La giustizia di Dio tra terra e cielo

Scritto da Francesco di Maria.

 

Il mondo sociale è un mondo in cui non sempre si esercita un lavoro e si percepisce un salario meritatamente, nel senso che si può essere assunti per raccomandazione, per interesse o per semplice compiacenza, a prescindere da qualunque criterio di merito. Tranne che per certi settori professionali e produttivi, come l’edilizia, le fabbriche, i trasporti, il lavoro nei campi, e insomma  tutti quei settori in cui la paga non è adeguata pur essendo richiesta una notevole capacità di adattamento alla fatica fisica ancor prima che un’attitudine tecnica al lavoro, non c’è ambito lavorativo in cui generalmente molti di coloro che vi esercitano una qualche attività o professione senza particolare talento non abbiano ricevuto, come si dice, una bella spinta o un bel calcio ai fini del loro inserimento occupazionale e del percepimento di un salario o uno stipendio non di rado consistente o più consistente di quello di quanti, pur lavorando, restano sulla soglia della sopravvivenza o di una vita molto povera.

Spesso anche il semplice caso gioca un ruolo molto importante nel quadro delle varie forme di selezione del personale professionale, per cui comunque l’effetto è quello di immettere nei vari campi di lavoro della società troppa gente incapace o poco diligente o in ogni caso meno meritevole di altri soggetti che meriterebbero di occuparne i posti e che invece ne restano esclusi o svolgono funzioni subalterne e inferiori alle loro reali capacità: la scuola, l’università, le strutture sanitarie, i tribunali, la pubblica amministrazione, la politica, lo stesso ordine clericale, sono abbastanza pieni di superficialità, pressapochismo, inefficienza, improduttività, come tutti ben sanno, ivi compresi coloro che fanno parte della schiera dei fannulloni o dei mediocri scarsamente produttivi e che tuttavia se la prendono sempre con gli altri e talvolta persino con persone molto più preparate di loro.

Da questo punto di vista, non c’è dubbio che un cristiano responsabile non possa starsene con le braccia conserte ed osservare passivamente la triste realtà che ha sotto gli occhi, perché al contrario dovrebbe sentire il dovere di denunciare moralmente le tante ingiustizie e darsi da fare per contribuire sia pure modestamente a raddrizzare la situazione e a rendere migliore, economicamente più fruttuosa e socialmente più utile e solidale la società. Qualcuno dirà: ma questo che vuole? Ma che volete voi altri, piuttosto, che giustificate i furbi e gli arrampicatori sociali, gli scansafatiche e i parassiti, oltre che soggetti dotati di un’ambizione più grande della loro intelligenza e delle loro attitudini professionali.

I cristiani lo tengano per certo: il tollerare che una compagine sociale abbia in posti di media e alta responsabilità persone professionalmente inadeguate privandosi in pari tempo di persone più capaci e responsabili a causa di molto diffuse pratiche clientelari, opportunistiche, ingiuste, perché al di fuori di ogni più elementare logica meritocratica, costituisce un grave peccato non essendo religiosamente lecito sciupare o dissipare o ignorare i talenti individuali messi da Dio a disposizione non solo della vita dei singoli ma della stessa vita comunitaria e sociale. E’ come se un imprenditore offrisse ad una nazione un capitale molto grande da investire nella creazione di servizi e posti di lavoro e il governo di quella nazione respingesse l’offerta per favorire un imprenditore locale molto meno facoltoso solo per fare l’interesse di determinati soggetti e gruppi che il primo imprenditore non sarebbe per niente disposto a favorire rispetto ai più capaci e più meritevoli.

Qui non si tratta di invidia sociale e di invidia morale, ovvero qui non si ha a che fare con l’ancestrale tendenza umana, individuale o collettiva, ad invidiare quelli che hanno più di noi, che ottengono riconoscimenti e onori superiori a quelli che otteniamo noi e che svolgono professioni o attività lavorative più importanti o più qualificate delle nostre. O meglio, c’è ovviamente il rischio che questa sacrosanta istanza di giustizia nell’individuazione e nel riconoscimento a tutti i livelli di meriti e capacità professionali si trasformi e si riduca a tristi e sconfortanti fenomeni di astio, di livore, di malanimo e frustrazione personale o collettiva per la fortuna che, sia pure ingiustamente o per vie traverse, altri, presumibilmente meno dotati e meno preparati di noi, hanno avuto a tutto svantaggio del merito, della professionalità, della vocazione attitudinale, della disponibilità umana e morale a servire il pubblico, il prossimo, con grande dedizione ed abnegazione.

