Conoscenza e amore in Maria di Nazareth
Su Maria non si dirà mai abbastanza per la sua grandezza umana e per la funzione straordinariamente importante che ella sarebbe venuto assolvendo nel piano divino della salvezza. Ma questo non esclude che sulla madre di Gesù non possano essere state dette e non possano ancora essere dette clamorose sciocchezze o proposte interpretazioni tendenziose e deformanti. Io stesso ho già scritto un ponderoso volume su Maria di Nazaret, insieme ad altri autori, e due altri libri che tendono a sottolinearne principalmente l’immutato e vitale significato esistenziale e religioso in rapporto alle istanze, alle tensioni, ai drammi e alle aspettative dell’umanità contemporanea. E la mia speranza, naturalmente, è di non aver scritto troppe sciocchezze al riguardo. Avendo portato in grembo il Figlio unigenito di Dio Padre e avendogli dato il suo sangue creaturale, fu impregnata di divinità e al tempo stesso avrebbe inondato di umanità e della sua speciale umanità il Cristo di Dio. Per questo motivo, nessun essere umano più e meglio di Maria Nazarena avrebbe potuto conoscere e amare il Creatore dell’universo e di tutti gli esseri viventi e non viventi.
In lei la conoscenza e l’amore di Dio sarebbero stati inimitabili e ineguagliabili anche se, almeno durante la vita terrena, mai immuni da dubbi, perplessità, turbamenti umanissimi e profondi, quantunque non già in antitesi alla mirabile e robusta fede coltivata nella sua mente e nel suo animo, bensì per effetto di questa stessa fede che la induceva a chiedersi frequentemente quale significato potessero avere i misteriosi avvenimenti di cui veniva facendo esperienza e quale fosse ogni volta il senso della divina volontà. Peraltro, ella fu la prima e permanente discepola di Cristo e da lui avrebbe imparato, faticosamente ma proficuamente, tanto il significato relazionale e conviviale quanto il significato oblativo e sacrificale dell’amore. Di conseguenza, avrebbe molto sofferto come madre ma senza mai dimenticare che madre era diventata per chiamata diretta di Dio, avrebbe patito come la più sventurata delle madri ma non avrebbe mai rinunciato a magnificare il suo Signore, non sempre avrebbe compreso le parole e il comportamento del figlio ma senza mai dimenticare che questi era stato inviato dal Padre divino per compiere una missione terrena tanto misteriosa e gloriosa quanto probabilmente dolorosa, sarebbe stata considerata non di rado come una donna indegna pur sapendo di essere stata scelta tra tutte le donne e di essere la prediletta figlia di Dio per cooperare al suo piano di salvezza. Cristo ebbe una natura di origine divina che, strada facendo, grazie alla madre vergine, si sarebbe venuta riempiendo di profonda umanità; parallelamente l’umanità di Maria, in costante contatto col figlio, sarebbe stata sempre suscettibile di progressiva divinizzazione. La storia di Maria è la storia dell’umanizzazione di Dio e, insieme, la storia della divinizzazione della creatura umana.
