Superbi, potenti e ricchi secondo Maria

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

E’ difficile stabilire se il Magnificat, il meraviglioso e commovente canto mariano, sia realmente e profondamente gradito alla maggioranza dei credenti cattolici e da essi praticamente interiorizzato e condiviso nella pratica quotidiana. E’ difficile perché, a giudicare dal modo comune di parlare della Madre di Cristo-Dio, di solito tutto di lei si sente dire, e cioè che la Santa Vergine ha fatto entrare la salvezza nella nostra storia e che è stata designata da Cristo quale madre dell’umanità e della Chiesa e che perciò enorme è il suo potere di intercessione a nostro favore presso Dio, tranne che Maria è colei che, appunto con il Magnificat, non solo ha innalzato proprio a Dio un bellissimo cantico di lode e riconoscenza ma ha anche e con pari intensità messo a fuoco alcune essenziali peculiarità ontologiche della stessa identità divina quali la capacità di disperdere “i superbi nei pensieri del loro cuore”, di rovesciare “i potenti dai troni”, di mandare indietro “i ricchi a mani vuote” e, per contro, di elevare “gli umili” e di soddisfare con abbondanza di beni tutti coloro che patiscono la fame e ogni possibile genere mondano di iniquità.

O meglio: non è che la nostra comunità cattolica in astratto disconosca questi precisi riferimenti mariani, non è che essa non sia consapevole dei terribili rischi cui sono evangelicamente esposti i superbi, i potenti e i ricchi, considerati nella loro generica accezione, ma altrettanto consapevole essa invece non appare circa il vero e più profondo significato di quei versetti mariani. E’ evidente che i superbi non possono essere graditi a Dio: chi è che lo nega? Nessuno; ma, se poi si va ad indagare con una certa attenzione, si viene a scoprire che ben pochi sono coscienti delle molteplici forme che la superbia può assumere nel corso della vita e della storia degli uomini e quindi della assoluta necessità di non stancarsi mai di fare personalmente i conti con essa.

Spesso la superbia è solo quella degli altri, mai la nostra, oppure soprattutto quella altrui e molto di meno la nostra: per quanto possa sembrare stupido, questo atteggiamento spirituale è fra noi molto più diffuso di quel che si crede. Ma anche in presenza di atteggiamenti spirituali più equilibrati e maturi, non è detto che si sia sempre capaci di riconoscere e neutralizzare tutte le forme possibili di superbia. Infatti, se da una parte è relativamente facile riconoscere la superbia in atteggiamenti e discorsi manifestamente e reiteratamente vanagloriosi e sprezzanti verso tutto e tutti oppure in comportamenti ostentatamente riservati e ipocritamente morigerati proprio mentre magari non si esita ad esibire in pubblico una qualche ricercatezza esteriore (per esempio in un modo sempre curato o elegante di vestire o in un modo platealmente amichevole di relazionarsi agli altri) e una religiosità molto appariscente dal punto di vista liturgico-devozionale, ben più difficile risulta l’individuazione di forme altrettanto gravi ma più nascoste o meno evidenti di superbia, di quella superbia che, è bene ricordare, è il peccato più grave in cui possa incorrere l’uomo, tanto che non appare improbabile identificarla con il peccato originale dei nostri progenitori.

San Gregorio Magno riteneva particolarmente grave la superbia di chi nella sua più profonda intimità sia a torto convinto di avere capacità e meriti che obiettivamente non ha o nell’attribuire a se stesso, al di là della propria dichiarata professione di fede, le proprie presunte capacità e i propri eventuali successi mondani, autoinducendosi di riflesso a vedere opportunisticamente capacità e meriti in persone che in realtà ne sono prive e a disconoscere invece deliberatamente quelli reali di coloro che ne sono effettivamente dotati (Commento Morale a Giobbe, Roma, Città Nuova, 2001, XXXIII, 6, 16).

