La psicanalisi e la Creazione

Scritto da Francesco Martucci.


Come osserva la psicanalista Silvia Montefoschi, continuatrice italiana degli studi di Freud e Jung, Adamo ed Eva, nel momento stesso in cui Dio crea il soggetto-uomo, sono ancora una sola persona in cui coesistono in modo indifferenziato il maschile e il femminile, mentre successivamente, quando Dio da quel soggetto umano indifferenziato di nome Adamo trae un’altra persona ovvero Eva, in ognuna di queste due persone l’amalgama originario maschile-femminile si viene differenziando assumendo due distinte e specifiche fisionomie psico-fisiche, ognuna delle quali tuttavia avrebbe conservato in sé una traccia dello specifico proprio della persona altra da sé, innescandosi cosí fra esse una relazione di reciproca attrazione (Il sistema uomo — Catastrofe e rinnovamento, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1985, pp. 10-12).

Il maschio, portatore in sé anche di una quota di femminilità, si sarebbe sentito attratto dalla femmina, cosí come quest’ultima, portatrice in sé anche di una quota di mascolinità, si sarebbe sentita attratta dal maschio. Naturalmente, al di là di quella che sembrerebbe essere l’erronea tendenza della studiosa ad identificare Dio con la perfetta unità di maschile e femminile, di soggetto e oggetto o di spirito individuale plasmatore e alterità materiale individuale che viene plasmata (perché teologicamente Dio è molto di più e, alla fine, la sua identità non è perfettamente conoscibile e definibile), non è possibile affermare che le cose siano andate veramente cosí e che il rapporto uomo-donna possa o debba ricondursi alla realtà creazionale congetturata da Montefoschi.

Tuttavia, la sua ricostruzione interpretativa in chiave psicoanalitica potrebbe essere non solo suggestiva ma anche verisimile e dunque esegeticamente e teologicamente utile, se non ancora veritiera, circa l’evento culminante dell’originario processo creazionale: la comparsa dell’umanità nel creato.

Infatti, alla luce di questa lettura psicoanalitica della Genesi, si potrebbe inferire che il peccato originale sia consistito nella pretesa della persona-femminile Eva di non considerare la persona-maschile Adamo come l’altro della propria soggettività umana, come complemento-integrazione della propria identità o della propria egoità esistenziale, ma come altro dalla propria soggettività umana, come oggetto rispetto al proprio sé soggettivo, come limite alla propria autonomia e alla propria libertà, come impedimento alla compiuta perfezione del proprio essere individuale. Pretesa condivisa da Adamo e orientata a porre in discussione la sapienza e la volontà di Dio.

Se Dio è già perfetto in se stesso, è totalmente autosufficiente e può esercitare la sua infinita libertà come e quando crede e nei confronti di qualunque altro essere a lui esterno, perché io Eva devo completarmi e realizzarmi in Adamo e io Adamo devo completarmi e realizzarmi in Eva, con la conseguenza che l’una e l’altro siano tenuti a rendere sempre reciprocamente conto all’altro, a vivere non solo per sé ma anche con l’altro e per l’altro, a condizionare o subordinare la libertà personale a quella dell’altro? Perché la mia soggettività intellettuale, morale, religiosa non deve potersi esaurire e attuare in se stessa, con la possibilità di poter esercitare la libertà soggettiva che le è propria in modo molto più ampio e più pieno anche nei confronti di un soggetto non solo diverso da me ma anche realmente o virtualmente estraneo e antitetico a me, ai miei desideri e alla mia facoltà progettuale, nei confronti cioè di un soggetto che in vero altro non è che oggetto rispetto al mio essere-soggetto?

Di qui si spiega forse la pretesa di Adamo ed Eva di sovvertire l’ordine divino e la loro sfrenata ambizione di vivere al di là di esso per assaporare piaceri illeciti o proibiti, ovvero non rispondenti alle loro necessità ontologiche ed esistenziali, come per esempio quelli derivanti dalla possibilità di condividere la loro vita o almeno determinate loro esperienze personali anche sensibilmente e sessualmente con gli esseri celesti e, beninteso, con quegli angeli decaduti e fatti precipitare sulla terra al pari degli esseri umani dopo essere stati scacciati dall’Eden.

Congettura, questa, che potrebbe trovare forse un riscontro sia pure indiretto e cronologicamente non concomitante in Genesi 6, 1-8, in cui si legge che «i figli di Dio», qui da intendere come figli celesti o angeli decaduti di Dio, «videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli a loro scelta», dove si suppone che le figlie degli uomini fossero ben consenzienti a tale unione innaturale e sacrilega se non addirittura di essa compartecipi, e in cui si evidenzia la forte contrarietà del Signore al pessimo modo delle sue creature di usare della loro libertà: «C'erano sulla terra i giganti a quei tempi - e anche dopo -, quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini», ma evidentemente anche i “figli degli uomini” dovevano essersi macchiati di qualche colpa gravemente peccaminosa di tipo analogo benché non menzionata esplicitamente dalla Bibbia, «e queste», cioè le figlie degli uomini, «partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell'antichità, uomini famosi. Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre».

Quando Adamo ed Eva cessano di essere una sola persona, una sola carne e una sola anima, pur nella distinzione e nella diversità funzionali e complementari delle loro rispettive strutture psico-fisiche, interviene la rottura tra la creatura e il Creatore, l’allontanamento del genere umano da Dio, e al tempo stesso ha inizio la storia di un’umanità esposta ad ogni tentazione di sopraffazione, di dominio, di possesso, di conflittuale rivalità tra i sessi e all’interno di ciascuno di essi. Eva che voleva sentirsi libera di vivere e di agire persino senza e contro Adamo, libera da ogni rapporto di fedeltà non solo rispetto a Dio ma rispetto al suo prescelto compagno, sarebbe stata sottomessa istintualmente e sessualmente a quest’ultimo: «Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà» (Gn 1, 16), mentre Adamo, per aver condiviso il moto di ribellione di Eva e aver sciupato il dono celeste di una vita eternamente felice solo per assecondare senza pentimenti di sorta delle voglie irrazionali e sconsiderate, sarebbe stato condannato a procurarsi da vivere con molta fatica e sofferenza sino alla morte che non era prevista nell’originario piano di Dio, sino al ritorno a quella terra da cui era stato tratto: «polvere tu sei e in polvere tornerai!» (Gn 1, 19).

Ora, in questa ottica psicoanalitica, la storia della salvezza, resa possibile dalla mediazione sacrificale di Cristo e dalla totale e permanente sottomissione spirituale ed esistenziale a Dio della donna Maria di Nazaret, è la storia finalizzata a restaurare l’antica legislazione divina in virtù della quale le creature non si stancano di apprezzare con amore e riconoscenza i doni ricevuti da Dio, né ambiscono ad ulteriori e apparenti forme di felicità, ma si sforzano di goderne umilmente rimanendo fedeli, sia pure tra contraddizioni e cadute, alla divina volontà, che è volontà di vita eterna.