Maria, apostola e maestra della fede

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

Maria, imparando sempre da Gesù nel corso della sua vita terrena, è in grado a sua volta di spiegarne agli apostoli alcuni concetti, alcuni passaggi apparentemente oscuri o troppo profondi per essere compresi in modo immediato, anche se è soprattutto nell’angoscioso periodo successivo alla morte di suo Figlio che cerca di tenere unito il gruppo apostolico, e quindi la Chiesa embrionale di Cristo con sapienti e ispirate parole di incoraggiamento e amore. Tutte le volte che, nel corso della storia umana, la fede cristiana ha attraversato momenti di crisi, la figura di Maria è venuta esercitando un ruolo magisteriale molto profondo e incisivo sulla coscienza e sulla condotta della comunità ecclesiale. Di questo era convinto in particolare don Giacomo Alberione, per il quale la Madre di Cristo, prima discepola per eccellenza, sarebbe stata successivamente anche l’apostola per eccellenza.

Il ragionamento di don Giacomo era molto semplice: il «mondo divenne cristiano per Maria e solo per Maria: ecco l’Apostola, non un’apostola» (Ivi, p. 442). Solo per Maria, così come Cristo è venuto al mondo solo per Maria, ha vissuto e operato in mezzo agli uomini solo per Maria, ha salvato il genere umano glorificando il Padre solo per Maria, ha dato al mondo la sua Chiesa solo per Maria. Donde l’invito accorato a riflettere: «il mondo non arriva a Cristo perché si addita non ancora abbastanza la via: Maria. … Questo mondo è un figlio prodigo; trova duro il ritorno al Padre; ma se si mostrerà che sulla porta di casa sta la Madre a riceverlo, quanto incoraggiamento e speranza. … Ancora non si penetra tutto il profondo senso delle parole: «”Una donna rovinò tutti; una donna ripara tutto”. Se si considerasse Maria, secondo il profondo senso della Chiesa e della Scrittura, quante anime in meno andrebbero perdute; quanti meno errori e disordini si avrebbero! … Finchè rimane il rosario in una famiglia, rimane Cristo, Via, Verità e Vita. L’uomo si piega alla Madre, il mondo si piegherà a Maria, che mostrerà Gesù» (Ivi, pp. 442-443).

Senza la Madre è molto più facile staccarsi orgogliosamente dal Padre, rivendicare la propria libertà di scelta e di comportamento senza riguardi per i suoi comandamenti e i suoi santi precetti. Ma il male e i mali persistono nel mondo perché troppo spesso si abbandona Dio: «Siamo precipitati in un caos di errori, di disordini morali, di superstizioni, di falsi culti, di miserie materiali». Le stesse guerre, per don Giacomo, non sono provocate tanto «dai governanti, ma dagli insegnanti increduli, dalla stampa irreligiosa e materialista, dal laicismo nella vita sociale, da una plutocrazia. Ecco gli assassini del popolo, le guerre attuali sono conseguenze logiche di una cultura anticristiana». In questo modo, molto frequentemente «la civiltà è rimasta un corpo senz’anima» (Ivi, pp. 443-444). Senza l’accompagnamento di Maria diventa molto più difficile incamminarsi sulla via della verità e della vita, perché nessuno come lei la conosce perfettamente, nessuno come lei ne conosce le asperità e i modi per superarle e, al tempo stesso, le gioie e le speranza di vita e di pace che essa procura con profonda fede. Papa Pio X, da includere tra i più ispirati cultori di Maria, sottolineava come «dato che è piaciuto all’eterna Provvidenza del Signore che l’Uomo-Dio ci sia stato dato per il tramite di Maria e poiché questa avendolo ricevuto dalla feconda virtù dello Spirito Santo l’ha portato realmente nel suo seno, non ci rimane che ricevere Gesù dalle mani di Maria» (Pio X, Lettera Enciclica “Ad Diem illum laetissimum” del 2 febbraio 1904), una via obbligata dunque per percorrere e, soprattutto, per non smarrire la via del Cristo, ma anche la via consigliata e consigliabile per chiunque aneli ad incontrare Dio e ad apprenderne la reale e più intima identità.

