Morowitz: uno scienziato alla ricerca di Dio?

Scritto da Francesco di Maria.


Il libro del noto biofisico americano Harold J. Morowitz, La nascita di ogni cosa (Lindau, 2014), per niente divulgativo, sembra scritto per gli scienziati più che per un pubblico genericamente interessato alla scienza, perché in realtà è agli scienziati più che ad altri che in questo caso si intende chiedere un supplemento di attenzione e approfondimento non tanto per questioni scientifiche in sé considerate ma per l’antico e mai anacronistico problema del rapporto tra scienza e religione.

Questo scienziato, da sempre dedito in particolare a studiare le origini e gli aspetti termodinamici della vita, ha tracciato, con una capacità di sintesi e una padronanza tematica veramente notevoli, una breve storia dell’universo, della vita biologica e della mente, ponendosi dal punto di vista delle cosiddette “emergenze”, ovvero di quell’aspetto centrale anche se controverso della teoria della complessità consistente nella tesi per cui, nel corso dell’evoluzione della materia dal big bang sino alla comparsa dell’uomo e della sua struttura mentale, sarebbe possibile cogliere l’emergere di proprietà via via nuove nei livelli più elevati dell’organizzazione cosmica.

In altri termini, se da un punto di vista fisico, gli atomi sembrerebbero dotati di proprietà non prevedibili sulla base delle loro particelle originarie e costitutive, anche da un punto di vista biologico le molecole presenterebbero proprietà non predicibili in base alla loro struttura iniziale. In questo modo, più complessa diventa la storia cosmica, l’organizzazione della materia e delle diverse forme di realtà cui dà luogo, maggiore risulterebbe la non prevedibilità dei fenomeni e di ogni genere di fenomeno avente a che fare con la natura vivente ivi compresa naturalmente quella storico-umana.

Ovvero, fenomeni imprevedibili, chiamati per l’appunto “emergenze”, sorgerebbero da sistemi descrivibili per mezzo di leggi deterministiche. La mente umana, l’autocoscienza e il libero arbitrio sarebbero le emergenze relativamente più recenti che consentirebbero poi di riflettere sulle stesse emergenze e di porre la domanda cruciale: qual è il senso del mondo e della vita?

Ora, è indubbiamente vero che, da un punto di vista strettamente scientifico, il libro di Morowitz va incontro a critiche non facilmente superabili, a cominciare da quella che alcuni fisici e astrofisici hanno rivolto al concetto stesso di “emergenza” che risulterebbe piuttosto oscuro e molto meno esplicativo di quanto non ritenga il biologo americano. Egli, per esempio, lo definisce come il contrario del “riduzionismo” in quanto porterebbe l’indagine dal semplice al complesso e non viceversa come appunto nel caso del metodo riduzionista (si pensi, per esempio, alla genetica), ma il confronto proposto tra riduzionismo ed emergenza appare piuttosto oscuro a causa del fatto che, contrariamente a quanto manca di notare Morowitz, questi due termini si pongono su livelli diversi del ragionamento scientifico: infatti il primo è solo un metodo di analisi della realtà indagata e non una proprietà della realtà stessa cosí come accade nel caso morowitziano delle “emergenze”.

Per non dire poi che, come ha osservato un giovane astrofisico dell’Università di Trieste, non tutte le emergenze di cui parla Morowitz possono essere interpretate obiettivamente come vere e proprie emergenze. E’ il caso del formarsi delle stelle: qui in effetti si può obiettare che in una stella non c’è niente di nuovo ovvero di emergente che non fosse già presente nella nube di gas da cui la stessa stella ha origine.

Ma i veri punti deboli del volume in oggetto sembrano potersi individuare soprattutto nello scollamento esistente tra il piano scientifico e il piano filosofico della problematica proposta. In particolare, è difficile non giudicare come una “forzatura” il tentativo dello scienziato americano di dimostrare «la natura “mentale” (o “divina”) delle emergenze», perché in definitiva una cosa del genere non può corrispondere ad una caratteristica o ad una proprietà oggettiva della natura non potendo travalicare i limiti del semplice “costrutto mentale”.

E’ tuttavia evidente lo scopo del libro: esprimere anche su base scientifica, sia pure tra procedure logico-argomentative non sempre o non completamente ortodosse che come tali necessitano di essere corrette e integrate, un preciso convincimento personale: quello per cui, come si legge alla fine del libro, «l’homo sapiens è il mezzo attraverso il quale agisce la trascendenza divina». Non c’è dubbio che questo passaggio sia molto delicato e apparentemente estraneo se non antitetico ad una logica rigorosamente scientifica, anche se la logica scientifica, come tutte le cose, è anch’essa in fieri e alla genesi delle teorie scientifiche, come ben sanno gli epistemologi, non sono estranei semplici convincimenti, come per l’appunto nel caso di Morowitz, o addirittura preconcetti, pregiudizi, intuizioni o assunzioni prelogiche di varia natura.

Attraverso l’emergenza uomo verrebbe profilandosi un’emergenza ancora più sorprendente: quella della trascendenza del Dio di Abramo, nel senso che, scrive l’autore, da una parte le leggi fisiche sono un’espressione (analizzabile scientificamente) del Dio immanente, e dall’altra il libero arbitrio e la volontà umana sono una manifestazione (analizzabile alla luce della complessità) del Dio trascendente: «se siamo dotati di libero arbitrio allora siamo trascendenti e possiamo compiere dei miracoli, atti di volontà che non sono del tutto determinati, anche se non violano le leggi della natura. Questo è possibile grazie alla complessità e all’emergenza» (p. 322). Idea forse suggestiva ma, almeno in questa formulazione, altrettanto discutibile.

Per Morowitz la scienza che studia il mondo può anche scorgere ipoteticamente, impresse in esso, le orme di Dio, ma non necessariamente o esclusivamente di un Dio impersonale, come quello postulato da Bruno, Spinoza e in parte Einstein, se è vero, come è vero, che il ricercatore americano reputa particolarmente attraente l’idea «di un Dio personale che ascolta le nostre preghiere. E’ qui che inizia il dialogo. E sospetto che rimarrà soltanto un dialogo per molto tempo», anche se «è troppo importante per lasciar perdere» (p. 324).

La considerazione è molto apprezzabile ma temo che Dio si sia già ampiamente rivelato per una via che non è esattamente quella “scientifica”. Forse anche per il buon Morowitz, la strada da percorrere è un’altra!