La conoscenza e l’amore di Dio, in Maria, furono secondi solo a quelli di Dio stesso ma non si può escludere che, una volta assunta in Cielo, Dio le abbia concesso di conoscere e amare con la sua stessa profondità ed intensità. Peraltro, come scriveva Giovanni Battista Terrien, non bisogna dimenticare che se «l’amore presuppone la conoscenza, le conferisce in compenso una visione più viva e più chiara delle sofferenze patite dall’oggetto amato … dobbiamo anche riconoscere che le ferite inferte al cuore di Gesù sorpassarono incomparabilmente quelle», pure dolorosissime, «impresse nella sua carne» ((Testi mariani del secondo millennio. Autori contemporanei dell'Occidente (Sec. XX), Roma, Città Nuova, 2012, vol. n. 7, p. 64). E quali furono le pene interiori di Cristo? In primo luogo, ricorda Tommaso d’Aquino, il dolore per i peccati degli uomini, poi l’ingratitudine di tanti esseri umani per il sangue da lui versato per loro, l’amarezza per essere stato abbandonato dai discepoli del suo tempo e per il presentimento di essere abbandonato dai discepoli di tutte le epoche, nonché per le persecuzioni che avrebbe dovuto continuare a subire perennemente all’interno della sua Chiesa da parte di nemici esterni ed interni: «ora questo libro della croce che tante anime ignorano» e che «le anime più illuminate dalla divina luce non leggono che attraverso mille oscurità e come da lontano, Maria lo trovava aperto dinanzi ai suoi occhi, ne sfogliava ad una ad una tutte le pagine vive e ne scopriva tutti i significati. Il suo sguardo non si fermava alle torture visibili del Crocefisso: s’immergeva fin nel cuore di Gesù e vedeva a nudo l’oceano d’amarezza nel quale questo cuore era versato» (Ivi, p. 64). Maria intuiva che la sua stessa presenza sotto la croce, lungi dall’essere per il figlio un sollievo, «era un soprappiù di pena e come una parte integrante del proprio martirio» (Ivi).
La conoscenza e l’amore di Maria erano di questa natura e la conoscenza e l’amore di coloro che erano con lei sotto la croce, come Giovanni, Maria Maddalena, Maria di Cleofa, per quanto profonde ed intense potessero essere, per quanto straziante potesse essere il loro dolore, restavano di gran lunga inferiori a quelli di Maria, non solo perché nessuno di essi aveva avuto con Gesù un rapporto così intimo come quello intercorso con la madre ma anche perché nessuno di essi e, più in generale, nessun essere umano aveva e avrebbe mai avuto un’esperienza di eventi sovrannaturali come quella vissuta da Maria. La differenza passante tra la fede di Maria e la fede degli altri amici di Gesù era una differenza di sensibilità e di potenza spirituale, in quanto se la fede di quest’ultimi era stata acquisita attraverso la frequentazione di Cristo e l’ascolto della sua Parola, la fede di Maria era stata acquisita certamente per grazia ma sin dalla nascita come attitudine naturale e vocazionale a confidare unicamente in Dio: tale fede era, letteralmente, viscerale, anche per aver portato in grembo la ragazza di Nazaret Dio in persona, per aver generato paradossalmente quello stesso Dio che, per costituzione ontologica, è ingenerato e ingenerabile. Maria sarebbe stata trasformata spiritualmente prima nella gioia della nascita verginale di Cristo, e poi nel dolore incontenibile ma anch’esso spiritualmente non letale bensì vitale della passione e della morte di Cristo.
La passione di Cristo sarebbe stata anche la passione di Maria, anche se in questo secondo caso la passione non avrebbe provocato, solo per una sorta di miracolo o di misteriosa decisione del Padre, la morte immediata. La morte, tuttavia, la morte definitiva a questo mondo, alle sue false speranze e alle sue illusorie conquiste, avrebbe accompagnato Maria, dopo la morte del Figlio, sino alla sua morte corporea o biologica, alimentando sempre più fortemente in lei l’attesa del mondo che sarebbe venuto e della vita eterna promessa dal Figlio. Avendo sofferto per le sofferenze, i maltrattamenti, gli oltraggi e le umiliazioni inflitti al Figlio divino, all’Altissimo, al Signore della vita e della morte, avendo cioè partecipato all’inaudita passione di Gesù, tanto da farne Madre di compassione, molto più agevolmente Maria si sarebbe fatta carico, in quanto Madre di Dio ma anche in quanto Madre dell’umanità, di tutti i dolori, i drammi, le disgrazie, le emarginazioni e le persecuzioni patiti da ogni singolo essere umano e da tutti i popoli della terra, e infine di tutte le suppliche sincere che, a lei e al Cristo rivolte, si fossero levate dalla terra verso il Cielo. Maria, per la speciale intima unione col Figlio, si sarebbe trovata, scrive René-Marie de La Broise, «in un ordine superiore a quella degli angeli e dei santi» (Ivi, p. 71). Di conseguenza, è comprensibile che Maria costituisca la via privilegiata per giungere al Cristo, e che, raggiungendosi, «per mezzo di Maria, una vitale conoscenza di Cristo, sarà anche per mezzo di Maria», scriveva Pio X, «che conseguiremo più facilmente quella vita che ha per sua fonte e per suo principio Cristo» (Ivi, p. 76).