Non si tratta di tessere lodi sperticate o fare apologia della Santissima Vergine per motivi prettamente sentimentali o per un’istintiva empatia per colei che è il prototipo più universale della maternità, bensì per il fatto che, essendo ella, per esplicita volontà del Figlio divino, Madre di Dio e Madre degli uomini, non può che dedursene come, da una parte, solleciti premurosamente il Cristo ad elargire copiosamente i suoi doni a tutti i membri della sua Chiesa, e dall’altra instancabilmente lo supplichi di applicare alle creature terrene la sua giustizia con la massima misericordia possibile. Donde quella bellissima e memorabile preghiera di Pio XII, particolarmente cara a don Alberione: «Regina del Santissimo Rosario, ausilio dei cristiani, rifugio del genere umano, vincitrice di tutte le battaglie di Dio! supplici ci prostriamo al vostro trono, sicuri di impetrare misericordia e di ricevere grazie e opportuno aiuto e difesa nelle presenti calamità, non per i nostri meriti, dei quali non presumiamo, ma unicamente per l'immensa bontà del vostro materno Cuore. Regina del Santissimo Rosario, ausilio dei cristiani, rifugio del genere umano, vincitrice di tutte le battaglie di Dio! Supplici ci prostriamo al vostro trono, sicuri di impetrare misericordia e di ricevere grazie e opportuno aiuto e difesa nelle presenti calamità, non per i nostri meriti, dei quali non presumiamo, ma unicamente per l’immensa bontà del vostro materno Cuore» (Pio XII, Preghiera per la consacrazione della Chiesa e del genere umano al cuore immacolato di Maria, 31 ottobre 1942).

Per tutto questo, ella, insuperabile e sofferto capolavoro di Dio insieme alla passione e alla salvifica crocifissione di Cristo, è colei che porta il Cristo nelle case, nei cuori, nel mondo, colei che istruisce e forma le coscienze all’adorazione del Figlio, che ne custodisce i santi misteri e i divini insegnamenti spesso dirottando lo Spirito Santo di cui è tempio per l’eternità verso anime particolarmente attente e sensibili che possano darne fedele e sempre rinnovata testimonianza durante il pellegrinaggio terreno, indica la strada impegnativa e impervia ma preziosa dell’eterna salvezza. Maria è la più grande apostola della speranza e della vita, è la più fedele maestra del Verbo, è la principale maestra della fede sempre al servizio dell’unico e grande maestro che è Cristo. Sono considerazioni dinanzi alle quali generalmente l’alta cultura, la scienza, la poliedrica sapienza del mondo, restano indifferenti, perplesse, incredule o diffidenti, e, come lamentava don Giacomo Alberione, «nel mondo in generale .. si è scavato un abisso tra ragione e fede; tra dottrina cristiana e cultura civile. Si verifica spesso che proprio chi è più progredito nelle lettere e nelle scienze, manca della conoscenza delle verità più elementari: sono degli ignoranti supini circa i problemi più vitali. Uomini sapienti, che pure la fate da maestri in tante buone cose; studiate tanto per una vita che potrà come massimo durare cento anni; e per essa non risparmiate tempo e fatiche; mentre per una vita che non finirà … non spendete cinque minuti della vostra giornata. Eppure la scienza divina è la più degna dell’uomo, la scienza indispensabile, la massima ricchezza. Sarebbe grande apostolato evangelizzare queste classi» (Ivi, p. 447). Tuttavia, se molteplici e frequenti sono le «aberrazioni degli intellettuali, dei filosofi, dei sociologi, dei letterati», non mancano «tanti filosofi, sociologi, letterati, intellettuali, divoti ammiratori, figli di Maria: essi hanno creato la filosofia perenne, la sociologia cristiana, una letteratura formativa, un intellettualismo elevato e profondo. Perché una scienza superficiale allontana da Dio; una scienza profonda avvicina a Dio; poiché Dio è la sapienza stessa. Maria è madre della vera civiltà», oltre che della sapienza divina.

