L'uomo superbo

Scritto da Francesco di Maria.

A Jefferson Davis, il primo e unico Presidente degli Stati Confederati d’America, viene attribuita una frase particolarmente significativa: «Non essere mai superbo con l’umile. Non essere mai umile con il superbo». A questa convinzione morale Davis sarebbe giunto nel quadro della guerra di secessione americana ma il retroterra etico-religioso cui essa può e dev’essere ricondotta è la sua fede cristiana. Che la stessa personalità politica di Davis, pur di confessione episcopale e non cattolica, sia radicata in una sensibilità di tipo evangelico e cristiano è dimostrato in particolare dalla consonanza di accenti e di vedute tra lui e papa Pio IX come emerge dalla significativa corrispondenza intercorsa fra loro in momenti particolarmente drammatici della guerra civile americana e in un periodo estremamente turbolento e angoscioso per lo stesso pontefice cattolico che non sarebbe riuscito ad evitare, all’indomani dell’unità italiana, la fine del potere temporale dei papi.

Almeno nel mondo cattolico esiste e agisce ancora in misura non trascurabile una versione piuttosto paternalistica, statica e passiva, arrendevole e rassegnata del rapporto evangelico tra la superbia e l’umiltà, e non di rado si ha come la sensazione che quest’ultima debba essere intesa come capacità di sopportare incondizionatamente o ad oltranza qualsiasi manifestazione di superbia. Certo, «Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili», ricordano Giacomo (Gc, 4:6) e Pietro (1Pt 5:5), e questo evidentemente significa che gli umili non si mettono in nessun caso sullo stesso piano comportamentale dei superbi, non possono mai agire in modo presuntuoso e sprezzante, con arroganza e spirito di prevaricazione, e principalmente in ragione del fatto che i superbi non otterranno mai l’amicizia e la benevolenza di Dio, mentre gli umili potranno contare sempre sulla sua grazia. Si noti: qui, come in altri luoghi vetero e neotestamentari, si parla non di superbia e di umiltà in senso astratto ma di superbi e umili nella concretezza del loro modo di pensare, di essere e di agire. Nella Bibbia, cioè, si colgono della superbia e dell’umiltà non già elementi occasionali, contingenti o congiunturali ma elementi strutturali, stabili, permanenti o almeno persistenti.

Quello che ha importanza agli occhi di Dio non è tanto questo o quel peccato occasionale o talvolta involontario e non deliberato di superbia, che va tuttavia confessato e di cui ci si deve pentire, quanto soprattutto il modo di porsi di fronte agli altri, alla vita e a se stessi. Ecco perché le Scritture, pur parlando di superbia come peccato da evitare e di umiltà come virtù da seguire e interiorizzare, chiariscono bene il senso più profondo della loro lezione spirituale e religiosa facendo frequentemente riferimento alla categoria dei superbi e degli umili, di coloro che hanno come regola generale e costitutiva della propria vita la propria presunta autosufficienza, la propria presunta superiorità su tutto e tutti, e quindi il culto idolatrico di se stessi, e di coloro d’altra parte che, per condizione oggettiva di vita ma soprattutto per sincera consapevolezza dei propri limiti e dei propri bisogni, tendono fondamentalmente a confidare nel perdono e nell’aiuto di Dio, comportandosi di conseguenza nei confronti del prossimo bisognoso di comprensione, di conforto e di aiuto.

