Darwinismo. Scienza o ideologia della scienza?

Scritto da Francesco di Maria.

 

Il problema del rapporto tra scienza e fede o tra scienza e teologia è ormai anacronistico e ben poco utile sul piano della ricerca filosofica contemporanea. Ne sono convinti i seguaci di Darwin, di un Darwin naturalmente sempre riveduto e corretto e quindi sottoposto a continui aggiornamenti che ne garantiscano la costante inattaccabilità e la perenne attualità epistemica e culturale. Si prenda qui uno storico della scienza di tutto rispetto come Antonello La Vergata, che già nel 2009, in quarta di copertina del suo libro “Colpa di Darwin?” (e francamente è inutile andare oltre la quarta di copertina o oltre l’introduzione), liquidava come banale la questione argomentando sarcasticamente in questi termini: «Chi vorrà rivendicare le vie della scienza a Dio avrà sempre a disposizione risorse inesauribili, poiché non c'è limite all'immaginazione umana e alle possibilità del linguaggio. Sarà sempre possibile conciliare scienza e religione fin tanto che nei testi sacri si troveranno significati simbolici, metaforici, morali "aggiornabili" strada facendo. Inoltre, si potrà sempre dire che, cercando disinteressatamente la verità, lo scienziato celebra le opere di Dio anche senza saperlo».

Questo astuto scientista italiano, probabilmente affetto dal complesso di non essere capito dagli altri ritenendosi egli parte di un risicato numero di eoni o esseri eterni capitati casualmente sulla terra, forse non si rende conto che un analogo ragionamento è possibile fare per gli spiriti irreligiosi, perché non c’è dubbio che chi voglia rivendicare le vie della scienza al Caso, che tuttavia viene operando nell’universo fisico e nel mondo storico-culturale degli esseri viventi in modi evolutivi complessi e imprevedibili anche se solo apparentemente simili a processi finalistici, avrà sempre a disposizione risorse inesauribili, poiché non c'è limite all'immaginazione umana e alle possibilità del linguaggio. Sarà sempre possibile ritenere inconciliabili scienza e religione fin tanto che nei testi sacri, pardon autorevoli e canonici, della scienza si troveranno significati teorici e confutazioni logico-metodologiche "aggiornabili" strada facendo. Inoltre, si potrà sempre dire che, cercando disinteressatamente la verità, lo scienziato non celebra affatto le opere di Dio anche senza saperlo, ma piuttosto professa semplicemente e onestamente la sua fede nella ragione umana. Ragion per cui se, come scrive La Vergata, «la domanda sul senso dell'essere ha senso solo per gli spiriti religiosi», forse si potrebbe ribaltare l’affermazione per dire che l’assenza di domanda sul senso dell’essere oppure l’ipotesi che l’essere non abbia alcun senso hanno senso solo per gli spiriti irreligiosi.

Ma, per rincarare la dose in funzione anticattolica, La Vergata, in un articolo scritto per la Società Psicanalitica Italiana, chiama in causa il cardinale Schönborn  e il teologo Ratzinger, in quanto avrebbero imprudentemente affermato che negare «l'evidenza schiacciante di finalismo e disegno» vuol dire abdicare alla ragione. Non che in senso puramente ipotetico, si affretta a precisare l’accademico cosentino, «la storia dell’universo» non possa essere «la realizzazione di un disegno», ma se questo sia eventualmente avvenuto «solo la ragione può spiegarlo, non la semplice invocazione sciamanica della parola disegno». Che, tradotto in termini molto semplici ma non arbitrari, significa sostenere che l’ex papa Benedetto XVI era uno “sciamano” e che più in generale chi legge in senso finalistico la natura non usa la ragione ma qualcosa che resta al di qua o al di là di essa, perché niente è razionalità al di fuori di un’impostazione quantitativa, meccanicistica, materialistica, riduzionistica, casualistica, probabilistica, evoluzionistica, e insomma darwiniana o neodarwiniana o postdarwiniana ma in nessun caso priva di un preciso riferimento a Darwin.

Non solo non usa la ragione chi, sulla base delle sue letture, delle sue conoscenze e dei suoi studi, sostiene l’esistenza di un Creatore e di una razionalità umana il cui esercizio critico rifletta soggettivamente le strutture oggettive di una sapienza divina, ma è semplicemente «insano di mente» e «intellettualmente disonesto». Povero Benedetto, poveri cattolici, poveri credenti e poveri persino quegli atei equilibrati ed onesti che non si avventurano in affermazioni cosí spropositate. Peccato però che Galileo Galilei, solo per citare il padre della scienza moderna, che lavorava alacremente per via di ragione rigorosissima, sulla base di “sensate esperienze” e “certe dimostrazioni”, non ritenesse possibile che quel meraviglioso gioco cosmico di forze meccaniche di cui lo scienziato doveva scoprire “le leggi” potesse esistere senza un Autore, senza un Creatore che lo avesse reso possibile.