Forse era troppo ottimista don Alberione nel ritenere che ci fossero tanti uomini di cultura devoti a Maria e al servizio di un sapere genuinamente cristiano. Forse sono troppo pessimista o non abbastanza caritatevole ma, francamente, io oggi, in questo tempo, ho una percezione diversa e meno rassicurante di quella alberioniana. E, in ogni caso, non rinuncio a pregare e a sperare che il numero e la qualità degli intellettuali mariani e cristiani siano sempre più elevati. Ma emulare Maria nel dare un’adesione incondizionata alla volontà di Dio, non significherà rinunciare anche alla propria intelligenza, sensibilità, libertà, al proprio reale senso di responsabilità nella partecipazione agli eventi, ai dilemmi, ai richiami del mondo, e alle scelte e agli atti, alle opere, che essi comportano? In fondo, accettare di collaborare con un Dio che  chiama la creatura in modo clamoroso, come avvenne per Maria, e le comunica non solo in forma spirituale ma in forma orale il suo progetto salvifico, perché non c’è dubbio che l’annunciazione angelica non fu vissuta da Maria solo come evento introspettivo ma come un fenomeno di percezione sensoriale, fisico-uditiva della divinità nella sua angelica apparizione, non significa essere costretti a collaborare con una divinità che, in caso di rifiuto, potrebbe anche infliggere una severa punizione? Il problema, però, non è costituito dal sì o dal no di Maria, bensì dal suo predisporsi o non predisporsi ad accogliere nel suo grembo Dio stesso senza sapere a cosa sarebbe andata incontro durante la sua esistenza terrena, senza potersi fare un’idea quanto meno approssimativa del suo destino umano.

Nel momento in cui si sente chiamare e partecipare il progetto divino, Maria accetta, certo molto sorpresa e turbata, ma senza temere di essere vittima di un inganno dei sensi, di un’allucinazione, semplicemente perché ella credeva già prima di quel fatto sovrannaturale a un Dio onnipotente e sorprendente, giusto e misericordioso. Anzi, ella avrebbe esaltato, magnificato il suo Dio per averla voluta scegliere tra tutte le donne come sua collaboratrice e futura madre del suo Figlio unigenito, per aver voluto inondare di spirito divino la sua vita di creatura umile, dimessa, insignificante, assolutamente marginale sul piano culturale e religioso e priva di particolare visibilità sociale. Maria si mette letteralmente e gioiosamente nelle mani di Dio perché intuisce che, quali che fossero state le conseguenze del suo assenso, quel rapporto così realistico, così stretto, così intimo, con l’Altissimo, non poteva che costituire un privilegio talmente elevato, unico, esclusivo, da indurla a consegnarsi anima e corpo, e con tutti i suoi limiti e le sue debolezze, al Creatore del cielo e della terra. D’altra parte, è difficile immaginare cosa sarebbe potuto succedere se la prescelta fosse stata un’altra creatura, per il semplice fatto che Dio non fà mai le cose a caso e sa sempre con largo anticipo a chi affidare compiti speciali e particolarmente faticosi e dolorosi.

Da quel momento, da quel sì, la giovane nazarena si vede trasformare gradualmente in diligente e acuta discepola delle cose divine e in discepola già proiettata verso il ruolo prima di maestra e poi di apostola della fede cristiana tanto nella comunità ecclesiale quanto nella comunità civile del mondo intero. Ma è pur vero che un essere umano, una donna letteralmente impregnati di grazia divina, non potevano risultare completamente accessibili, intellegibili, per via di intelligenza e di studio biblico-scritturale. Anche Maria avrebbe condiviso, in parte, il misterioso destino sovrannaturale del Figlio, un modo di concepire la vita, il rapporto con gli altri e le cose mondane, in una luce totalmente diversa da quella in cui essi vengono comunemente concepiti ed esperiti. Eva doveva costituire un aiuto necessario, costante e prezioso, per Adamo, per l’edificazione, il benessere e la prosperità della famiglia umana, ma, per essersi ribellata insieme ad Adamo, avrebbe in realtà condannato quest’ultima al peccato e alla morte. La nuova Eva si pone invece al servizio di Dio e quindi anche al servizio dell’uomo ovvero del nuovo Adamo e dell’intera umanità. Maria avrebbe saputo onorare non solo il suo ruolo di creatura, di essere umano, ma anche il suo ruolo di donna, di umile e rispettosa collaboratrice tanto di Dio quanto dell’uomo e non solo, come ormai disinvoltamente si usa dire, del maschio, perché in ogni maschio agisce una forte componente femminile che richiede di essere saggiamente custodita e coltivata anche attraverso la sensibilità e la finezza spirituale della donna, della madre o della sposa, allo stesso modo di come in ogni donna agisce un’esigenza di protezione, di assistenza, di complicità e intima condivisione, di autorevolezza, che richiede di essere soddisfatta in sommo grado per mezzo dell’attiva e responsabile partecipazione maschile alla comprensione e alla risoluzione delle specifiche problematiche  materiali e spirituali della donna, madre e  sposa.

