Maria emblema di "piccolezza" evangelica

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Più piccolo di Maria, in senso evangelico, non è stato e non sarà nessun essere umano. Lei, rispetto ai discepoli di Gesù, che sono diventati “piccoli” attraverso un lungo e complicato tirocinio esistenziale al seguito di Gesù, è sempre stata “piccola”, semplice ma non superficiale, lineare ma non rigida, innocente ma non ingenua, amorevole ma non sdolcinata, umile ma non servile, combattiva ma non aggressiva, innamorata di Dio senza se e senza ma e al più incapace talvolta di capirne perfettamente i disegni. Ecco, un altro elemento della sua piccolezza: proprio questa incapacità di capire sempre e comunque la volontà di Dio, lei che pure aveva avuto il privilegio di essere visitata da Dio e di portarne in grembo il Figlio unigenito. Maria è stata uguale a noi, ma al tempo stesso è stata superiore a noi tutti. Uguale a noi, perché sensibile e fragile come noi in tutto fuori che nel peccato, e superiore a noi tutti perché dotata, sia pure per una speciale grazia di Dio di cui ella sarà sempre riconoscente, di un’umanità più completa, più integra, più intensa ed accurata, più santa, persino rispetto alle forme storiche più alte e memorabili di carità e pietà cristiane.

Se una donna di oggi, completamente estranea a fenomeni di conclamato isterismo religioso e di patologico o molto sospetto misticismo nonché veramente pia e virtuosa, dicesse le stesse parole pronunciate da Maria nel Magnificat, vale a dire “grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”, verrebbe presa molto probabilmente per matta ed esaltata. Maria non ha corso questo rischio solo perché pronunciò il suo canto di lode in presenza della cugina Elisabetta e del marito di questa, Zaccaria, a loro volta testimoni e beneficiari di un sensazionale intervento divino nelle loro vite. E le sue parole furono sempre accettate senza riserve nei secoli successivi e da generazioni di credenti che avevano ereditato ormai come punto fermo della fede cristiana la maternità divina di Maria. Ma la verità è che la ragazza di Nazaret, nel lodare il Signore con quelle parole, veniva facendo solo una naturale, spontanea e genuina professione di umiltà oltre che di fede, senza preoccuparsi di apparire un’esaltata oppure una presuntuosa. Non era forse vero che nella sua attenta soggettività aveva sperimentato oggettivamente il divino? E allora perché si sarebbe dovuta trattenere dal manifestare la sua gioia quasi infantile e avrebbe dovuto trattenersi dall’elevare un umile anche se meraviglioso ringraziamento al suo Dio che aveva voluto renderla cosí importante anche se insignificante dal punto di vista economico, sociale e culturale?

Altrettanto umili, ispirate e determinate sono le altre azioni attribuite a Dio ab aeterno: la sua misericordia è per coloro che lo amano non senza temerlo perché riconoscono umilmente la sua onnipotenza e il suo giudizio; la sua potenza si manifesta non solo alla fine dei tempi ma anche, sia pure parzialmente, nel corso della storia abbattendo in un modo o nell’altro ogni forma di reale superbia umana, rovesciando troni e regimi di potere che tendono a soffocare i diritti e le legittime aspirazioni di popoli inermi ed oppressi, consentendo ai poveri di riscattarsi e migliorare le proprie condizioni di vita, andando sempre in soccorso del resto migliore di Israele, della sua Chiesa, del suo popolo. Si potrebbe dire: all’anima della “piccolezza” evangelica! E invece questa visione mariana, che è principalmente una visione escatologica ma che trova anche frequenti e significativi riscontri storici, è davvero indicativa di un’esemplare “piccolezza” evangelica, perché è una visione profetica e le visioni come gli annunci profetici sono quelli che solo i “piccoli”, i “semplici”, i “poveri” di Dio possono fare.

Semmai, più dubbio è il ritenere, come è stato scritto, che la Chiesa di tutti tempi, identificandosi con Maria, “continua a cantare tutti i giorni il Magnificat come suo proprio cantico”: forse sarebbe più veritiero e prudente limitarsi a dire che la Chiesa di tutti i tempi, riconoscendo in Maria la sua ineguagliabile Madre e non senza una qualche discontinuità e una intensità variabile, canta il Magnificat come suo proprio cantico più nella liturgia che nella vita reale, nonostante tanti magnifici esempi di dedizione evangelica.

Ma questa precisazione critica, beninteso, non appartiene necessariamente a quei “profeti di distruzione” tanto vituperati da papa Francesco o meglio dal vescovo maltese Mario Grech che si richiama a Bergoglio per dire quanto segue: “Purtroppo, ci sono anche dei profeti di distruzione, che nella loro ansia religiosa mettono più in evidenza le macchie anziché vedere quel tanto di bene che c’è nell’uomo; si fermano di più alla debolezza piuttosto che apprezzare gli sforzi fatti, anche piccoli ma sinceri, della persona che cerca di compiere nel rialzarsi in piedi; sono più interessati a difendere alla lettera la legge piuttosto che l’uomo; per garantire la perfezione escludono tutto ciò che è imperfetto; per affermare la giustizia di Dio si mettono a controllare la sua misericordia. Atteggiamenti di questo genere annullano ogni speranza nella persona umana e fanno della Chiesa ciò che non è, ciò che non dovrebbe essere mai. Sull’esempio di Cristo, che ‘una canna infranta non spezzerà, non spegnerà il lucignolo fumigante, finché abbia fatto trionfare la giustizia; nel suo nome spereranno le genti’ (Matteo, 12, 20-21), la Chiesa è ed esiste per offrire una vera speranza all’umanità” [Nella Pasqua di Maria, in L’Osservatore Romano” del 12 agosto 2017].