Se, come detto, nessun essere umano avrebbe mai potuto acquisire la stessa conoscenza e lo stesso amore di Cristo, che a Maria, per ragioni sovrannaturali e quindi anche per motivi logici, fu concesso di acquisire, non c’è dubbio che, per credenti e fedeli, Maria, aggiunge il papa citato, resti «il più grande e più sicuro aiuto per raggiungere la conoscenza e l’amore di Cristo» (Ivi, p. 79). Coloro che sostengono non doversi onorare Maria ma solo Cristo per conseguire la salvezza devono essere considerati «miseri e infelici … che … ignorano che il Figlio non si può trovare, se non con Maria, sua Madre» (Ivi). Occorre tuttavia essere consapevoli del fatto che «l’onore più gradito e più desiderato che possiamo rendere a Maria è quello di conoscere, come si deve, e di amare Gesù. Perciò le folle di fedeli riempiano pure le chiese, si organizzino solenni festeggiamenti e manifestazioni di esultanza nelle città. Tutti ammettono che queste cose contribuiscono non poco a risvegliare la pietà. Ma se queste iniziative non giungono a muovere la volontà, avremo delle esteriorità, che presentano soltanto un’apparenza di religione; e la Vergine, nell’osservarle, ci rivolgerà con le parole di Cristo questo giusto rimprovero: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me (Mt 15, 8)”. Poiché, alla fin fine, la vera devozione verso la Madre di Dio è quella che sgorga dal cuore; e se gli atti esterni non sono animati dal sentimento del cuore, non hanno né alcun valore né alcuna utilità … Quindi ognuno deve essere persuaso che, se la devozione che professa alla beata Vergine non lo trattiene dal peccare o non gli ispira propositi di emendare i suoi costumi, è una devozione artificiosa e falsa, essendo priva del suo naturale frutto» (Ivi).
Questo, tuttavia, non significa che Maria sia sorda alle oggettive difficoltà dei peccatori, che pure aspirerebbero ad una più sana e santa condizione di vita, di mutare stabilmente lo stato qualitativo della propria vita spirituale e religiosa: ella non è affatto sorda o indifferente ai complessi e profondi travagli di alcune anime in particolare, essendo ben consapevole che il peccato d’origine può produrre anche situazioni esistenziali così laceranti e apparentemente irreversibili da rendere quasi disperato e inutile ogni umano sforzo di volontà e di superamento delle proprie patologie morali e spirituali. Anzi, è proprio nei casi e a favore dei casi più ostinatamente chiusi alla luce della sapienza e della grazia di Dio, che la Madre celeste, se invocata e supplicata, viene prodigandosi con particolare amore materno e speciale zelo discepolare presso il suo Figlio e Signore per ottenerne rimedi efficaci e risolutivi, per tutti impossibili tranne che a Dio. La misericordia di Maria è talmente comprensiva intellettualmente e praticamente della natura e delle potenzialità di dilatazione dell’amore divino, talmente compartecipe dell’infinita misericordia di Cristo da costringere quasi quest’ultimo, beninteso secondo un preciso progetto divino ab aeterno, a non poterle opporre resistenza ogni qual volta si senta implorato da Colei che, avendolo non solo generato ma avendo sempre a lui conformato il suo volere, non poteva che occupare nel suo cuore un posto di assoluta preminenza. Non bisogna, infatti, dimenticare che Maria, la nuova Eva, la madre dei viventi in Cristo, è biblicamente il principale avversario del maligno e su Satana predestinato a trionfare, per cui è per amore verso Dio, prima e oltre che verso le creature e le creature più tribolate e infelici, che ella tenta in tutti i modi di impedire a Satana di sottrarre a Dio le sue creature.