Bisogna fare molta attenzione, perché questo tipo di superbia, lungi dall’appartenere solo a spiriti mediocri e meschini (e tuttavia sempre suscettibili di convertirsi a miglior vita spirituale), può insinuarsi persino nelle anime più virtuose e più sante. E’ un errore pensare che quanto più si diventa virtuosi e santi tanto più si sia immuni dalla superbia. Non è cosí, non necessariamente; perché la superbia è un virus che non risparmia coloro che sono più vicini a Dio; anzi, talvolta proprio la consapevolezza di essere in possesso di particolari beni divini può indurre il soggetto a ripiegarsi su se stesso, a contemplare in qualche modo e pur senza farne parola con alcuno la propria grandezza, dimenticando o omettendo di ricordare adeguatamente che la sorgente di ogni possibile bene è pur sempre Dio.

Le stesse opere caritative, potendo essere compiute principalmente per glorificare se stessi e sentirsi gratificati anche agli occhi degli altri, possono essere contaminate dal veleno della superbia e della vanagloria senza che nessuno se ne accorga. Ecco perché, in definitiva, veramente santo non è ancora colui che tale venga proclamato in terra quanto colui la cui santità verrà un giorno riconosciuta e proclamata in Cielo, sebbene Dio tenga in grande considerazione le decisioni, adottate in buona fede, della sua Chiesa terrena.

Per quanto chi si sforza sinceramente di perfezionare la sua vita spirituale e di santificare la sua esistenza faccia anche di tutto per scongiurare questo morbo, non c’è nessuno che possa essere assolutamente certo di esserne esente o immune e di essersi liberato o potersi liberare definitivamente da quella sottile forma di ipocrisia che consiste nel lasciar agire, sia pure nei sotterranei della propria mente e del proprio spirito, la volontà di apparire “maestosamente umili”, il desiderio di rendere visibile e riconosciuta da tutti la propria umiltà con la conseguenza di reazioni molto risentite se e quando essa venga invece disconosciuta o messa addirittura in discussione, dove è proprio questa sorta di autocompiacimento a rivelare una falsa umiltà oppure a compromettere o a vanificare una vera umiltà. Uno dei paradossi più drammatici del rapporto dell’uomo con Dio è che in realtà si potrebbe non confidare effettivamente in Lui pur continuando a ripetere e a ripetersi che bisogna confidare in Dio e non nell’uomo.

Ora, i superbi cui fa riferimento Maria nel Magnificat hanno a che fare con tutto questo, essendo appunto la fenomenologia psicologica, spirituale e storica della superbia molto più complessa e variegata di quanto generalmente si pensi. I superbi per lei non sono solo quelli che non fanno niente per nascondere la loro superbia, come i ricchi sfondati totalmente insensibili alla povertà altrui e i potenti che usano il potere non per ridurre ma per aumentare le iniquità, ma anche soggetti apparentemente miti e distaccati dalle passioni mondane. Il superbo di cui parla Maria lo si può trovare, in vero, anche là dove meno ci si aspetterebbe di trovarlo.

Niente di più probabile, pertanto, che alla lunga risulti erronea o fallace la tendenza a considerare un sant’uomo o una santa donna una persona particolarmente schiva e riservata, capace di condurre una vita apparentemente ascetica o mistica e caratterizzata da avvenimenti a prima vista inspiegabili o sconcertanti, ma al tempo stesso sempre sotto i riflettori e al centro della pubblica ammirazione pur non mancandole il modo di sottrarsi fisicamente oltre che “spiritualmente” all’attenzione e spesso alle lusinghe del mondo.

L’uomo di fede, l’uomo religioso, l’uomo di Chiesa, il mistico o il santo, indipendentemente dall’abito che portano, potrebbero anch’essi appartenere, anche se non sempre fortunatamente è cosí, a quella categoria di soggetti che, non disponendo di risorse intellettive e morali che consentano loro di “affermarsi” nelle diverse arene laiche del mondo, tendono a ripiegare sul “religioso” o sul “mistico” per procurare cosí al loro io quella compensazione psicologica ed affettiva (per non dire altro) che non potrebbero ottenere in nessun altro ambito umano.

Lo stesso vale per potenti e ricchi troppo spesso unilateralmente identificati con quanti assolvono il potere dal punto di vista politico-istituzionale e con quanti detengono grandi quantità di ricchezza completamente inutilizzate dal punto di vista comunitario o sociale. Maria, in effetti, si riferisce certo ai grandi potenti e ai grandi ricchi della storia ma anche ad ognuno di noi, in quanto ognuno di noi, nelle varie e specifiche situazioni della sua vita e in base al ruolo che occupa nella famiglia, nella società, nella comunità politica, giudiziaria, parrocchiale, culturale o sportiva, o in qualsivoglia altro contesto umano si trovi a poter esercitare una qualche forma di potere personale, ha la facoltà di esercitare il potere piccolo o grande di cui dispone per il bene o per il male altrui oltre che di se stesso.