Davide era amato da Dio per la sua semplicità, la sua sincerità e il suo coraggio, sebbene si macchiasse poi di un grave peccato e attirasse su di sé il castigo divino. Salomone, figlio di Davide, non era originariamente un uomo superbo ma molto umile e obbediente alla legge di Dio, tanto che questi gli avrebbe dato in dono la sapienza fino a renderlo il più sapiente tra gli uomini del suo tempo. Poi però sul finire della sua esistenza e dopo una vita trascorsa nel timore di Dio, proprio quella straordinaria sapienza ricevuta in dono per la sua umiltà e la sua saggezza si trasforma in lui in occasione di peccato e di superbia contro Dio. Qui abbiamo due figure molto diverse di peccatori: Davide è un uomo umile che, pur peccando diverse volte nella sua vita e peccando anche di superbia, è sempre capace di pentirsi con grande sincerità: per questo rimane “santo” agli occhi di Dio che pure non gli risparmia determinate punizioni. Salomone, invece, pur restando per molto tempo fedele a Dio, a un certo punto cede alla debolezza umana di sentirsi autosufficiente persino nei confronti del suo Signore e di fare cose completamente sgradite a quest’ultimo, che pertanto lo “rifiuta”, non lo perdona almeno nel corso della sua esistenza, e questo non a causa del peccato di superbia e idolatria da lui commesso ma a causa della sua mancanza di pentimento e della “tiepidezza” della sua fede. Anche Pietro, pur essendo stato realmente un umile servo di Cristo, non riuscì ad evitare in una circostanza il rimprovero particolarmente duro del suo Signore: “Vai indietro, Satana!”. Come dire: vuoi saperne più di me, sei così superbo da volerti mettere e decidere al posto mio? Eppure quale fede sarebbe stata più “rocciosa” di quella petrina?

Ecco: bisogna intendersi bene sulle parole evangeliche e sulle vicissitudini raccontate dalla Bibbia senza giocare con esse, senza semplificarle o renderle più complicate di quel che sono, senza farne usi strumentali o interpretarne riduttivamente il significato. Il Logos incarnato non può essere oggetto di parole generiche e superficiali oppure di parole dotte ma insensate, bensì solo di parole chiare, lineari, riflessive e realmente ispirate. Dio è sempre disposto a perdonare, anche se talvolta attraverso correttivi educativi piuttosto severi, i peccati e in particolare i peccati di superbia, ma quel che egli non è biblicamente disposto a perdonare è la mancanza di ravvedimento, di pentimento, di sincera conversione o riconversione a Dio, è la reiterata e orgogliosa resistenza ai “segni” della sua onnipotenza, “segni” non ancora incontrovertibilmente oggettivi secondo i canoni scientifici storicamente vigenti ma anche non confutabili e non necessariamente inverificabili alla luce di possibili e sconvolgenti sviluppi delle attuali conoscenze scientifiche. Questo vale sia per i credenti che diventino malauguratamente “tiepidi”, sia per i non credenti che si ostinino per tutta la vita a restare protervamente chiusi alla misericordia e alla grazia di Dio.  

Ma qui il punto essenziale da tener presente era ed è che altro sono determinate manifestazioni di superbia, da cui nessun essere umano è esente e non di rado dovute anche ad accalorate e comprensibili esigenze di difendere vitali valori morali e spirituali, altro è la superbia come modo strutturato e abitudinario di pensare, di parlare, di agire, di vivere. La fenomenologia della vita spirituale è particolarmente complessa e accade spesso di riscontrare una notevole distanza tra i nostri giudizi morali e la vera realtà umana e morale dei fatti o delle persone che noi giudichiamo. Non immaginiamo quasi mai quanta superbia si possa annidare o nascondere in soggetti apparentemente miti, pacifici, bonari, e persino caritatevoli, dentro e fuori della Chiesa, che coltivino però intime ambizioni di potere, di successo o di notorietà, e non esitino mai, ove occorra compiere una scelta precisa, a schierarsi con i furbi e i prepotenti anziché con gli innocenti e gli indifesi; mentre d’altra parte è molto facile scambiare per modelli superbi di comportamento condotte di vita e di pensiero austere, riservate e rigorose, anche se non prive di scoppiettante umanità, fondamentalmente e anche pubblicamente dedite al culto della verità e al fedele rispetto di imprescindibili norme di vita spirituale e comunitaria.

Lo stesso Gesù, talmente umile da immolarsi come Figlio di Dio per un’umanità corrotta dal peccato, potrebbe essere al riguardo facilmente equivocato, perché, se si prescinde dal fatto inconcepibile che un Dio possa decidere di morire crocifisso come un qualunque malfattore, poi ci si può spianare la strada per sostenere che egli non di rado alzasse la voce sia con amici che con nemici, che addirittura pretendesse di cambiare certe pratiche sociali e religiose impugnando e brandendo una frusta, e che sostanzialmente tutta la sua predicazione e la sua gestualità, per quanto esercitate in uno spirito di giustizia, di eguaglianza e di pace, potevano essere ricondotte, per il loro carattere di intransigenza, perentorietà, univocità, ad una personalità arrogante, superba. Non è forse vero che, in sostanza, Gesù viene condannato a morte per la sua presunta superbia? I sacerdoti del Tempio di Gerusalemme, infatti, e con essi molti seguaci ebrei, non tolleravano che quell’uomo potesse avere la sfrontatezza di dichiararsi “Figlio di Dio”. Bene: mutatis mutandis, la stessa dinamica accusatoria agisce nei confronti di molti uomini e donne di tutte le generazioni della storia umana.