Può quindi accadere che, come scrive Alessio Maria Lépicier, «una lagrimetta di sincera contrizione, spremuta per l’arcana mediazione della nostra Madre Maria, assicura ad un inveterato peccatore la grazia ineffabile della conversione finale e della salute eterna» (Ivi, p. 153). La funzione sovrannaturale della Madre di Dio è quella di accompagnare la vita delle creature verso la morte ma, nell’ora della loro morte, è particolarmente presente al fine di aiutarle ad andare dalla morte alla vita e ad una vita non più soggetta a forme di dissolvimento. Ciò comporta che, consistendo il senso della vita nel senso della morte, sia necessario pregarla per le cose presenti in funzione di ciò che è necessario per la vita eterna e pregarla per il conseguimento della vita eterna senza disdegnare di invocarne l’aiuto nelle cose essenziali del momento presente. Nella preghiera, non importa se formalmente ineccepibile o spontaneamente scaturiente dal cuore, deve poter essere sempre alimentata dalla compresenza del sentimento di ciò che passa e del sentimento di ciò che dura, per usare le parole di Francesco di Sales Pollien, il quale aggiunge e precisa: «Se voi unite al pensiero del presente il pensiero della morte; se illuminate con la luce dell’eternità il sentimento dei vostri presenti bisogni, se non domandate per adesso che quello che comprendete dovervi servire allora; voi siete sicuro di non cadere nella disgrazia dell’illusione che vi porterebbe a presentare a Maria domande di cose inutili o nocive (Ivi, pp. 165-166).
Peraltro, «voi sapete che la morte è l’ora decisiva del combattimento; e quanto più allora sarete spogliato delle vostre forze naturali, tanto più avrete bisogno delle forze della grazia. Non è quindi prudente ammassare da lontano dei tesori che si troveranno preparati per la protezione nell’ultimo passaggio? Quanto più spesso in vita avrete fatto ricorso all’aiuto della Vergine, tanto maggior ragione avrete allora di contare su di lei: ella non avrà dimenticato né il numero né la sincerità delle vostre invocazioni, ed il suo intervento porterà certamente in quell’istante la risposta ad ognuna delle vostre istanze. Migliaia di volte voi durante la vita avrete gridato la vostra confidenza ed a mille a mille ella manderà le sue grazie; perché non è possibile che la sua bontà rimanga al di sotto della vostra devozione» (Ivi). Essendo la creatura più ad immagine e somiglianza di Dio e anzi, per i meriti sacrificali e santificanti di Cristo, la creatura più largamente e profondamente impregnata dello stesso spirito divino del Padre e del Figlio, Maria avrebbe ricevuto in dono anche la capacità non già di approfondire criticamente e teologicamente ogni singolo passaggio delle Sante Scritture e di proporne interpretazioni teologiche particolarmente erudite e sofisticate, ma di cogliere esattamente o intendere perfettamente il senso della Parola di Dio, pur senza potersi sottrarre a momenti di dubbio, di perplessità o di relativo smarrimento, e il significato dei suoi passaggi più cruciali e vitali. Maria ebbe il privilegio di conoscere, in una misura ben superiore a quella concessa ai cultori più eccelsi della sapienza divina, le qualità costitutive ed intrinseche dell’intelligenza e della sensibilità di Dio, e gradualmente non avrebbe mai esitato a conformare la sua esistenza terrena ai segni sovrannaturali di verità, giustizia e misericordia, di volta in volta inviati dal Cielo. Maria ebbe altresì il privilegio di amare, strettamente connesso alla sua facoltà di scrutare in profondità il cuore degli uomini, come neppure i più eccelsi santi di Dio sarebbero riusciti a fare nella storia del mondo.
