Il cristiano e gli animali

Scritto da Francesco di Maria.


Non è che la Chiesa sia indifferente alla natura e agli animali: sia perché anch’essi sono creature che manifestano la grandezza e la sapienza divine, sia perché da essi dipende in misura non trascurabile la vita stessa degli uomini. La sua consapevolezza che l’uomo debba instaurare con l’ambiente e tutte le sue specie viventi un rapporto corretto e quindi non suscettibile di essere inteso e praticato, secondo una lettura sbagliata o arbitraria della Genesi biblica, come dominio umano indiscriminato e irresponsabile sulla natura e sugli animali, non porta però ad assolutizzare l’una e gli altri sino al punto di metterli sullo stesso piano della persona.

La concezione cristiana e cattolica della vita, come ribadiva Benedetto XVI l’1 gennaio 2010 per la celebrazione della XLIII giornata mondiale della pace, resta pertanto giustamente antropocentrica in totale disaccordo con le visioni ecocentriche e biocentriche oggi prepotentemente affermate da sempre più vasti moti di pubblica opinione che si rifiutano di cogliere la differenza ontologica ed assiologica intercorrente tra la persona umana e gli altri esseri viventi, ignorando peraltro il rapporto di dipendenza che il vivente in generale ha rispetto a Dio. Chi ama la natura e gli animali per se stessi, senza legami con il loro Creatore e con l’ordine gerarchico secondo cui il Signore ha concepito e disposto nell’universo le sue creature, perdendo di vista la posizione subordinata di natura e animali rispetto all’uomo stesso, che è pur sempre l‘opera divina più gloriosa, pecca di idolatria; e, in questo senso, anche molti cristiani che oggi mostrano un’ammirazione e un affetto esagerati per le bellezze naturali e il mondo animale in genere, trascurando nella pratica di mettere al primo posto della loro vita l’amore verso Dio e verso il prossimo, rischiano seriamente di adorare senza avvedersene un certo ordine creaturale più del suo Autore e Signore supremo.

Quella cristiana è dunque una concezione antropocentrica, per la quale l’uomo è e resta pur sempre al centro della terra e di tutto ciò che vi è stato creato, anche all’indomani della rivoluzione copernicano-galileiana e se si vuole freudiana e darwiniana, ed è anzi autorizzato da Dio a fare uso dello stesso creato secondo i suoi bisogni oggettivi, sia pure in modo responsabile e misurato. Di fatto, però, le cose oggi vanno diversamente e, anche in ambito cattolico, la confusione talvolta sembra regnare sovrana. In due occasioni, nel 2000 e nel 2007, il cardinale di Bologna Giacomo Biffi, riprendendo le profetiche parole del filosofo ortodosso russo Solovev, ebbe a dire che "l'anticristo” sarebbe stato «un convinto spiritualista, un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo, un ecumenista».

Ma, come anche il cardinal Carlo Caffarra aveva precisato in un’omelia del 2005, ribadendo che la natura ed in essa l'animale non hanno in se stessi nulla di sacro o di divino, nulla di anteponibile alla grandezza creaturale dell’uomo, «è  il “principio-persona”» la «vera colonna portante della nostra visione della realtà. Essere persona umana è più che essere animale; essere persona umana è meglio che essere animale. La persona è dotata di una preziosità che l'animale non possiede. L'uomo, non l'animale, è pertanto “ad immagine e somiglianza di Dio”».

Da ciò deriva anche che «l'animale non ha diritti. Il diritto infatti sussiste sempre all'interno di una relazione fra l'uomo che possiede quella facoltà e gli altri che la devono rispettare. Ciò non significa che il dominio/uso dell'uomo non abbia limiti obiettivi. I limiti sono fondati sulla natura ragionevole dell'uomo; ciò che l'uomo deve a se stesso è di agire ragionevolmente quando si rapporta all'animale. Comportamenti di obiettiva crudeltà verso l'animale non sono indegni dell'animale [solo la persona ha una dignità], ma sono indegni dell'uomo che li pone in essere. Comportamenti di equiparazione dell'animale all'uomo non sono segno di rispetto all'animale [solo la persona merita rispetto], ma sono un atto di ingiustizia verso l'uomo perché lo degradano dalla sua regale dignità».

Da molti animalisti nostrani queste parole sono state e sono considerate oscene e disumane, ma in realtà sono tutti coloro che, nel nostro tempo, parlano di diritti degli animali e in particolare di animali domestici cosí utili e fedeli come i cani, mettendoli sullo stesso piano degli esseri umani, a fare un pessimo uso della loro intelligenza e della loro sensibilità, a favorire fenomeni sociali che gradualmente stanno assumendo caratteristiche di aberrante irrazionalità.

