchi ottomani, erano indubbiamente altri tempi: allora le controversie molto spesso si trasformavano in aspri conflitti e i contrasti tra popoli e Stati altrettanto frequentemente venivano risolti con le guerre. Oggi la situazione è diversa ma non si può dire che essa presenti minacce e pericoli meno insidiosi: si pensi al fenomeno migratorio, a quello del terrorismo o della criminalità internazionale, alla crisi economica e finanziaria internazionale, alla disoccupazione di intere generazioni di giovani, alla diffusa corruzione e all’immoralità di cui non si vedono più i confini, all’inquinamento del pianeta e all’uso irrazionale delle risorse naturali e ambientali, al dominio sempre più cinico dell’uomo sull’uomo.

Dinanzi a tutto ciò, conserva tutto il suo valore la Corona della Beata Vergine Maria, che può e deve pertanto essere riproposta non per isolarci dalle preoccupazioni e dai drammi oggettivi di questo tempo ma al fine di poterne combattere con fiducia e coraggio le numerose e difficili battaglie morali, civili e politiche con le armi della verità evangelica, della carità e della giustizia, del perdono e della misericordia.

Bisogna recitare il Rosario non per “fuggire dal mondo” e per pronunciare facili condanne sui suoi vizi e sulle sue degenerazioni, ma per migliorare la nostra presenza spirituale in esso, per purificare il nostro cuore e la nostra mente ai fini di un più incisivo intervento a favore di chi soffre come e più di noi e di una più efficace possibilità di risoluzione delle tante contraddizioni della nostra contemporaneità.

La preghiera del Santo Rosario deve servire a renderci più limpidi e onesti moralmente, più consapevoli del fatto che per salvare la propria vita in e per Cristo dobbiamo perderla (Mt 16, 25), e non certo più chiusi nella nostra egoità, più disimpegnati, più indifferenti o addirittura più cinici rispetto alle tante iniquità del mondo oltre a quelle che tendono a far sempre capolino dentro noi stessi.

La preghiera del Santo Rosario non può quindi ridursi ad essere una preghiera di evasione o puramente consolatoria, benché per molte anime semplici e duramente provate dalla vita possa rivestire in taluni frangenti soprattutto tale funzione, ma deve essere sentita principalmente o prevalentemente come preghiera di lotta contro il male che è in noi e fuori di noi, come preghiera di combattimento spirituale finalizzata al potenziamento del nostro spirito di rinuncia e di carità.