Tutto questo potere spirituale si deve al fatto che lo Spirito Santo sarebbe stato permanentemente presente nella sua vita, dopo che l’angelo le aveva profeticamente annunciato: «Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra» (Lc 1, 35). L’unione della giovane nazarena con Dio, nella persona di Cristo, non poteva essere semplicemente di natura carnale ma anche e preliminarmente di natura spirituale, perché solo la spiritualità divina può santificare la stessa natura carnale di un essere umano. Nel caso della madre di Gesù, ha scritto Bernhard Bartmann, «la pienezza di grazia di Maria è continuamente cresciuta fino al termine della sua vita e … sulla terra si è conclusa in uno stato di perfezione del tutto unica, onde salire quale immagine di Gesù come onda maestosa alla vita eterna. Questa azione meravigliosa della grazia nell’anima di Maria è stata compiuta dallo Spirito Santo che, alla stregua di un artista divino, ha disegnato e realizzato in lei, l’immagine della figlia di Dio» (Ivi, p. 172).
Per tutto questo, la conoscenza mariana non poteva essere relativistica, poteva essere certo problematica, talvolta fecondamente dubbiosa, in quanto consapevole non solo della oggettiva complessità, contraddittorietà e appunto problematicità della realtà umana e storico-terrena, ma in nessun caso relativistica perché fondata sul presupposto stesso o fondamento della sua fede in Dio, e quindi nell’esistenza di una verità assoluta di cui fossero manifestazioni fenomeniche, empiriche, parziali o provvisorie, non sempre correttamente intese e interpretate dagli uomini, tutte le realtà create dell’universo e tutte le forme di sapere elaborate dalla cultura umana. Le verità mondane e umane appaiono certo nella loro relatività, nella loro frammentarietà e particolarità, quasi slegate le une dalle altre e, soprattutto, dal senso unitario ed armonico del tutto, ma il conoscere implicava in Maria il non potersi fermare all’apparenza, alla superficie delle cose e degli eventi, bensì andare sempre alla ricerca del loro senso, della loro ragione o del loro significato ultimo. Analogamente, anche la vita pratica, la vita etica, la stessa vita affettiva, dovevano essere informate a questo stesso criterio irrinunciabilmente collegato alla fede in Dio come unico e assoluto principio di bene, di amore e di giustizia.
Per Maria non poteva accadere diversamente perché ella è il tabernacolo, il santuario dello Spirito Santo, l’intelligenza e il cuore più ricettivi dello Spirito Santo, dal quale pertanto viene costantemente fecondata: nei primi anni di vita e di formazione spirituale; nel grembo verginale, poi, per ospitare l’embrione del Figlio di Dio; nella mente e nell’anima per potersi mettere degnamente ed efficacemente al servizio del Cristo, del Logos incarnato, sul piano affettivo, relazionale ed educativo, e per poterne apprendere, assimilare gradualmente e osservare l’insegnamento e la Parola così carica di mistero e di novità spirituale e religiosa. Maria viene fecondata costantemente dallo Spirito, dall’inizio alla fine, nel tempo e per l’eternità, donde quel continuo e grandioso processo di divinizzazione che sarebbe culminato nella sua gloriosa assunzione in cielo in anima e corpo. Come poteva una donna siffatta non voler esaudire il desiderio di Dio di farne lo strumento privilegiato del suo disegno di salvezza in Cristo? Ella avrebbe sempre onorato tanto la volontà del Padre quanto la volontà del Figlio attraverso il sostegno illuminante e fortificante dello Spirito Santo, ma anche il Figlio e il Padre, ognuno nell’ambito della propria specifica funzione salvifica, l’avrebbero sempre e per sempre venerata, sino a riconoscerla alla fine quale Regina del cielo e della terra. Scrive con molta chiarezza Massimiliano Maria Kolbe: «Ella è la Regina dell’universo, la Regina del cielo e della terra. In paradiso tutti La riconoscono loro Regina. L’Inferno La odia e trema davanti a Lei, mentre qui sulla terra quante anime ancora non La conoscono, oppure La conoscono troppo poco o addirittura, facendo comunella con i demoni, non La venerano, La odiano» (Ivi, p. 207). Ma, per quanto riguarda invece le creature ancora peregrinanti sulla terra, Ella sollecita i figli che la cercano e che la amano «a collaborare con Lei nelle situazioni della normale vita quotidiana. Queste stesse anime a Lei consacrate vivono di Lei, pensano sovente a Lei, La amano di vero cuore e cercano di discernere i suoi desideri», per potervi corrispondere con pensieri e opere (Ivi, p. 208).