Capisco che un discorso del genere non sia più di moda e che anzi sia programmaticamente respinto dal pensiero unico o politicamente corretto di questo inizio di terzo millennio, ma la fede non dipende dal tempo e dalla cultura dominante bensì esclusivamente dallo spirito di verità che in modo attivo o passivo agisce pur sempre in ogni essere umano, e la nostra fede di cattolici non può essere diversa da quella di Maria, che non pensò mai di emanciparsi semplicemente come donna, ma anche come madre, come sposa, come credente rispettosa della legge di Dio. Maria, la nuova Eva, la donna per eccellenza, avrebbe portato la salvezza non solo nell’ordine dell’eterno ma anche nell’ordine temporale. Dalla vita di Maria si ricava l’idea, come notava Gertrud von Le Fort, un protestante del novecento convertitosi al cattolicesimo, che «popoli e stati, se vogliono prosperare, hanno bisogno di madri più autentiche» e questa idea «indica una verità non solo biologica, bensì una verità ancora più profonda, che cioè il mondo spirituale ha bisogno non solo dell’uomo sapiente ma anche di madri» (Ivi, p. 456), idea considerata oggi profondamente antistorica e tuttavia carica di profetica inattualità. L’identità della donna cristiana ha il suo imprescindibile punto di riferimento in Maria. L’identità della donna cristiana, pertanto, reca in sé il segno della temporalità ma anche il segno dell’eternità, dell’immagine eterna di donna scolpita nel suo essere da Dio, e questo «non significa altro se non che la salvezza di ogni singola donna è inscindibilmente legata sia al modello che alla missione di Maria» (Ivi, p. 462), anche se l’imitatio Mariae da parte delle donne, e quindi la loro costante disponibilità verso Dio, non comporta solo il perseguimento della salvezza esistenziale della donna ma «anche la salvezza per mezzo della donna» (Ivi), la salvezza di uomini e donne.

La dinamica spirituale con cui Cristo, nella sua duplice umana e divina, avrebbe riconciliato il genere umano con il Padre, glorificandolo con il sacrificio della sua vita, è simmetrica a quella con cui Maria, nella sua dimensione umana ma intrisa di grazia divina, avrebbe cooperato attivamente, sempre sostenuta dallo Spirito Santo, prima con il Padre e poi con Cristo nella sofferta e generosa opera di liberazione del genere umano dal peccato e nella dolorosa e gloriosa subordinazione consapevole della propria volontà a quella di Dio. Però, bisogna precisare che, se Maria, di fatto, fu corredentrice dell’opera salvifica di Cristo, ciò non sarebbe accaduto nel senso che la sua collaborazione fosse ontologicamente necessaria all’opera redentiva di Cristo, ma nel senso che Dio-Padre e Dio-Figlio avrebbero inteso renderla deliberatamente, attraverso una ben ponderata iniziativa di natura sovrannaturale, parte essenziale di tale opera. Il Padre e il Figlio di concerto le avrebbero concesso «l’onore di diventare una causa nell’opera della salvezza di tutti i figli di Adamo» (Per citare le parole di Caspar Friethoff, che le riferisce tuttavia solo a Gesù, ivi, p. 476). Maria è l’umile per eccellenza che, insultata ma anche inaspettatamente omaggiata, appartata ma anche amata e rispettata, avvilita ma sempre aperta all’amore e alla speranza, viene esaltata da Dio già in terra in uno scenario di dolore e profonda afflizione esistenziale ma anche di gioia intensa e tuttavia contenuta, mentre sarebbe stata esaltata gloriosamente in cielo un uno stato di eterna e festosa beatitudine.

