Come Giacobbe

Scritto da Gigliola Asquer on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Giacobbe è assalito di notte da un uomo misterioso (Gn 32, 27-30). E’ solo, è indifeso, non sa esattamente con chi abbia a che fare, ma è coraggioso ed usa la sua forza fisica e spirituale non solo per difendersi ma anche per tentare di scoprire l’identità del suo assalitore che gli dimostra la sua superiorità colpendolo e ferendolo all’anca. E’ qui che Giacobbe intuisce che il suo avversario, colui che lo sta costringendo a lottare, è Dio o un angelo di Dio, che cerca di trattenere sino a quando non gli impartisca la sua benedizione.

La conclusione del racconto è che l’entità divina che ha dinanzi, pur non rivelando il suo nome e la sua identità, lo benedice dopo avergli cambiato nome e identità, non più Giacobbe (imbroglione) ma Israele ovvero combattente con Dio o di Dio, proprio per significare che solo chi è disposto a perdere con Dio, riconoscendosi poca cosa rispetto a lui, può vincere con Dio stesso e con gli uomini ottenendo la sua salvifica benedizione.

E’ difficile dire quanti uomini abbiano la stessa mentalità, la stessa sensibilità umana e religiosa di Giacobbe, ma è certo che il Signore predilige molto coloro che abbiano le sue caratteristiche sia pure in contesti storico-esistenziali e spirituali diversi da quello del Patriarca ebreo.

Dio lo si può sperimentare solo al di fuori della consueta occupazione giornaliera e della chiacchiera quotidiana, colta o incolta che sia; solo quando ci si predispone a riconoscere intimamente non solo i propri errori e limiti oggettivi ma persino l’inutilità o la insignificanza dei propri pensieri e delle proprie azioni migliori ove essi non siano radicati in un permanente e sempre nuovo atto di fede in un Dio Signore dell’universo e di tutti gli esseri esistenti, può accadere che Dio si affacci alla nostra coscienza e cominci a far sentire la sua voce inizialmente non già rassicurante ma provocante e inquietante, mettendo in crisi le cose cui teniamo di più, il nostro io, la nostra vanità, la nostra stessa personalità, non al fine di distruggere tutto quel che pensiamo, facciamo e siamo, ma al fine di riorientare radicalmente il nostro essere in uno spirito di impegno e di lotta che sia tutt’uno con il confidare nell’aiuto misericordioso e nella giustizia di Dio.

Se noi, pur sempre soggetti al peccato, non pretendiamo di veder realizzati determinati progetti o desideri, per quanto leciti possano essere, ma ci sforziamo di subordinare il nostro volere al volere divino, facendo della preghiera e del costante esercizio spirituale gli strumenti più importanti e preziosi delle nostre decisioni e delle nostre scelte come di tutta la nostra vita, potremo trovarci nella condizione agonica di Giacobbe, a tu per tu con un Dio troppo più forte di noi che tuttavia non disdegna di confrontarsi con noi e di benedirci, potremo davvero lottare e vincere meritoriamente con Dio e con gli uomini, piangere di gioia e godere della sua eterna benedizione. Non si potrà mai vincere con Dio senza essere disposti a perdere con lui, a veder terribilmente sconfitte le nostre molteplici e talvolta inavvertite resistenze ai suoi richiami e ai suoi piani di salvezza.

Solo attraverso un’esperienza diretta e dinamica come quella di Giacobbe si può uscire davvero trasformati, vale a dire ci si può elevare a partner di Dio, rimanendo esseri responsabili sempre coscienti di essere sale della terra che non perde mai il suo sapore, in quanto chiamati a dar sapore non solo alla propria vita ma anche a quella di coloro che incontreremo durante il cammino terreno.