Maria tra famiglia celeste e famiglia terrena

Scritto da Adelina Bandini on .


Se si pensa attentamente alla santa famiglia di Nazaret, si può riscoprire la vera vocazione e la specifica missione della famiglia in genere e di ogni singola famiglia: come nella famiglia di Gesù anche nelle nostre famiglie, se partecipassimo della grazia divina in essa presente, l’amore piuttosto che l’odio potrebbe diventare normale, l’aiuto reciproco piuttosto che l’inimicizia o l’indifferenza, per usare le parole pronunciate da papa Francesco nell’Udienza Generale del 17 dicembre 2014, potrebbero diventare comuni.

Dalla famiglia di Gesù, apprendiamo infatti che una vera famiglia non può che fondarsi sulla fede in Cristo, non può che avere in lui la sua ragion d’essere. Anche le nostre famiglie possono essere sante se sono disposte ad accogliere Cristo per donarlo, per trasmetterlo al mondo attraverso un’opera quanto più sincera e perfetta possibile di testimonianza cosí come furono capaci di fare verso di lui e per lui Maria e Giuseppe.

Quando una delle nostre odierne famiglie si radica veramente in Gesù, nonostante errori contraddizioni e limiti di ogni genere che sempre accompagnano la vita di ogni essere umano come di ogni famiglia, essa riesce a comprendere non solo l’importanza e la grandezza di quei grandi beni che sono il matrimonio, la famiglia, il dono della vita, ma anche lo svilimento o la degradazione cui essi rischiano di essere oggi sottoposti a causa di norme civili che, già in diversi Paesi, prevedono il divorzio o il matrimonio di tipo omosessuale, l’aborto e la maternità surrogata o assistita, l’eutanasia o la neoeugenetica.

Ma pensare alla famiglia in cui visse Gesù, significa avere anche la possibilità di pensare ad una famiglia spiritualmente non rinchiusa in se stessa e negli egoismi individuali dei suoi membri, non ripiegata sui propri bisogni e sulle proprie necessità quotidiane, ma aperta anche agli altri, ovvero a chiunque, al di fuori delle proprie mure domestiche, possa aver concretamente bisogno di una parola di verità e di conforto, di un gesto amichevole, di un aiuto morale e materiale. Questo intese dire Gesù quando parve che ripudiasse sua madre: “chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”.

E’ ovvio che Gesù non disprezzò mai né la madre, né il suo padre legale Giuseppe, né i suoi familiari. In particolare come avrebbe potuto rinnegare colei che lo aveva generato, allevato ed educato? Gesù volle semplicemente sottolineare che la sua famiglia non era solo la “piccola” santa famiglia di Nazaret ma anche e soprattutto la “grande” o più grande famiglia umana che egli aveva il compito di salvare.

Gesù volle significare altresí che, come lui e grazie a lui, anche le nostre famiglie personali hanno un senso solo in quanto non restino chiuse ai bisogni e alle necessità di quanti non ne facciano parte per motivi di sangue ma si sentano intimamente e spiritualmente legate alle problematiche e al destino di tutte le altre famiglie esistenti al mondo e anzi, ancor più marcatamente, alle esigenze esistenziali e al destino di quanti una famiglia non l’abbiano o non l’abbiano più o ne abbiano una dolorosamente mutilata negli affetti.

La famiglia che si isola dagli altri, dalla comunità religiosa o sociale, dal mondo, coltivando interessi prettamente privatistici, non è una famiglia che si conformi, sia pure solo orientativamente, alla santa famiglia di Nazaret, la cui ragion d’essere viceversa era nel mettersi al servizio degli altri, dei poveri e degli oppressi, della vasta umanità pensante e sofferente presente in ogni parte del mondo.

Certo, è pur vero che ogni famiglia abbia i suoi problemi interni, ma anche la santa famiglia di Nazaret non era senza problemi: Maria e Giuseppe non dovettero forse condividere, non senza preoccupazioni e angosce, la condizione di quel loro figlio sconcertante seguendolo costantemente nella rivelazione del suo mistero?

Sebbene straordinaria, per molti aspetti quella famiglia fu simile a tutte le altre famiglie, che hanno gioie, dolori e segreti, che attraversano periodi difficili che a volte si prolungano molto nel tempo e tanto più difficili se a renderli tali è la mancanza d’amore. Com’è stato ben scritto, «a Nazareth Giuseppe, Maria e Gesù hanno vissuto il quotidiano in modo eroico, così che l’eroico diventasse quotidiano e anche noi potessimo imitarli nel nostro quotidiano. Giuseppe si impegnò con tutta la sua persona nell’opera di Redenzione del Figlio di Maria: ha donato a Dio la sostanza della sua tenerezza e del suo cuore, sacrificando il suo amore. Che si sia genitori grazie al matrimonio o che si sia padri e madri spiritualmente, l’esempio della Santa Famiglia ci chiede di essere pronti al sacrificio che fa vera la vita» (Mons. Francesco Follo, In pellegrinaggio a Nazareth dalla Santa Famiglia, Parigi 28 Dicembre 2014, in “Zenit”).

E, se è indubbiamente vero che la santa famiglia di Nazaret fu ed è il prototipo di una famiglia celeste, ovvero di una famiglia perfetta perché totalmente rispondente alla volontà del Signore, è altrettanto vero che quella famiglia, sperimentando ogni genere di contrarietà esistenziale e di avversità umana, può oggi ben considerarsi quale più alto paradigma di una famiglia realmente e profondamente umana. La famiglia contemporanea preghi e onori Maria perché, da famiglia terrena, possa un giorno trovarsi trasfigurata in una famiglia degna di far parte della grande ed eterna famiglia celeste.