Quell'omelia così ambigua di Raniero Cantalamessa!

Scritto da Francesco di Maria.

E così anche il dotto predicatore francescano della casa pontificia, Raniero Cantalamessa, autore dell’omelia del venerdì di Passione (10 aprile 2020), sembrerebbe prestarsi, consciamente o inconsciamente, a taluni giochi di palazzo posti in essere in questi tempi di calamità e di lutto dalla volontà di una consistente parte della gerarchia ecclesiastica al fine di tranquillizzare se stessa e tutti quei fedeli che nel coronavirus leggono uno di quei possibili e terribili “segni di terra” preannunciati nell’Apocalisse di Giovanni: “Farò prodigi lassù nel cielo e segni quaggiù sulla terra” (Atti 2, 19-21), ed è opportuno non citare ulteriormente per non rischiare di impressionare qualcuno.

Ma cosa avrà fatto o detto di tanto deplorevole il bravo frate francescano per meritare parole così caustiche? Ha fatto qualcosa che da un religioso di elevata cultura non ci si aspetterebbe mai: ha commentato e usato in modo contraddittorio e ambiguo la Parola di Dio, ha manipolato o quanto meno ha interpretato in modo scorretto e tendenzioso un brano biblico del libro di Geremia estrapolandolo senza alcuna avvertenza storico-esegetica dal contesto in cui esso è collocato. Per dimostrare che Dio non c’entra niente con il coronavirus e la pandemia attuale, che Dio non manda castighi sulla terra e non sottopone l’umanità a dolorose afflizioni, preoccupandosi piuttosto di coltivare per quest’ultima “progetti di pace e non di sventura”, ha citato appunto questo versetto biblico, senza tuttavia precisare che il contesto in cui si trova è quello in cui Dio, nel quadro della storia del popolo d’Israele, da una parte manifesta la sua paterna vicinanza a quanti si sentono orfani di lui e lo cercano con tutto il cuore, ma dall’altra ammonisce duramente quanti continuano a voltargli le spalle e a restargli lontani: «Li perseguiterò con la spada, la fame e la peste; li renderò un esempio terrificante per tutti i regni della terra, e maledizione, stupore, scherno e obbrobrio in tutte le nazioni nelle quali li ho dispersi, perché non hanno ascoltato le mie parole - oracolo del Signore - quando con assidua premura mandavo loro i miei servi, i profeti, ed essi non hanno ascoltato» (Ger 29, 18-19).

Già, i profeti: non i falsi profeti che, nella storia del mondo come nella storia della Chiesa stessa di Cristo, sono e saranno sempre molto numerosi tra i chierici e i non chierici ma i veri profeti, quelli che manda realmente il Signore e che pertanto non vanno identificati semplicisticamente con coloro che si contrappongono al folto gruppo di falsi profeti ma con coloro che a quest’ultimi si contrappongono non per gelosia o rivalità personali bensí, e solo in modo indiretto, per la loro disponibilità ad ascoltare ed annunciare fedelmente e coraggiosamente le parole, i disegni e la volontà di Dio. Ecco: si potrebbe insistere con lunghe e numerose esemplificazioni biblico-evangeliche, ma chi vuole intendere non può non intendere che Dio è infinitamente misericordioso ma che nessuno di noi, né papa, né vescovo, né presbitero, né semplice fedele, né ateo, potrà mai impedire a Dio, come tutta la Bibbia sta incontrovertibilmente a dimostrare, di comminare castighi o punizioni per il genere umano, se e quando lo ritenga opportuno e necessario per il bene e la salvezza stessa delle sue creature, pur tenendo presente che Egli castiga sempre “con giusta misura” (Ger 30, 11), persino quando sembri che il suo spirito di giustizia venga colpendo esseri inermi o innocenti.