Si è spesso giustamente osservato che il rapporto di Maria con il Dio trinitario è un rapporto profondamente mistico, ma il suo misticismo non è quello che si viene manifestando attraverso una profonda sfiducia nella luce della ragione e nell’apporto euristico dei sensi: Maria è certo consapevole dei limiti della ragione e dei sensi, ma solo nel senso che, da soli, non sono ancora sufficienti ad aprire lo spirito umano al sovrannaturale e alla dimensione trascendente di dio. Non sono sufficienti ma questo non implica che se ne debba fare letteralmente umano e non debbano essere adeguatamente utilizzati non solo per le cose ordinarie del mondo e della vita ma anche per la ricerca inesauribile di Dio Creatore e Salvatore. Il misticismo mariano è dunque governato, persino nei momenti più elevati e intensi di ascesi ed estasi spirituali, dalla ragione e sostenuto dalle facoltà sensibili che consentono di interagire con il mondo esterno. Lo riconosce una grande filosofa cattolica di origine ebraica quale Edith Stein, quando afferma che «la sua anima di bimba fin dall’inizio della sua esistenza era rischiarata dalla luce della ragione» (Ivi, p. 211). La ragione, la sapienza, i sensi materiali e spirituali sono doni preziosi di Dio Creatore che solo in modo stolto si potrebbe ritenere estranei alla fede in Dio: essi, lungi dall’indebolire la ricerca di Dio e l’ascolto della sua Parola, possono invece rafforzarli e motivarli indefinitamente, anche se naturalmente esiste pur sempre la possibilità che essi vengano adoperati, al contrario, per depotenziare e delegittimare la fede.
Maria sarebbe vissuta esclusivamente per il Signore, al servizio e in funzione del suo Regno, ma senza mai trascurare tanto le domande della ragione quanto i timori o i sospetti della coscienza, e tanto più avrebbe glorificato il suo Dio quanto più ne avrebbe esaltato la potenza celeste anche in ordine a tutto ciò che, avendone diretta e precisa esperienza e conoscenze storiche, la feriva e addolorava immensamente: dopo aver premesso che la misericordia divina non viene elargita allegramente a chicchessia ma solo a coloro che lo temono, lo rispettano senza travisarne gli insegnamenti e la volontà, si sofferma a lungo e con profonda partecipazione sulle azioni della potenza e della giustizia divine: i superbi saranno dispersi nei pensieri del loro cuore, i potenti che abbiano governato o operato senza tenere in conto i precetti divini saranno rovesciati, mentre gli umili, non i sedicenti umili ma i veri umili di mente e di cuore, saranno innalzati, e infine chi, senza colpa, avrà patito la fame o la privazione di beni che avrebbe meritato di possedere, sarà finalmente risarcito e gratificato, mentre quanti avranno perseguito l’opulenza come fine a se stessa e per motivi prettamente egoistici, saranno disconosciuti e allontanati dal Regno di Dio. Naturalmente, l’attitudine logico-conoscitiva, come anche l’acuta capacità di osservazione (si pensi alle nozze di Cana), in Maria non sono di natura teoretica quanto piuttosto di natura biblico-sapienziale, in quanto la fonte della sua istruzione e della sua formazione non è certo costituita da scuole o testi filosofici ma dalle Sacre Scritture e dai maestri e dagli studiosi della Torah e della legge ebraica e, soprattutto, dall’insegnamento innovativo di suo figlio Gesù, anche se si sarebbe in errore nel pensare che l’antica sapienza biblica non abbia influito su tanta parte della più impegnata e sofisticata produzione filosofico-teoretica moderna e contemporanea.
