Il coronavirus e la mia Chiesa

Scritto da Francesco di Maria.

In data 24 febbraio 2020 la Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana ha diffuso un comunicato che recita cosí: «Davanti al diffondersi del Coronavirus, alla notizia dei primi decessi, alla necessità di tutelare la salute pubblica, arginando il più possibile il pericolo del contagio, in questi giorni – e in queste ore – si susseguono richieste relative a linee comuni anche per le nostre comunità ecclesiali. Come Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana avvertiamo il dovere di una piena collaborazione con le competenti Autorità dello Stato e delle Regioni per contenere il rischio  epidemico: la disponibilità, al riguardo, intende essere massima, nella ricezione delle disposizioni emanate». Quali sono dunque le disposizioni emanate dalle pubbliche autorità ossequiosamente recepite da quasi tutte le Conferenze episcopali regionali italiane? Sono le seguenti, almeno per il momento: “i fedeli ricevano la Santa Comunione esclusivamente sul palmo della ma­no; si eviti lo scambio della pace con contatto fisico all’interno della Ce­le­bra­zione Euca­ri­stica; sia rimossa l’acqua benedetta nelle acquasantiere delle Chiese”. Che sembrerebbero vere e proprie ingiunzioni imposte in tema di fede da parte del potere politico di Stato alla comunità cattolica italiana.

A dire il vero, l’Arcivescovo della Diocesi di Messina-Lipari, mons. Giovanni Accolla, sembra attenuare in parte il disposto delle pubbliche autorità, là dove per esempio egli, nel messaggio trasmesso ai fedeli, si esprime in questi termini: “si suggerisce di distribuire l’Eucarestia sotto la specie del Pane, preferibilmente sulla mano dei fedeli”. “Preferibilmente” e non “esclusivamente”: che è già un piccolo segno di pudore spirituale, non solo perché è mortificante ritenere che il corpo di Cristo, capace di procurare sacramentalmente la salvezza eterna, possa contagiare il fedele solo perché ricevuto direttamente dalle mani di un ministro di Cristo stesso, ma anche perché non è affatto detto che il palmo della mano del fedele sia più pulito, più igienico e meno contaminato della mano del sacerdote che somministra l’ostia consacrata. Vada per l’abolizione della stretta di mano da scambiare in segno di pace, abolizione cui si potrebbe pensare anche a prescindere dal coronavirus per la natura palesemente abitudinaria e spesso ipocrita di questo gesto, e passi anche per il temporaneo svuotamento delle acquasantiere anche se generalmente l’acqua benedetta che vi è contenuta viene cambiata quando capita e non certo in base a precise norme igieniche, ma come si fa ad impedire al credente che intenda manifestare il suo profondo e adorante rispetto per la specie eucaristica di riceverla “esclusivamente” dalle mani del celebrante? Si dirà che, talvolta, le dita del sacerdote vengono bagnate dalla saliva di chi riceve in bocca l'eucaristia ed esse potrebbero diventare veicolo involontario di batteri al successivo fedele. ma, se persino quando ci accostiamo al corpo di Cristo, abbiamo timore di contrarre una malattia, vuol dire che ad essere già difettosa o malata è la nostra fede: non perché il corpo non si possa ammalare ma perché l'amore adorante verso Cristo dovrebbe essere sempre più forte della paura di essere contagiati. Anche se con la pratica della somministrazione in bocca il rischio di rimanere contagiati fosse realmente maggiore, sarà o non sarà possibile, sarà o non sarà doveroso anzi rispettare la fede, il sentimento religioso per nulla irrazionale ma nel caso specifico assolutamente legittimo dei singoli fedeli? Si può anche solo ipotizzare che un sentimento del genere, ove sia manifestato non per glorificare se stesso ma unicamente il Signore, possa essere sgradito a Dio?

Ma il comunicato del vescovo di Messina si conclude sorprendentemente e amaramente cosí: «Allo stato attuale non è limitata alcuna iniziativa di culto». Allo stato attuale? Ma vogliamo scherzare? Per alcuni secoli persino gli imperatori romani, nonostante le loro minacce di morte, non riuscirono ad impedire ai cristiani di celebrare la cena eucaristica e di raccogliersi in preghiera attorno ad essa, e oggi si paventa l’eventualità di tenere chiuse le chiese per via del coronavirus? Purtroppo, non a Messina ma in molte diocesi dell’Italia settentrionale è già accaduto che le autorità ecclesiastiche si siano conformate in rispettoso e molto discutibile silenzio alle ordinanze delle autorità politiche, quasi che l’ordinamento e la vita sovrannaturale della Chiesa siano a completa disposizione del potere temporale di questo o quello Stato e quindi subordinati all’ordinamento positivo pubblico. Sui portali delle chiese dell’Arcidiocesi di Milano in questo momento sono affissi e si possono leggere comunicati di questo tenore: “Avviso importante. La Parrocchia … in ragione dell’ordinanza emanata dal Presidente della Regione Lombardia sospende tutte le celebrazioni liturgiche (Sante Messe) fino a data da definirsi”.

