Il potente ruolo salvifico di Maria

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

E’ molto semplice capire perché niente e nessuno più di Maria di Nazaret possa aiutarci a conseguire la salvezza eterna promessa dal Figlio. I motivi teologici, beninteso, sono molteplici e tutti abbondantemente spiegati in trattati e pubblicazioni di grande valore, ma è in particolare uno il motivo, di comprensione intuitiva e immediata, per il quale chi si affida alla Madre di Dio non può non godere di una speciale benevolenza divina, e questo motivo consiste nel fatto che nessuna creatura più e meglio di Maria ha potuto conoscere in profondità tanto la realtà umana quanto quella divina. Da ciò deriva altresì la sua speciale affinità spirituale con Dio e la sua conseguente prerogativa di poter cooperare direttamente alla divina opera di salvezza.

Il Padre le si è fatto prossimo come a nessun altro consegnandole se stesso nella persona del Figlio unigenito pur senza risparmiarle né l’esperienza di Dio come mistero né la fatica di perdere ovvero di sacrificare la propria vita per amore di Cristo. Maria è colei che, più di chiunque altro, ha assistito e partecipato in tempo reale alla rivelazione divina, al manifestarsi della chenosi e della potenza di Dio nella storia degli uomini, al prendere concretamente corpo del disegno salvifico ed escatologico tante volte annunciato da Gesù.

Ma Maria ha conosciuto intimamente pensieri e sentimenti del Cristo, pur senza poterne completamente sperimentare la profondità e la capacità sovrannaturale di dilatazione spirituale. Perciò Dio si lascia possedere fiduciosamente da questa sua speciale creatura pur non potendo né eliminare né ridurre la fondamentale differenza ontologica che lo separa da lei. Ciò basta a farne il più alto modello umano di fedeltà e obbedienza alla volontà del Signore e, di conseguenza, anche la Madre ineffabile e la celeste Signora della Chiesa e dell’umanità. Tutti i carismi e i poteri apostolici si esaltano e amplificano i loro effetti salvifici se accompagnati e sostenuti dalla e dalle grazie da lei elargite, per volontà del Padre e del Figlio e sotto l’azione svolta dallo Spirito Santo che in Maria ha la sua sede privilegiata.

Ognuno di noi potrà forse conoscere Dio faccia a faccia solo nel mondo che verrà, ma Maria è la creatura che questa particolare prossimità ha potuto cominciare a sperimentare già sulla terra. Ne è anche prova il fatto che il Cantico di Maria, noto come Magnificat (Lc 1, 46-55), è soprattutto la descrizione più fedele e realistica dell’identità stessa di Dio: nessun’altra descrizione umana, nessun’altra esegesi biblica o riflessione teologica, è mai stata, è o sarà più precisa e illuminante di quella fornita dalla ragazza di Nazaret.

Dio viene magnificato, ovvero reso grande, glorificato creaturalmente per quello che Egli è realmente e non solo immaginariamente, presuntivamente, soggettivisticamente. Maria ne parla come di una Persona reale che conosce da sempre, che ha sperimentato nel suo cuore e nella sua mente sin dalla nascita, e ne esalta quindi le cose grandi, straordinarie, con toni gioiosi, entusiastici, che denotano l’assoluta certezza di Maria, con potenza ispirata da Spirito divino, secondo cui Dio, sebbene sempre avvolto in un alone impenetrabile di mistero, è una Persona reale che non delude mai chi la cerca e la ama sinceramente. E in che senso Dio non delude? Perché egli non abbandona mai chi lo sente come forza essenziale e vitale della sua vita, chi ne dà aperta ed esplicita testimonianza e vive affinchè Egli sia conosciuto ed amato; chi, ancora, non lo celebra perché sapiente, dotto, ricco di dottrina, che sono tutte qualità create e concesse da Lui, ma solo in virtù dell’unica cosa completamente nostra che noi possiamo donare a Lui, cioè la nostra umiltà, l’umile e riconoscente consapevolezza della nostra infinita piccolezza dinanzi alla Sua infinita grandezza e del Suo amore viscerale per le sue piccole e fragili creature.