In realtà, sempre costitutivamente partecipe delle ricchezze interiori di Cristo, a sua volta riflesso fedele della sapienza divina del Padre, e delle silenziose ma potenti sollecitazioni ed ispirazioni dello Spirito Santo, ella stessa, nota il monaco benedettino Odo Casel, non poteva che diventare «Pneuma, Spirito, Logos, Sapienza. Tutto questo in lei non è fredda conoscenza razionale, ma sapienza attinta nell’agape, sapere verginale, intelligenza della divina economia dell’amore e della salvezza» (Ivi, p. 234). Maria diviene «Sponsa Verbi, la sposa del Logos, unita al suo Sposo dal Pneuma, il soffio divino dell’amore» (Ivi). Pertanto, Maria non poteva che esprimere, già nel corso della sua vita terrena, la percezione più elevata e più completa del divino che sia stata espressa o possa essere espressa nella storia dell’umanità. Ella è la sede verginale di quella sapienza divina in cui trovano fondamento tutte le forme di conoscenza realmente universali e di vita morale e spirituale non fittizie e inautentiche, tanto che i versetti riferiti biblicamente alla sapienza divina quale primo atto della creazione stessa, possono essere attribuiti in modo molto appropriato anche alla persona della Santissima Madre di Dio: « Io sono la madre del bell’amore e del timore, della conoscenza e della santa speranza; eterna, sono donata a tutti i miei figli, a coloro che sono scelti da lui. Avvicinatevi a me, voi che mi desiderate, e saziatevi dei miei frutti, perché il ricordo di me è più dolce del miele,
il possedermi vale più del favo di miele. Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me avranno ancora sete. Chi mi obbedisce non si vergognerà, chi compie le mie opere non peccherà» (Sir 24, 18-22).
Ne deriva che solo chi chiede a Maria di poter accedere ai profondi misteri della sapienza divina di cui ella è eterna e perfetta custode, potrà forse sperare di intraprendere e acquisire proficuamente la conoscenza dei princìpi, delle leggi, dei fini dell’universo creato e della vita stessa delle creature umane. Così come Maria è stata fecondata oltre che nel suo grembo, anche nelle sue facoltà intellettive, morali e spirituali, dallo Spirito Santo, allo stesso modo anche noi, a determinate condizioni, e quindi la nostra intelligenza, la nostra sensibilità, il nostro desiderio di sapere e di bene o di amore, possiamo essere fecondati dalla potente assistenza materna che ella non nega a tutti coloro che mostrino sincero e profondo interesse ad incamminarsi sulla via della verità e della vita. Così come Maria è stata sempre presente nei momenti decisivi della vita di Gesù, continuando a svolgere il suo ruolo di madre saggia e amorevole tra gli apostoli storici del Cristo all’indomani della sua morte, della sua risurrezione e ascensione in cielo, allo stesso modo, per volontà stessa di Cristo, non farà mai mancare il necessario a chiunque, sia pure con i suoi limiti e le sue debolezze, intenda servire il divino Maestro con onestà di mente e di cuore, in virtù delle capacità, dei doni, dei carismi, delle specifiche vocazioni che questi avrà voluto concedere.