La Festa dell’Assunta come festa dell’onnipotenza di Dio
Oggi si celebra la Festa dell’Assunta e nelle letture liturgiche ad essa dedicate si celebra l’onnipotenza di Dio al di sopra di ogni altro pur noto e caratteristico attributo divino. Che una semplice e umile creatura abbia infatti potuto e voluto dar inizio alla storia della salvezza, cooperandovi attivamente nel corso della vita terrena, e meritando di essere assunta da Dio in cielo in anima e corpo, alla fine della stessa, è ciò che, salutato da sempre dai teologi come “il capolavoro di Dio”, non poteva che esprimere simbolicamente, più di ogni altra cosa, l’onnipotenza divina, di cui la grazia, la giustizia, la misericordia sono costitutive articolazioni. Quel che rende, infatti, speciali e imparagonabili queste ultime rispetto alle loro forme terrene (si pensi alla grazia che può elargire un potente, alla giustizia e alla misericordia che possono essere esercitate a sfavore o a favore di individui o popoli da autorità politiche e militari o da tribunali internazionali), è l’onnipotenza di colui che le esercita.
Se Dio non fosse onnipotente, anche la sua grazia, la sua giustizia, la sua misericordia, non potrebbero che risultare aleatorie e puramente opinabili. Se Dio non fosse onnipotente, non sarebbe potuto nascere da una donna come un uomo qualsiasi nella reale persona storica del Figlio unigenito, né sarebbe potuto risorgere da morte e ascendere misteriosamente in cielo dopo aver incardinato nella storia dell’umanità una storia di eterna salvezza. Solo Dio onnipotente poteva fare “grandi cose” per Maria, come lei stessa riconosce nel Magnificat, fino al punto di assumerla sia in corpo che in anima direttamente in cielo per farne la regina del cielo e della terra e della nostra vita per sempre.
Non è dunque un caso che nella liturgia odierna Giovanni, in prospettiva apocalittico-escatologica, venga esaltando l’onnipotenza divina di fronte a qualunque altra temibile potenza, quella in particolare dell’ “enorme drago rosso”, volta ad insidiare l’assoluto potere di Dio di salvare e di dannare, in modo insindacabile, qualunque essere angelico e terreno, né di conseguenza è un caso che Giovanni venga esaltando «la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio», del nostro Dio, si badi, non di un qualunque Dio di cui apostolicamente non si sia fatta concreta esperienza e non si abbia conoscenza, né si possa dare alcuna attendibile ed autorevole testimonianza. Il nostro Dio, l’unico e vero Dio, è quello che si manifesta in modo esclusivo nella «potenza del suo Cristo». Chi vuole intendere, intenda!
I salvati sono “quelli che sono di Cristo”, non tutti indiscriminatamente, e l’amore di Cristo, sempre gratuitamente offerto a buoni e cattivi, a giusti e ingiusti, durante la vita terrena, sarà esclusivo appannaggio, al di là di questa, e per effetto della giustizia divina, di coloro che in Cristo avranno confidato fino ad un qualche significativo sacrificio di sé. E infatti solo da Cristo e in Cristo, come scrive Paolo, «tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi» (1 Cor, 15, 21-26).
Tutto questo sarà possibile, in virtù dell’onnipotenza di Dio che, come dice Maria nel vangelo lucano, di generazione in generazione vorrà sia elargire la sua misericordia a quelli che lo temono, lo rispettano prendendone sul serio i precetti, gli insegnamenti, le promesse ma anche le minacce, sia spiegare la potenza del suo braccio disperdendo i superbi nei vani e tronfi pensieri del loro cuore, rovesciando i potenti impenitenti da troni abusivamente eretti o utilizzati, rimandando a mani vuote i ricchi completamente indifferenti alla miseria umana, per innalzare trionfalmente gli umili ovvero i consapevoli della loro insignificanza e ricolmare di beni materiali e spirituali coloro che, durante la vita terrena, avranno avuto molto di meno rispetto a quel di cui avrebbero necessitato e a quel che forse avrebbero meritato.