Può sembrare facile ma è terribilmente difficile praticare la giustizia secondo verità e amare coerentemente la misericordia, e solo coloro che si sforzano sinceramente di praticare la prima e amare la seconda, dice il profeta Michea (6:8), possono camminare umilmente con Dio. L’umile è solo chi ha “lo spirito afflitto e trema alla mia parola”, recita Isaia 66:2, non certo chi è sempre gentile, compìto e ben educato verso il prossimo, persino quando quest’ultimo faccia bella mostra senza saperlo di arroganza e prepotenza. Anzi, l’umile non è solo chi non ha mezzi adeguati per opporsi evangelicamente, moralmente e profeticamente alle iniquità del mondo ed è quindi costretto a subirne spesso senza fiatare le conseguenze. L’umile è anche chi, possedendo capacità e mezzi intellettuali e culturali idonei e accompagnato dalla grazia di Dio, resiste con spirito religioso alle menzogne e alle nefandezze dei superbi: non per abbatterli o distruggerli sul piano fisico o materiale, anche in considerazione del fatto che da uno scontro cercato potrebbe uscirne molto più malconcio, ma, ove sia assolutamente necessario, per contenerne almeno un’indebita o immorale pretenziosità oppure un’incontrollata e orgogliosa volontà di predominio, sopraffazione o usurpazione.

E allora qui si può ritornare alla frase di Jefferson Davis: non bisogna mai essere superbi con le persone realmente umili o che tali si sforzino di essere, ma non è affatto necessario essere umili con soggetti manifestamente vanagloriosi o sottilmente e perfidamente persuasi di poter primeggiare su tutto e tutti, dettando legge a destra e a manca senza mai curarsi di soppesare in modo sereno ed equilibrato le ragioni o le rivendicazioni altrui. Non è che l’umile di cuore non conosca la tentazione della superbia: certo anch’egli può soggiacervi occasionalmente o frequentemente e tuttavia la differenza ontologica tra un soggetto umile e un soggetto superbo consiste nel fatto che il primo non si compiace mai dei suoi errori o dei suoi peccati pentendosene anzi amaramente e impegnandosi con coerente sincerità a non ricadervi o, peggio, a non renderli abituali, mentre il secondo, persino quando si mostra generoso, magnanimo, tollerante, ha mente e cuore inscindibilmente radicati nell’abitudine di fare tutto per calcolo, in modo che non vada perso mai nulla del suo egocentrismo, dell’inconfessata ma sostanziale e spesso maniacale esaltazione di se stesso. Ciò precisato, resta il concetto biblico-evangelico per cui gli umili sono chiamati a soffrire a causa delle tante ingiustizie terrene e a confidare sempre nell’aiuto divino, ad offrire anzi a Dio le proprie sofferenze, i propri travagli materiali e spirituali, diretti o indiretti, in sacrificio per la rigenerazione del mondo, per la conversione delle coscienze, per la pacificazione di molti spiriti; ma senza che ciò debba essere inteso come passività, acquiescenza, remissività fatalistica e definitiva dinanzi all’incedere spesso trionfante dei superbi di questa terra.

Se il Signore vi dà gli strumenti e la forza per farlo, tu fratello o sorella umili di spirito, avete non solo il compito di sopportare pazientemente e caritatevolmente gli eventi avversi della vita ma anche quello di capire con discernimento, di rendere comprensibili a voi stessi e ad altri le trame oscure di peccato che vi sono sottese, di denunciare anche ecclesialmente e pubblicamente le ragioni oggettive e soggettive dello spirito di superbia che impera nel mondo, di testimoniare infine sporcandovi le mani ogni giorno che il Regno di Dio non si costruisce solo con la purezza dei contemplativi, degli asceti e dei mistici, ma anche con la virtuosa e profetica combattività della parola e di una fede pensata e vissuta.