E’ evidente che l’uomo deve assumere un comportamento responsabile verso il mondo degli animali, delle piante e più in generale delle cose di questa nostra terra, e che la sua biblica signoria sul creato non può certo trasformarsi in saccheggio del creato e in una manipolazione non solo arbitraria ma anche dannosa di tutte le sue risorse, per cui non possono che essere deprecate tutte quelle operazioni con cui gli uomini mettono a repentaglio la vita e la conservazione delle specie animali, come diceva lo stesso Benedetto XVI nel 2005, e con cui essi, come ricordava Giovanni Paolo II nel 1999 in un appello inviato ai potenti della terra e intitolato “Un esame di coscienza sui peccati contro l’ambiente naturale”, devastano altresí pianure e valli boscose, inquinano acque deformando l’habitat della terra, rendendo irrespirabile l’aria, sconvolgendo gli assetti idrogeologici e atmosferici, il tutto compiuto quasi sempre e soltanto a meschini fini di profitto.

Tutto ciò alla coscienza cristiana è più che chiaro, ma da qui a pretendere che la Chiesa perori la causa animalista allo stesso modo e con la stessa dedizione spirituale con cui essa perora la causa del rispetto della dignità umana, quasi che non ci fossero differenze di sorta, il passo è non solo lungo ma soprattutto impossibile razionalmente e moralmente da compiere. Taluni sostengono che la Chiesa sia ipocrita, proprio mentre denuncia il dissennato sfruttamento della natura e il trattamento disumano cui vengono sottoposti talvolta gli animali a scopi di profitto, nell’insegnare poi che animali e natura sono stati pur sempre destinati da Dio ad essere usati e consumati dall’uomo per le sue vitali necessità esistenziali, ma in realtà l’ipocrisia di cui costoro parlano è del tutto insussistente, dal momento che il loro spirito è completamente chiuso alla comprensione di un concetto fondamentale: quello per cui, come recita l’art. 358 del Catechismo della Chiesa Cattolica, «Dio ha creato tutto», ivi compresi naturalmente la natura e gli animali, «per l’uomo», e che, anche per questo, «l’uomo è stato creato per servire e amare Dio e per offrirgli tutta la creazione».

Non capire questo, non capire che natura e animali sono funzionali al benessere e alle esigenze materiali e spirituali degli esseri umani, cosí come la vita di quest’ultimi, nell’insieme delle sue manifestazioni e delle sue opere, è funzionale alla gloria di Dio, significa scivolare inevitabilmente verso forme forse inconsapevoli e tuttavia reali di blasfema idolatria.

In un tempo in cui sono state già approntate normative (leggi n. 60 del 2006 e n. 37 del 1974) che autorizzano l’ingresso dei cani nelle chiese, sia pure per il momento di cani accompagnatori di non vedenti, e qualche tribunale amministrativo regionale del nostro Paese, come la sezione reggina del TAR della Calabria, ritiene di poter sentenziare (si veda l’aberrante e demagogica sentenza emessa nel luglio 2014 a favore degli ambientalisti del Comune di Porto Salvo che si erano opposti all’ordinanza del sindaco di vietare l’accesso ai cani sulle pubbliche spiagge) che i cani sarebbero “individui” e come tali titolari di diritti al pari degli uomini, per cui tra l’altro avrebbero anche diritto ad accedere a tutti i luoghi pubblici, come nella fattispecie sono le spiagge, non solo non appare ingiustificata l’amara ironia di quanti osservano che, fra non molto, le spiagge saranno piene di cani e totalmente vuote di gente, ma non si può non lamentare soprattutto l’incoscienza teologica, spirituale ed etico-civile di quei sacerdoti che non di rado appaiono disposti a consentire ai cani, anche in Italia, l’ingresso nelle loro chiese con la motivazione che anche i cani in fondo sono creature di Dio e che, purché i loro proprietari facciano in modo che non rechino disturbo, non esisterebbe alcuna incompatibilità biblica tra luogo sacro ovvero casa di Dio e presenza in essa di animali domestici cosí tranquilli come per l’appunto i cani.

Posizioni del genere, purtroppo, sono dovute fondamentalmente ad insufficiente penetrazione ermeneutica non solo della lettera ma anche e soprattutto dello spirito delle Sacre Scritture. Nostro Signore è venuto a salvare il genere umano non il genere animale perché solo il primo, in quanto dotato di ragione e di coscienza, poteva e può contemplare consapevolmente la grandezza e l’amore di Dio e di conseguenza rendergli gloria.