Maria canta e profetizza, al tempo stesso, non già la misericordia o la giustizia o la tenerezza paterna di Dio, non questa o quella qualità della divinità, ma il suo tratto più specifico e più totalizzante, ontologicamente più distintivo, quello senza cui qualunque altra pur grandiosa virtù o attitudine divina non potrebbe avere il significato che viene invece assumendo in ragione della sua onnipotenza. E in cosa consiste, per l’uomo, tale significato se non, innanzitutto, nella indeterminatezza, nella indefinibilità, nella abissale inesplorabilità della verità, della giustizia, della misericordia divine? Maria, per conto del genere umano, intuisce che il suo Dio è un Dio di amore, di magnanimità, di giustizia, ma si rende conto che ella di tutto ciò percepisce soggettivamente, e quindi veracemente e tuttavia limitatamente, la reale e infinita consistenza. Maria sa che il Dio di cui ha esperienza e che le si è venuto gratuitamente manifestando, è un Dio buono e giusto, anzi buono nei limiti del suo essere assoluta verità e perfetta giustizia, ma sa anche che la sua percezione personale e soggettiva della grandezza dei sentimenti divini in rapporto alla vita delle creature non potrà mai corrispondere, se non in modo molto approssimativo, alla coscienza oggettiva che Dio stesso ha, in estensione e in intensità, delle sue qualità o attitudini spirituali. Quel che Maria sa di poter invece magnificare, con totale cognizione di causa, è l’onnipotenza divina, ciò per cui a nessun essere umano è consentito di dubitare o ipotizzare che Dio, considerato come tutto e nell’esercizio di ogni sua singola facoltà etica e noetica, possa essere men che perfetto.
Da tale consapevolezza mariana scaturisce la certezza che Dio, al di là di tutte le disquisizioni ed elucubrazioni intellettuali e teologiche che su esso gli uomini verranno formulando, non può essere altro che infinita verità, perfetta giustizia, incondizionata misericordia, in accordo alle più sagge e sapienti, seppur mai esaustive, aspettative umane. L’intelligenza umana, certo, per quanto amplissimamente supportata dalla divina illuminazione e dalla divina rivelazione, non potrà mai spingersi fino a cogliere il complesso e armonico intreccio intercorrente tra le diverse facoltà del pensare e dell’agire divini, e tuttavia potrà, se esercitata con rettitudine di intenti e ispirata profondità di meditazione, sempre confidare nella inappuntabile perfezione di ogni giudizio, decreto, azione e disposizione, derivanti dal logos e dal volere divini.
Maria non solo canta ma “annuncia” (ella, ancor prima di Cristo, è la prima grande annunciatrice degli eventi celestiali che sono ormai sul punto di manifestarsi nella e per la storia degli uomini) l’onnipotenza divina come garanzia della inviolabile solidità del progetto salvifico di Dio, mettendosi immediatamente e senza riserve al servizio di quest’ultimo, contrariamente a quel che tanti uomini e donne delle generazioni successive e della nostra stessa generazione sarebbero stati capaci di fare a causa del loro preventivo tentativo di volersi rappresentare una identità divina rassicurante piuttosto che inquietante, indiscriminatamente accondiscendente piuttosto che severamente esigente, infinitamente misericordiosa piuttosto che inderogabilmente giusta. Eppure, Cristo, fedele immagine di Dio, avrebbe mostrato in modo inequivocabile che Dio è mansueto con oppressi e perseguitati, con umili e assetati di giustizia, mentre è intransigente, collerico e vendicativo con i sepolcri imbiancati, i rappresentanti infedeli del sacro e i mestatori impenitenti di falsità, iniquità e turpitudini di ogni specie.
Non può che avvilire la circostanza per cui, a più di duemila anni di distanza dall’evento più straordinario della storia umana, ancora si esiti a ricordare e sottolineare, persino all’interno della Chiesa, che Dio è padre paziente e amorevole ma è anche re, il re dei re, che, come e più di ogni vero re, non potrà non onorare la sua regia autorità con atti di esemplare giustizia. Questo è il Dio magnificato da Maria, questo è il Dio dei cristiani, questo è il Dio di tutti coloro che, volendosi sentire amati da Cristo e in Cristo cercando salvezza, si considerano, senza falsa retorica, semplici e inutili servi di Dio, esecutori fedeli e senza meriti speciali della sua santa e santificante legislazione.