Ma questa eventualità non dovrebbe riguardare il cristiano convinto e ben istruito sui consigli evangelici di nostro Signore Gesù. Egli è tenuto a denunciare in spirito di verità e carità e nei limiti delle sue possibilità e capacità ogni genere di ingiustizia, di prevaricazione e di sopruso, per il bene di tutti, ma senza dimenticare che egli è tenuto ad affrontare altresì le contrarietà del mondo con umiltà e spirito di sacrificio senza ingaggiare guerre personali con alcuno e mai disperando dell’aiuto e del conforto del Suo Signore.

Infatti, l’umanità è la vigna del Signore in cui entrano operai della prima, della terza, della sesta o dell’ultima ora, per poter svolgere lavori utili al Regno di Dio e poter corrispondere alle aspettative spirituali ed escatologiche di Dio. Sino a quando non si entra nella vigna divina, si vive, si opera e si agisce in un campo arido, infruttuoso, in cui sostanzialmente si viene sprecando o disperdendo la vita, e con essa i talenti, che Dio dona ad ogni creatura. Chi ha imbrogliato per prendere o dare un posto di lavoro non meritato, chi fa di tutto per assumersi o per conferire elevate responsabilità professionali e sociali che spetterebbero a quanti ne abbiano più titolo o siano più idonei, chi antepone interessi personali ad interessi comunitari e sociali o persegue onori e privilegi con la complicità di potenti o di personalità influenti tentando di sbarrare la strada a soggetti forti solo del proprio valore e della propria onestà, non si è ancora deciso a convertirsi e a lavorare nella vigna divina, anche se Dio li chiama continuamente e li invita ad entrarvi per dedicarsi alle cose celesti o alle cose terrene nell’ottica delle cose celesti. Molti disattendono la chiamata ricevuta, altri l’accettano, e poi tra coloro che l’accettano, pochi sono quelli che sanno o sapranno onorarle con la vita: ecco perché Gesù dice che “molti sono i chiamati, pochi gli eletti” (Mt 26, 16).

Infatti, in quella vigna quelli che accettano la chiamata non sono tutti della prima ora, ma anche di ore successive e persino dell’ultima ora, quando in pratica la giornata lavorativa è quasi alla fine. Può accadere, come accade nella parabola evangelica (Mt 20, 1-16), che quelli che hanno lavorato nella vigna da sempre, cioè sin dal mattino, si stupiscano molto del fatto che a sera il padrone elargisca a tutti gli operai, ivi compresi quelli dell’ultima ora, la stessa paga, una paga che basta a soddisfare le necessità personali di ognuno di loro e delle proprie famiglie. Cosa significa questo? Significa che persino nella vigna del Signore, in cui ci si dovrebbe sentire semplicemente onorati di essere al suo servizio e di partecipare in comunione con il prossimo alla costruzione del Regno, alcuni o molti, questo solo Dio lo sa, continuano a comportarsi come ci si comporta generalmente nel mondo reale, coltivando odiosi sentimenti di gelosia, di rivalità e di risentimento al cospetto di un Padre che ci vuole certamente diversi ma anche uniti in un comune sforzo di collaborazione e condivisione dei beni materiali e spirituali con cui Egli ripaga equanimemente i suoi figli della loro fedeltà.

Chi infatti in questa vita cerca le cose sue, non è ancora giunto alla vigna del Signore o, se vi è giunto, è destinato ad uscirne per sempre. Lavorano invece per lui coloro che pensano non ai propri guadagni, ma a quelli del Padre e che in spirito di carità si dedicano ad opere utili e benefiche soprattutto sotto il profilo spirituale. Chi invece vive presuntuosamente per sé pur dedicandosi alle cose dello spirito, rimane uno spirito ozioso, come gli spiriti che non hanno mai inteso entrare nella vigna del Signore, perché come loro ha finito per non apprezzare l’amore inestimabile loro concesso da Dio stesso. Il ladrone pentito, in questa logica, precede addirittura Pietro in paradiso, mentre un uomo di fede o piuttosto un autorevole rappresentante del sacro come Caifa rischia seriamente di non poter vedere un giorno il volto glorioso di Dio. Come dire: gli ultimi di questa vita saranno i primi nell’altra, mentre i primi saranno ultimi, posto che abbiano accesso alla vita eterna.