La vera umiltà creaturale, come quella esemplare di Maria, è ciò che veramente conquista Dio, lo estasia, quel Dio che resiste duramente ai superbi di ogni ordine e grado. Maria, l’umile non per finta o per falsa modestia ma per sincerità e coerenza di comportamento, è colei che non tiene allo sguardo altrui, che non cerca gratificazioni nell’essere guardata dagli altri, che è in fondo la principale malattia del mondo, ma colei che si offre, e non per modo di dire, allo sguardo di Dio nei suoi limiti, nella sua pochezza, nella sua nullità. L’umiltà di Maria, più precisamente, è l’umiltà di una donna che si sente veramente fragile e indifesa, povera e priva di qualsiasi protezione umana e sociale, e al tempo stesso bisognosa di aiuto, di assistenza, di protezione, di amore incondizionato che solo il suo Dio può offrirle. Ecco perché i credenti in Cristo, ma talvolta anche i non credenti, da Maria, dalla devozione a Maria possono trarre il miglior insegnamento a porsi, a purificarsi e a pregare al cospetto di Dio. Non si tratta di assumere un atteggiamento autolesionistico, di non dover fare adeguatamente uso di tutti i doni, i carismi, le capacità elargiti a ciascuno da Dio, ma solo di riconoscere che anche il buono possibile che è in noi è a Dio che lo dobbiamo attribuire, a Dio che, pur attraverso la nostra nullità e nella nostra stessa nullità, è capace di realizzare “grandi cose”, secondo quanto recita il Magnificat mariano.

Insomma, se ai nostri simili capita di consegnarsi spesso non nel proprio essere ma nel proprio apparire, a Dio, se ci sta davvero a cuore il suo sguardo paterno e misericordioso, bisogna consegnarsi esclusivamente per quel che si è e non per le proprie apparenze. In questo consiste la dimensione mistica della vita, quella dimensione che fu connaturata alla vita di Maria e che, fatte le debite differenze, può essere acquisita da ogni credente che a Maria guardi come al suo modello naturale di fede e al suo energico sprone ad una condotta evangelicamente operosa. Ecco, curare questa dimensione mistica della vita, anzi non poterne fare a meno, significa che il sentimento del mistero di Dio è il sentimento dominante nell’interiorità di chi lo avverte e lo coltiva con passione. Sì, perché se ogni giorno si prega e ci si sforza di vivere in un certo modo, se ci si nutre anche eucaristicamente di Cristo e dei suoi precetti di verità, di giustizia e di carità, il sentimento del mistero di Cristo non può non diventare familiare e quindi fondamentale, come scriveva giustamente il compianto don Giuseppe Pollano, che precisava: «Mistero di Dio. Quel qualcosa di Dio che non sai dire, che forse non hai neanche voglia di dire, perché intanto Dio c’è, lo respiri, lo senti, lo percepisci e, in questo sentimento di Dio, stai bene … non ti lasci più assorbire dalle altre esperienze che ti strapperebbero da lui, pur vivendole anche intensamente» (2007). Non è che i fatti, gli eventi della quotidianità non ti coinvolgano: anzi ti disturbano forse anche più di come possono o potrebbero disturbare chi non ha fede, e questo comporta altresì il continuare ad essere soggetti a tentazioni e peccati di varia natura, e tuttavia la persona mistica, pur soffrendo e sperimentando momenti di angoscia e di umano abbattimento, non si dà per vinta ed è sempre lì a lottare, con la preghiera e la fede nella divina misericordia, contro ogni forma di male.