Gli animali hanno solo una natura materiale e non un’anima e, tanto meno, un’anima immortale come quella degli uomini, anche se essi percepiscono forse istintivamente di essere stati creati da Qualcuno tanto che, nel bellissimo Cantico di Daniele 3, 51, si legge: «Benedite, animali tutti, selvaggi e domestici, il Signore». Al Signore sono gradite la preghiera e la lode consapevoli, a lui elevate non in modo puramente istintivo o meccanico ma in modo libero, riflessivo e responsabile, come solo all’uomo è dato di fare. E, proprio per questo, fermo restando l’obbligo umano di non maltrattare gli animali e di non usare violenza nei loro confronti se non a scopi difensivi o a scopi scientifici che abbiano sicure e benefiche ricadute sanitarie per l’umanità, non è lecito che essi accedano, anche se accompagnati dai loro padroni, a luoghi sacri e principalmente nelle chiese in cui occorre garantire il massimo raccoglimento spirituale dei fedeli e fare in modo, con disposizioni previdenti e tassative, che non solo le funzioni religiose ma l’intera vita spirituale della comunità ecclesiale si svolgano senza inconvenienti o incidenti di sorta.

Peraltro, in tutta la Bibbia un animale domestico come il cane, che oggi va molto di moda e su cui sembra riversarsi l’affetto spesso abnorme o patologico di moltissime persone, per più di trenta volte viene citato con un significato spregiativo e tale da implicare la evidente incompatibilità tra la sacralità dell’atto religioso in tutte le sue possibili espressioni e la deliberata decisione umana di far partecipare a tale atto anche i cani considerandoli creature alla stessa stregua delle creature umane. Basti qui citare quel passo evangelico in cui proprio Gesù dice: «Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le pestino con le zampe e rivolti contro di voi non vi sbranino» (Mt 7, 6). E cosa potrebbe esserci di più santo della celebrazione eucaristica e della stessa casa di Dio?

Né qui, per contestare il nostro assunto, apparirebbe più ragionevole eccepire che alcuni grandi santi come sant’Antonio Abate e san Francesco d’Assisi siano stati molto amici degli animali, perché in questi casi, e soprattutto nel caso del misticismo di Francesco d’Assisi, usato strumentalmente da animalisti e ambientalisti, esso non ha proprio nulla della perversa idolatria naturalistica e animalista dei nostri tempi, sia perché per il santo d’Assisi la terra è solo una dimora provvisoria da utilizzare in vista della Patria celeste, sia perché animali, vegetali e minerali, non erano da lui considerati come idoli “ma semplicemente come creature che, con la loro bellezza e col loro simbolismo naturale e soprannaturale, possono facilmente avviarci alla conoscenza e all’amore di Dio in Cristo”. Gli animalisti non possono rivendicare S. Francesco come loro patrono per il semplice fatto che egli, a differenza degli indù, non considerò affatto gli animali sacri e intoccabili, né considerò mai gli animali suoi pari, volendo al contrario esercitare su di essi una vera e propria autorità; cosí come egli non può essere annoverato tra i vegetariani, in quanto non condannò mai il consumo delle carni o la caccia o l’impiego degli animali per tutti gli usi utili all’uomo.

Ma, si dirà, Francesco non chiamava forse “fratelli” tutti gli animali? Certo, ma non per disconoscere l’evidente differenza ontologica ed assiologica passante tra l’uomo e tutte le altre creature ma solo per sottolineare che tutte le creature di Dio, persino le più feroci o voraci, devono essere sentite dall’uomo come a lui vicine e funzionali e in nessun caso estranee o inutili. Ma non è forse vero che il 4 ottobre la Chiesa celebra, proprio in onore di san Francesco, una Messa con pubblica benedizione degli animali, accogliendo quindi quest’ultimi al pari di tutti gli altri fedeli? Non a caso questa Messa speciale viene celebrata una sola volta all’anno, quasi sempre all’aperto e con un valore strettamente simbolico, ovvero quello consistente nel ringraziare il Signore di aver fatto dono agli uomini anche di esseri viventi cosí utili e preziosi quali sono per l’appunto gli animali. Niente di più, niente di meno; nessun disconoscimento, ancora una volta, della ineliminabile ed incolmabile differenza qualitativa tra esseri umani ed esseri animali. Del resto, molti dimenticano che, quando San Francesco parlò con il lupo di Gubbio disse: «Frate lupo, tu fai molti danni in queste parti, ed hai fatto grandissimi malefici, gustando e uccidendo le creature di Dio sanza sua licenza. E non solo hai uccise e divorate le bestie, ma hai avuto l’ardimento d’uccidere e guastare gli uomini fatti alla immagine di Dio» (da “I Fioretti di S.Francesco”).

La verità è che, come ha affermato il professor Roberto De Mattei cosí spesso ingiustamente contestato, dietro le correnti animaliste si cela un disegno ben preciso: «Il processo di degradazione intellettuale del nostro tempo vorrebbe trasformare gli uomini in bestie negando loro la natura spirituale, e gli animali in umani, attribuendo loro la dignità di persone». Prova ne è, come osservava don Marcello Stanzione sul suo sito il 17 giugno del 2009, «la sconcertante la notizia dell’approvazione da parte del parlamento spagnolo del 26 giugno 2008 di una legge che estende alle “grandi scimmie” (gorilla, scimpanzé, oranghi) alcuni  diritti umani». Non c’è nient’altro da aggiungere, credo.