Il mondo grande, terribile e complicato

Scritto da Francesco di Maria.

 

“Il mondo è grande, terribile e complicato” (Lettera a Giulia del 18 maggio 1931), scriveva Antonio Gramsci alludendo non solo alla complessità dei processi storico-economici in atto, ai rapidi e spesso drammatici mutamenti sociali, allo scontro cruento e persistente tra contrapposti mondi ideologici e culturali, ma anche e non meno significativamente alle particolari e troppo spesso sfuggenti e indecifrabili vicende umane, alle relazioni interpersonali mai univocamente o definitivamente determinabili in senso conoscitivo e soprattutto morale, alla estrema problematicità del dover valutare, giudicare e persino condannare parole, comportamenti, fatti, azioni di singoli individui, o di specifici gruppi professionali e comunità di lavoro.

E’ verissimo anche oggi: com’è possibile fare diagnosi di qualunque genere, con una pretesa di infallibilità, in un mondo come l’odierno? Com’è possibile emettere verdetti assoluti di condanna o di assoluzione in un mondo in cui appare sempre più attuale la tesi pirandelliana di “uno, nessuno, centomila”? Com’è possibile credere senza riserve alle istituzioni in genere se esse fin troppo spesso si rivelano feroci non solo verso nemici patentati dello Stato ma anche o soprattutto verso persone e famiglie del tutto innocenti e indifese che da esso in molteplici modi e forme, vengano paradossalmente colpevolizzate e ingiustamente vessate e zittite? Com’è possibile, in una stessa famiglia, esprimere in modo assoluto, e con una perentorietà che non ammetta repliche, apprezzamento o repulsione per i suoi componenti a prescindere dalla vita intima, biopsicologica, genetica, e dalle concrete esperienze di vita di ognuno di essi?

Il mondo, in tutti i suoi ambiti, è davvero pieno di situazioni umane così complesse, difficili e aggrovigliate da non consentire interpretazioni scontate o incontrovertibili neppure nei casi in cui si disponga di elementi logici e fattuali che sembrino conferire un alto grado di attendibilità o veridicità alle nostre ricostruzioni razionali e alle nostre idee come ai nostri giudizi morali e alle nostre valutazioni etiche e politiche. Tuttavia, è pur vero che non è possibile né vivere né convivere senza princìpi, senza regole, senza norme e valori, che come tali impongano criteri più o meno rigorosi di comportamento e limiti invalicabili alla libertà individuale e collettiva proprio per salvaguardare la libertà di tutti, ed è quindi inevitabile e necessario che, ove intervengano errori, misfatti, delitti, abusi, prevaricazioni e quant’altro, si proceda a sanzionarne la gravità con un adeguato grado di severità pur non disgiunto da un misurato e ragionevole senso di umana flessibilità.

Il mondo, sempre uguale a se stesso ma sempre diverso da se stesso, è grande perché innumerevoli sono tanto le sue realtà umane individuali e collettive quanto le ragioni intellettuali, morali, sociali, economiche, spirituali che ne sottendono lo svolgimento; è grande perché sempre in grado di generare, nella conoscenza come nella tecnica, nella cultura come nella politica, cose nuove e diverse, e sempre suscettibili di ulteriori e sorprendenti sviluppi, allo scopo di lavorare utilmente al comune ed universale destino dell’umanità, che è un destino di progresso e di sviluppo, di benessere e di pace, di libertà e umana dignità. Ma tale comune destino è anche un destino pesantemente e invariabilmente segnato da forme molto diffuse di indigenza, di disagio, di solitudine, di sofferenza, da conflitti e da guerre, da catastrofi naturali e da malattie, e infine dall’angoscia e dalla morte. Per tutto questo, il mondo in cui viviamo è anche terribile, come scrive Gramsci, inesorabilmente portato, nella coscienza di spiriti criticamente aperti alla novità del cuore e della vita, a vanificare persino idee e progetti apparentemente portentosi, e  ad intorbidire continuamente i confini tra il bene e il male, tra il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, e a rendere sempre più problematici o meglio enigmatici i nostri personali criteri di giudizio, i valori della nostra vita, i nostri stessi gusti o orientamenti soggettivi.

Un mondo, quindi, anche terribilmente complicato, dove non c’è mai nulla di scontato e dove le costruzioni più ingegnose o ardite del pensiero umano potrebbero pur sempre sbriciolarsi sotto l’urto inatteso e incontenibile di forme ancora ignote di conoscenza, di intelligenza e sensibilità. Il teologo più devoto e lo scienziato più ateo, posto che abbiano svolto in modo ineccepibile il loro lavoro di ricerca, non saranno mai in grado di immaginare quanto potrebbero essere ancora e ugualmente stolti dopo aver sviscerato rispettivamente e meravigliosamente tutte le verità della fede e tutte le tecniche o le teorie più evolute del sapere.

Per Gramsci, questo mondo grande, terribile e complicato è un mondo che sfinisce la mente e l’anima, che rende perennemente inquieto l’uomo che si chiede la ragione delle cose esistenti senza mai poterne sondare in modo assoluto e definitivo i significati più nascosti o reconditi. Non si tratta di una semplice fatica di Sisifo, perché è una fatica che dà frutti, che orienta nel mondo e nei rapporti con gli altri, negli stessi rapporti con le istituzioni e i processi economici in atto, perché è una fatica che fornisce punti di riferimento sia pure in un mare sempre aperto, dove tutto può drammaticamente cambiare da un momento all’altro. Tuttavia è un’esperienza titanica, oltremodo logorante, che non ti lascia mai certezze e gratificazioni durature e tanto meno definitive, anche nel caso in cui la navigazione esistenziale sia stata affrontata con grande saggezza e perizia, con prudenza esemplare e ammirevole capacità di discernimento.

Alla fine, le cose non capite, non comprese, non amate, restano infinitamente più numerose delle cose presumibilmente capite, comprese e apprezzate, e il senso della propria miseria tende a prevalere in modo schiacciante sul senso presunto o reale della propria nobiltà o integrità. L’ultimo giudizio di verità e di merito circa le cose del mondo, circa le azioni umane che vi si sono consumate e gli effetti da esse prodotti, sembra non potersi attribuire a nessuno, oppure, in un contesto di fede religiosa militante, esclusivamente a Dio Creatore, Salvatore e Giudice.

Il mondo grande, terribile e complicato, non induce perciò ad alcuna indulgenza verso forme dirette o indirette di scetticismo e rassegnazione o di nichilismo etico-gnoseologico persino in relazione alla dimensione spirituale e religiosa. Esso invece comporta una relativizzazione del nostro pensare, dei nostri modelli culturali, della nostra stessa fede, non per fare piazza pulita di valori, di princìpi e credenze, bensì per metterli continuamente in discussione al fine di stabilire ogni volta cosa ancora manchi alla loro universalità, quali siano le integrazioni spirituali di cui ancora necessitano per essere più funzionali alle verità, al bene, alla giustizia e alla pace che più o meno sinceramente ognuno di noi si impegna a cercare.  La stessa fede è una fede che non cessa di essere sorgente di vita e di forza spirituale solo se non si appiattisce su forme date, cristallizzate, consuetudinarie di religiosità, e solo se la sua domanda di salvezza tenda a rigenerarsi oltre ogni relativa certezza e oltre ogni dubbio, oltre la inesorabile percezione della nostra finitezza e del nostro comune destino di morte.