Maria si sentiva limitata e insignificante, pur non essendolo per divino privilegio, ma era santa, perché era un’entusiasta, un’innamorata, una fervente apostola di Dio, ed era una santa trascinata da Dio, sempre e dovunque alla sequela di Cristo, pronta a dare la vita per Lui. La nostra condizione è diversa da quella di Maria, ma possiamo pregarla di regalarci un po’ del suo candore, della sua verginità, della sua immacolatezza e della sua virilità spirituale, e di metterci così nella condizione di condividere almeno in parte il suo amore appassionato, il suo entusiasmo per Cristo Signore, la sua volontà di restargli fedele e di combattere lealmente per l’avvento del Regno dei cieli.

Ma la dimensione mistica e trascendente della vita di Maria e di quanti cercano di seguirne le orme non deve far pensare ad una sorta di solipsismo intimistico e di spiritualità disincarnata e avulsa dalle concrete e stringenti pressioni dell’esistente, perché vivere misticamente significa da una parte che si vive avvertendo palpabilmente la presenza di Dio dentro di noi, ma dall’altra, poiché proprio la percezione di Dio nella nostra vita attesta che Dio è anche in mezzo a noi e ai nostri molteplici rapporti umani e sociali, significa che quella stessa dimensione ha concrete e significative implicazioni che riguardano tutto ciò che è storico e, in definitiva, la storia stessa degli uomini nella sua interezza. Non a caso, la prima parte del Magnificat è di pura lode a Dio che viene formulata liricamente come assoluto atto di glorificazione della divinità in quanto tale, mentre la seconda parte traduce in un linguaggio storico-politico lo spirito divino, che è spirito di carità e di giustizia, e quindi spirito comunitario, ecclesiale, sociale. Non c’è solo la mia relazione con Dio ma questa relazione deve inverarsi in una relazione con il prossimo, con coloro che possono avere bisogno di me, del mio aiuto, della mia collaborazione nel segno dell’intelligenza e della sensibilità, e infine della mia testimonianza spirituale e religiosa. E’ in questo senso allora che si può parlare altresì di una mistica storica, sociale, politica, economica, finalizzata al perseguimento di rapporti umani o interpersonali quanto più possibile animati e sostenuti dall’amore evangelico, sebbene di fatto essi, nonostante gli sforzi sinceri di un certo numero di credenti, siano di fatto così carenti di vero amore da risultare drammatici e spesso disumani.

Il misticismo religioso di Maria si converte così in un realismo storico di tipo pragmatico, secondo cui, proprio mentre si viene acquisendo consapevolezza dei meccanismi oppressivi di potere e delle molteplici logiche corruttive che agiscono nella storia degli uomini determinando fra essi violenze, iniquità, diseguaglianze e prevaricazioni, non si può che confidare, ben oltre il proprio pur doveroso e necessario impegno etico e politico personale, nel costante intervento di quel Dio onnipotente, la cui misericordia “si stende su quelli che lo temono”, che prendono sul serio e rispettano profondamente i suoi comandamenti e la sua volontà e sperano nella sua grazia, mentre non esita ad esercitare la sua potenza punitiva verso i superbi che, pur capaci spesso di camuffarsi da persone umili, sono in realtà molto più numerosi di quanto si possa pensare, e verso i potenti, cinici e arroganti, di questo mondo, da intendere in senso lato non solo come capi politici inclini a forme di malgoverno o a spadroneggiare sui popoli, ma anche come soggetti cui sia attribuita istituzionalmente o contrattualmente una qualche responsabilità di potere in relazione al lavoro, ai doveri e ai diritti di una determinata comunità di persone.

La grande preghiera mariana anticipa e chiarisce bene le caratteristiche evangeliche dell’amore divino. Non si tratta di un amore generico, indistinto o indifferenziato, ambiguo e tale da consentirne qualunque interpretazione, bensì di un amore dotato di una sua ben precisa specificità, di un amore pur sempre mosso da un profondo spirito di giustizia anche se tendenzialmente portato a travalicare quest’ultimo, di un amore abbondante e generoso e tuttavia commisurato alle sofferenze, ai bisogni, ai meriti come ai demeriti oggettivi di ciascuno, di un amore universale ma non semplicemente meritocratico né semplicemente egualitario e massificante. Così deve intendersi e non altrimenti l’amore di Dio, e il fatto che invece venga spesso rappresentato in altri modi è dovuto esclusivamente all’incapacità di molti, ivi compresi molti ecclesiastici, di leggere non arbitrariamente, non unilateralmente e non pregiudizialmente i testi evangelici.