Superbi, ricchi e potenti, nel Magnificat mariano non hanno una semplice valenza sociologica ma una più profonda e specifica valenza psicologica e umana, in virtù della quale ci si sappia riconoscere sempre al tempo stesso meno superbi, meno potenti e meno ricchi rispetto ad alcuni ma più superbi, più potenti e più ricchi rispetto ad altri anche semplicemente a causa della nostra indifferenza, donde la saggezza dell’invito evangelico a non maledire coloro da cui siamo oppressi o angustiati e al tempo stesso a rispondere al male ricevuto con lo sforzo di fare del bene a coloro che a nostra volta noi potremmo opprimere e angustiare.

Per contro, non sempre chi potrebbe apparire superbo per via di una sua accentuata autonomia di pensiero e di giudizio anche nell’ambito della sua comunità religiosa di appartenenza, di un rigore morale esercitato sulle cose della vita pubblica benché in primis nei confronti di se stesso, di una lucida e franca severità argomentativa, di una propensione alla ricerca oggettiva e non compromissoria del vero e al rispetto integrale ma non “integralista” della Parola di Dio, di una percezione realistica dei mali del mondo insieme ad una consapevolezza non formale e non retorica ma sostanziale e intransigente dei propri limiti e dei propri peccati, non sempre chi può apparire superbo per queste caratteristiche psicologiche, intellettive e spirituali, è in vero meritevole di essere etichettato con tale appellativo.

Gli umili che saranno innalzati da Dio non sono persone prive di difetti ma persone che, pur consce delle loro debolezze e della loro miseria materiale e spirituale, pensano e fanno quello che sanno essere gradito a Dio, senza troppo preoccuparsi delle forme, delle convenzioni sociali e della pubblica opinione interna ed esterna alla Chiesa. Essi sono persone semplici, libere, completamente prese dalla Parola di Dio e molto meno interessate anche se non indifferenti alla parola degli uomini: essi sono coloro che ambiscono ad essere “servi” del Signore e che, proprio per questo, pur vivendo nel mondo, finiscono inevitabilmente per non assecondarne né le logiche pseudoumanitarie né le aspettative falsamente emancipative.

Anzi, essi risultano spesso antipatici e odiosi perché non si stancano di annunciare che l’eterno castigo di Dio incombe su tutti coloro che in un modo o nell’altro continuano ad esercitare illecitamente e impenitentemente il proprio o i propri poteri e ad usare in modo altrettanto arbitrario e irresponsabile la propria ricchezza. Questi umili, forse molto più numerosi nei turbolenti tuguri della vita che negli ordinati edifici destinati al culto, sono i più amati da Dio perché, per quanto possano essere caratterialmente ruvidi e impetuosi, sono preoccupati di amare il loro prossimo senza finzioni di sorta, ottemperando con passione ai dettati evangelici piuttosto che a tradizioni e a desideri umani spesso discutibili o fuorvianti pur se in qualche modo riferiti o riferibili agli stessi testi evangelici.

Questi sono gli umili che amano veramente Dio e che perciò lo temono: temono infatti, pur coscienti di essere amati da lui, di non capire mai abbastanza della sua Parola e della sua Volontà e di rimanere sempre ben al di sotto delle sue aspettative. Lo temono ma, come bambini, confidano ugualmente in Lui, nel suo perdono e nella sua misericordia, perché sono disposti ad offrire realmente la loro vita, sia pure nei limiti delle proprie capacità, per salvare la propria anima e per sperare di vederlo un giorno “faccia a faccia”. Maria resta l’umile per eccellenza perché sempre in ascolto di un Dio non sempre facilmente comprensibile ma sempre e comunque percepito come un Dio-Amore, come un Dio che colma d’amore e con l’amore tutte le insufficienze di quelle creature che per servirlo siano pronte alle più grandi rinunce.