Il vescovo citato, nel porsi in linea con posizioni proprie di questo pontificato (più o meno), pensa che Maria apprezzerebbe la sua invettiva (perché di questo si tratta) contro tutti quei preti che non vogliono capire che “la giustizia di Dio”, per dirla con il papa, “è nient’altro che misericordia” e, di conseguenza, non intendono dare, per esempio, la comunione ai divorziati risposati. Questo vescovo, in linea con un pontificato che tende talvolta a disorientare i fedeli con “uscite” ad effetto ma assai poco corroborate da un punto di vista evangelico e teologico, non solo dà un’interpretazione forzata e tendenziosa della Parola di Dio ma non si rende conto che sono proprio i fautori dell’ipermisericordismo divino, quelli cioè che lanciano misericordia e perdòno a piene mani e con estrema disinvoltura verso divorziati, omosessuali, atei o agnostici, islamici e via dicendo, ovvero verso tutto ciò che in questo mondo esprime sia pure non in modo irredimibile l’errore e il peccato contro la legge di Dio e la vita stessa degli uomini, non solo a contraddire il proprio assunto ma proprio a “controllare la misericordia di Dio”. Perché? Ma perché, si vedano al riguardo le prese di posizione di Francesco, ci sono alcuni che vanno già incontro al severo giudizio di Dio e costoro sono mafiosi e ndranghetisti, narcotrafficanti e trafficanti di esseri umani e di organi, corrotti e pedofili, giusto per citare alcune categorie di persone decisamente e giustamente invise al papa e sulle quali, a giudicare dal linguaggio non sempre univoco e preciso da lui talvolta adoperato, la misericordia divina sembrerebbe spegnersi o attenuarsi molto, anche se poi è facile notare che sono categorie di persone altrettanto invise, almeno in apparenza, al mondo sociale in genere e a quello mediatico più in particolare. Il che peraltro non implica che l'anticonformismo di Francesco sarebbe finto e che egli sarebbe paradossalmente vittima di un ampio conformismo di massa, ma solo che elementi conformistici probabilmente sussistono anche nel suo pontificato. 

Ora, non è che la misericordia divina può agire solo verso coloro per i quali, non importa se ipocritamente, questo mondo simpatizza anche per crearsi degli alibi di facciata mentre è come interdetta verso coloro che inequivocabilmente creano tanti problemi all’ordinato svolgimento della vita economica e sociale dei popoli e all’esistenza stessa di tante persone. La misericordia di Dio è sempre funzionale alla salvezza di molti ma, proprio per questo, i molti che eventualmente vogliono essere salvati devono darsi da fare, devono convertirsi, devono comportarsi secondo tutto ciò che Dio giudica giusto. Dio ha compassione e misericordia per quelli che hanno riguardo per la sua giustizia e si sforzano di onorarla con atti concreti. Ci si aspetterebbe che papa Francesco ormai, nella sua comunicazione mediatica giornaliera, facesse un po’ d’ordine su questi concetti che in vero nella tradizione della Chiesa e nello stesso magistero dei precedenti papi appaiono molto chiari e limpidamente definiti. In particolare, in essi la giustizia divina non figura mai come univocamente riducibile a misericordia.

Ora, Maria sapeva bene queste cose, come il Magnificat dimostra chiaramente, e, ben conoscendo il nesso di continuità ma anche la differenza tra misericordia e giustizia di Dio, le amava entrambe in modo assolutamente equanime. Sarebbe dunque opportuno non invocare Maria invano, perché Maria guardava il mondo con gli occhi di Dio e non, al contrario, Dio con gli occhi del mondo. Il mondo non può essere salvato sulla base di categorie che travisano insegnamenti e precetti divini e il cristiano è solo colui che annuncia Cristo sia pure servendosi dei doni intellettivi e volitivi conferitigli da Dio, non già colui che tende ad annunciare se stesso pur nominando fino alla noia il Cristo stesso.

La Chiesa vuol tornare ad identificarsi con Maria, vuol tornare ad essere “piccola” come Maria, vuol provare a cantare il Magnificat con lo stesso slancio spirituale di Maria? Allora si preoccupi oggi degli uomini, della loro salvezza, semplicemente restando fedeli, come Maria, alle esigenze del Cielo: a Roma come ad Istambul o a Gerusalemme, fuori dalle celebrazioni mondane e da troppe visite di cortesia, quanto più possibile anonima nelle opere di bene, e sempre sotto quella croce di cui non si può parlare sorridendo o facendo retorica sia pure per scopi edificanti ma solo per ricordare le vere iniquità del mondo che generano e riproducono la morte e per annunciare la certezza della Risurrezione per coloro che avranno vissuto e saranno morti in Cristo e per Cristo.

Ecco come potrà la Chiesa, ed ognuno di noi, se non eguagliare quanto meno avvicinarsi significativamente alla santa “piccolezza” di Maria. Nascosti alla luce del mondo, sempre sinceramente orientati a stare dietro le quinte, seduti il meno possibile, e religiosamente indiscreti fino al punto di scocciare Gesù per ricordargli che in qualche vita, in qualche casa o nel mondo intero non c’è più vino e che, se non ci pensa di nuovo lui, si spegne definitivamente la vita: ecco, dobbiamo essere piccoli così. Dal miracolo di Cana si originarono tutti gli altri miracoli del Cristo. Importuniamolo come fece allora Maria e il Signore ci regalerà altri miracoli a cominciare dal fatto che vorrà tenerci per sempre con sé.