Maria, la figura più deliziosa creata dall’amore di Dio, testimonia in modo eminente e incontrovertibile che l’amore divino, pur non mancando mai di essere imprevedibile e sorprendente, non è scontato, non è aprioristicamente universalistico ed egualitario né astrattamente o burocraticamente meritocratico, non ha un sapore dolciastro e non è assimilabile ad un sentire sdolcinato o mellifluo, non comporta un’accoglienza paterna indiscriminata, né tanto meno può venire esercitandosi in modo di fatto irresponsabile.

L’amore di Dio è tutt’uno con il suo Logos, la sua verità, il suo giudizio, e ciò vale in relazione a tutti i piani della vita spirituale. Le parole di don Giuseppe Pollano esemplificano ancora una volta egregiamente questo concetto: «La logica del mondo è che alcuni sono potenti e molti altri no, che i potenti strapazzano gli altri che per questo soffrono e restano infelici. Pensiamo a una famiglia dove uno è prepotente e gli altri lo devono subire dalla mattina alla sera. La vita è questa. Ebbene, grandi o piccoli, noti o ignoti, i potenti nel piano di Dio sono destinati ad essere rovesciati: non bisogna dimenticare che Dio ha a disposizione un giudizio e un’eternità, non un piccolo pezzo di storia». Anzi, forse è meglio essere puniti subito, mentre si è ancora in vita, per esempio con una umiliazione o più umiliazioni, che possano avere una funzione correttiva e in certo senso espiatrice, piuttosto che incorrere solo nel definitivo ed eterno giudizio di Dio.

Il giudizio mariano sulla storia umana, sulle sue relazioni interpersonali, sulle sue modalità di funzionamento e sulle sue strutture oggettive di potere, è del tutto oggettivo e realistico ed è il suo incontenibile amore per il Signore che consente a Maria di sperare nella natura salvifica della missione terrena di Cristo, di cui alla fine, sia pure con la disperazione nel cuore, accetterà la croce proprio perché consapevole del suo universale significato salvifico. Chi vuole stare marianamente dalla parte di Dio, sa come pensare e come comportarsi verso i superbi e i potenti come verso gli umili e gli oppressi, pur ammettendo un margine ineliminabile di errore e di peccato per la propria condotta di vita: sa, più esattamente, che deve comportarsi sempre in modo caritatevole in uno spirito imprescindibile di verità e di giustizia.

Il credente che si ispira a Maria, implorandone la vicinanza e l’intercessione, proprio perché percepisce in modo nitido e intenso la divinità sia come visceralmente amorevole e misericordiosa sia come fonte primaria e ineguagliabile di verità e di giustizia, non può accettare la storia così com’è, pur dovendosene far carico con umiltà e abnegazione nel corso di tutta la vita, ma fa del suo meglio, pur con lo sguardo puntato non a grandi cose o ad ambiziosi progetti umani ma alle cose celesti, secondo l’invito di san Paolo, per contribuire ad operare, tra più che probabili insuccessi e sconfitte, quel rovesciamento di valori che è evangelicamente alla base dell’avvento del Regno di Dio.

Dio opera direttamente ma anche indirettamente attraverso tutti coloro che non una volta ma sempre cercano di immergersi con semplicità e coerenza nel corpo e nel sangue di suo Figlio Gesù e che, così facendo, anche senza esserne consapevoli e anzi attraverso privazioni e rinunce personali, concorrono a polverizzare i superbi, a rovesciare i potenti, ad impoverire i ricchi. E Maria spinge potentemente tra le braccia di Dio coloro che, avendo scelto di schierarsi con Lui, la implorano di renderli degni di una scelta così impegnativa.