Peraltro, proprio in sede scientifica, il darwinismo oggi viene sempre più contestato e confutato con argomentazioni particolarmente stringenti da parte di esperti stricto sensu della scienza, di tecnici specializzati in specifici campi di ricerca sperimentale, che sono figure di scienziati profondamente diverse da quelle di certi storici delle idee improvvisatisi biologi, matematici o fisici di professione.

V’immaginate se la ragione fosse solo quella che piace al prof. La Vergata, cioè la sua! Che sconforto, che desolazione, che agonia! Studiosi pur molto validi come La Vergata dovrebbero essere capaci di liberarsi da quella loro sussiegosa e buffa autosufficienza prima di poter parlare di razionalità ed ergersi a campioni di vera e proficua razionalità. Altrimenti, rischieranno di essere esponenti della ricerca filosofico-scientifica solo per celia e di assomigliare piuttosto a giudici stupidi, inetti e corrotti, molto più inclini a celebrare se stessi disprezzando aprioristicamente gli altri ovvero tutti coloro che non siano loro conformistici seguaci e adulatori che non ad indagare le possibilità inesauribili del reale e del sapere e a comprendere la complessità e la ricchezza effettive e non semplicemente postulate della vita morale e spirituale degli uomini.

Un altro apostolo della religione darwiniana, certo Telmo Pievani, forse ancor più dogmatico e settario di La Vergata, si mostra visibilmente infastidito dall’idea che sulla scienza possano aprire bocca persino gli incompetenti o piuttosto coloro che tali siano ritenuti talvolta anche per semplici motivi polemici o di comodo: «Al netto di tutti gli errori possibili, passati e presenti, il nocciolo della spiegazione evoluzionistica attuale, corroborato oltre ogni ragionevole dubbio, è darwiniano. Se ne facciano una ragione i negazionisti a oltranza. Le valutazioni di merito sugli sviluppi e sugli aggiornamenti della teoria evoluzionistica vanno lasciate agli storici, agli scienziati e agli studiosi che conoscono le fonti, non al chiacchiericcio dei narcisisti della rete che spizzicano una citazione qui e una là e sono convinti di essere in possesso di chissà quale rivelazione».

A parte il puerile nervosismo che queste righe manifestano, si tratta di affermazioni polemiche che, nei miei anni universitari, sentivo fare anche a docenti universitari messi in cattedra per motivi ideologici e non certo scientifici. Non vorrei che, a distanza di diversi decenni, quella mia esperienza fosse ancora attuale e istruttiva, ma se l’epistemologo Pievani vuol dimostrare di essere un accademico per motivi scientifici si limiti a fare studi di epistemologia e a divulgarli o comunicarli in forma possibilmente chiara e concisa, confrontandosi seriamente e non a colpi di epiteti o battibecchi con autorevolissimi studiosi e comprovati scienziati che criticano radicalmente il neodarwinismo: faccia questo, senza lasciarsi distrarre o turbare da quella folla di narcisisti della rete, di cui però sembra far parte lui stesso quanto meno per aver voluto lanciare sulla “rete” il suo sito per addetti ai lavori “Pikaia”, che hanno l’ardire di interrogarsi scetticamente sul reale valore storico-epistemico di intellettuali quali per l’appunto La Vergata e Pievani.

La scienza è paragonabile ad una signora affascinante e al tempo stesso carica di esperienze e conoscenze non solo uniformi e omogenee ma anche profondamente differenziate ed eterogenee, che, vedendosi ammirata e corteggiata da molti, a nessuno consente di manipolarla e farne proprietà privata per evitare che la sua natura verginale, incorrotta e incontaminata, possa essere proditoriamente o troppo gravemente macchiata. Ella non disdegna solo la vivace compagnia di quanti, come bambini, si stupiscono di ascoltare le sue storie cosí diverse, contraddittorie, alternative, problematiche e mai definitive, e perciò veramente significative e formative.

Un insigne storico della scienza come Paolo Rossi, benché molto distante dalla sensibilità teoretica ed etica di alcuni di noi, molti anni or sono scriveva: «Il mondo di Darwin è un processo a regolazione interna. La selezione naturale è l’orologiaio cieco, che non pianifica conseguenze e non ha in vista alcun fine. L’impressione del disegno intenzionale dell’orologiaio, di un suo progetto, è solo un’illusione che dipende dal narcisismo degli esseri umani. Sembra che anche in quel complicato mondo che ha a che fare sia con il darwinismo, sia con il tema del “posto dell’uomo nella natura”, sia con la visione della storia, la faccenda sia molto più complicata di quanto molti non abbiano creduto» (Naufragi senza spettatore. L’idea di progresso, Il Mulino, 1995, p. 120). Senza voler fare un’analisi critica puntuale del brano qui riportato, perché si rischierebbe di ripetere concetti già espressi, l’assunto per cui il mondo e tutto ciò che lo riguarda sia e resti molto più complicato di quanto molti credano, anche tra storici e filosofi della scienza reali o presunti di oggi, è ciò che tranquillamente può essere condiviso anche dal credente e dal credente cattolico.