E’ quello che ha denunciato con tono costernato, sul suo blog “Stilum Curiae”, Marco Tosatti che, per sottolineare la distanza tra Chiesa spirituale e odierna Chiesa gerarchica e istituzionale, ha voluto molto opportunamente ricordare quanto viene prescritto nel Messale ambrosiano al sacerdote sull’altare nella Messa per il tempo di carestia e di penitenza (Orazione sopra il popolo): «Concedi a noi, o Signore, te ne preghiamo, l’effetto della divota supplica, e divenuto a noi propizio, allontana la peste e la carestia: affinché i cuori dei mortali conoscano che tali flagelli scoppiano per il tuo sdegno, mentre cessano per la tua misericordia».

Ecco, questo la santa Chiesa di Cristo potrebbe e dovrebbe, sarebbe tenuta a fare anche oggi in presenza del coronavirus. Dovrebbe tenere più che mai aperte le chiese, giorno e notte, e intensificare in esse i momenti di preghiera e di comunione sacramentale. Altro che chiusura, altro che preoccupazione di rendere più igienico l’atto eucaristico!

Le Messe non sono né partite di calcio, né spettacoli teatrali o cinematografici, né manifestazioni sociali, anche se alcuni vorrebbero renderle più rumorose o chiassose, più scenografiche o folcroristiche, più rivendicative di quanto ancora non siano. La decisione di chiudere le chiese, di sospendere le attività liturgiche, è un’offesa al Creatore, è un attacco sconsiderato alla fede in Lui e nel Salvatore dell’umanità, alla fede nella sua infinita misericordia; è una perdita clamorosamente grave di senso della trascendenza divina, di fiducia nella presenza provvidenziale di Dio nella storia degli uomini.

Non è che la vera fede comporti il doversi mettere fanaticamente sotto i piedi misure elementari di prudenza e prevenzione igienico-sanitaria, ma la vera fede, la fede cristiano-cattolica cosí come ci è stata tramandata da secoli e secoli di nobile e ineccepibile storia spirituale ed ecclesiale non può tollerare che la Santa Messa, ovvero il sacrificio espiatorio per eccellenza che viene offerto per la remissione dei peccati e per la riconciliazione con Dio e quindi anche per chiedere grazie fisiche e spirituali di ogni genere, non abbia luogo perché c’è un’epidemia, una pestilenza o una guerra mondiale in corso.

E’ soprattutto nei momenti di grave difficoltà, di particolare sconforto, di più drammatico pericolo, che bisogna andare in chiesa, che bisogna prostrarsi dinanzi alla potenza sovrannaturale di Dio, che bisogna comunicarsi anche sacramentalmente con l’Onnipotente e non solo, come lo stesso Tosatti appare stranamente disposto a concedere, spiritualmente (un implicito avallo all’idea che l’eucaristia potrebbe anche non essere distribuita in presenza di allarmi sanitari); che infine il singolo fedele conservi il diritto spirituale a ricevere direttamente sulle labbra da parte del presbitero celebrante il divino e salvifico corpo di Cristo. Virus o non virus, i vescovi, il papa stesso, non dovrebbero accondiscendere a richieste politiche e sanitarie che pongono di fatto in discussione la fondamentale dimensione sovrannaturale della fede, della Messa e dei sacramenti cattolici.

Don Bosco, emblema di fede granitica, mandava i suoi ragazzi a curare gli appestati, assicurando loro che grazie all’eucarestia non si sarebbero ammalati, mentre una preghiera concepita in occasione di una grave pestilenza (1317 a Coimbra), nell’ambito dell’antica Chiesa portoghese, recita cosí: «Stella Cœli extirpavit/ Quæ lactavit Dominum/Mortis pestem quam plantavit/Primus parens hominum./Ipsa Stella nunc dignetur/Sidera compescere,/Quorum bella plebem cædunt/Diræ mortis ulcere./O piissima Stella Maris/A peste succurre nobis;/Audi nos, Domina/Nam Filius tuus nihil negans/Te honorat./Salva nos Jesu/pro quibus Virgo/Mater te orat./. Ovvero: La Stella del Cielo, che diè latte al Signore, distrusse la peste della morte, che fu introdotta al mondo dal progenitore degli uomini. Si degni ora la medesima Stella di placare il cielo, che irato contro la terra distrugge i popoli con la crudele piaga della morte. O pietosissima Stella del mare, liberaci dalla peste. Sii propizia alle nostre preghiere, o Signora, perché il tuo Figliuolo, che nulla Ti nega, ti onora. O Gesù, salva noi, pei quali ti prega la Vergine tua Madre.

Il comunicato della Presidenza CEI si conclude con queste parole: «Ci impegniamo a fare la nostra parte per ridurre smarrimenti e paure, che spingerebbero a una sterile chiusura: questo è il tempo in cui ritrovare motivi di realismo, di fiducia e di speranza, che consentano di affrontare insieme questa difficile situazione». Non intendo contrappormi polemicamente alla mia Chiesa, ma è la mia Chiesa, non riducibile alla Chiesa del 2020, ad insegnarmi che il cristiano si impegna a fare davvero la sua parte per ridurre smarrimenti e paure solo se si impegna impavidamente ad onorare il Signore con atti risoluti e coerenti di fede. Il realismo e la speranza della fede in Cristo sono antitetici al realismo spicciolo e pauroso e alla speranza senza fede delle autorità politiche e sanitarie di questo mondo. Questo è quello che ho appreso e apprendo dalla parte più santa della mia Chiesa. Che il Signore ci perdoni e ci aiuti a ritrovare la via della luce!