In sostanza, come rileva il francescano Leone Veuthey, se la soddisfazione resa da Maria alla giustizia divina, commenta Friethoff, «rimane molto inferiore a quella di Gesù Cristo, sia oggettivamente che dal punto di vista della personalità di lei, e soggettivamente quanto all’intensità della carità divina, tuttavia è pure vero che la sua riparazione, scaturita dalla sua grazia e dal suo amore, illuminata dalla sua dignità di Madre di Dio, e partner del mediatore, trascende incommensurabilmente ogni pensabile soddisfazione resa da qualsiasi creatura, per quanto riccamente dotata» (Ivi, p. 478). Maria avrebbe dato tutta se stessa a Dio ma senza sacrificare autolesionisticamente la sua creaturalità nella normalità e nella ricchezza dei suoi aspetti e delle sue funzioni esistenziali: ella conobbe sia la gioia e «le gioie di un’infanzia serena, … della giovinezza tutta piena di ideali, … della maternità, di una felice vita di famiglia e soprattutto le gioie divine della vita interiore, della vita in Dio», sia la sofferenza e «le sofferenze morali più acute e dolorose. Ma il suo abbandono assoluto ai divini voleri e la sua confidenza senza limiti nell’Amore, l’hanno sempre tenuta ritta, senza lamenti e senza disperazione. Mediante l’offerta, essa ha tutto convertito in amore. Maria ha cercato la luce e ha amato le grandi cose che Dio ha realizzato in lei. Nondimeno la vanità e l’orgoglio non hanno mai sfiorato la sua anima, perché riferiva tutto a Dio, conscia del proprio niente, della propria impotenza e della propria bassezza davanti a Dio, dal quale tutto viene e tutto è» (Ivi, p. 483). Ella fuggì sempre il disordine delle passioni ma non le passioni che sono costitutive degli esseri umani usciti dalla mano di Dio. Imparò presto a vincere le passioni indirizzandole non verso se stessa, il proprio ego, ma verso Dio, verso l’amore e la glorificazione di Dio.

Certo, Maria fu una creatura speciale, unica, per certi aspetti inarrivabile, ma fu in ogni caso una creatura integrale, quel che una creatura deve essere se usa la sua libertà per adorare Dio e per ottenere da Dio la grazia necessaria a vivere santamente la propria esistenza terrena. Fu una creatura integrale che volle e seppe vivere integralmente il suo rapporto con Dio dalla nascita alla morte. Anche in questo senso, Maria sarebbe stata, è e sarà in eterno, apostola e maestra di fede, inviata da Dio per testimoniare la creaturalità nella sua ordinaria normalità e nella sua ricercata santità, e insieme per insegnare a concepire e a vivere la fede non come reclusi rispetto al mondo ma come reclusi nel mondo e portatori di verità, umanità, carità per un mondo chiuso nelle sue dimensioni di immanenza e casualità. Apostola e maestra di fede, ma di fede in un Dio che non chiede alle sue creature il sacrificio dell’intelligenza, della razionalità, che egli si riserva semmai di caso in caso, e in modi diversi, di potenziare anche al di là delle naturali capacità personali di comprensione, bensì la saggia e virtuosa utilizzazione dell’intelligenza e della ragione umana in funzione di una fede non cieca, non meramente abitudinaria né dettata dalla paura dell’ignoto, né scaramantica o irrazionale, ma di una fede consapevole, lucida, intrepida e militante, e sempre bisognosa di umile conversione e di perdono divino. Come avrebbe potuto Maria farsi modello di una fede irrazionale in quanto discepola, madre e sposa del Logos divino?

Affidarsi a Maria significa, pertanto, affidarsi a colei che ha sempre intuito e presentito la presenza di Dio nella storia del mondo, che non ha mai creduto nella casualità e nel non senso della vita ma in un divino principio di razionalità preposto a presiedere ai fatti del mondo e ad interagire provvidenzialmente con le scelte e le azioni degli uomini, che ha sempre creduto ciecamente in Dio solo facendone concreta e intima esperienza di ragione e sensi. Maria non crede per sentito dire, per semplice consuetudine o per pur ammirevole educazione religiosa ricevuta, ma per interiore capacità di osservare riflessivamente e non ingenuamente le cose, per naturale e sovrannaturale predisposizione ad indagare i significati potenziali o nascosti dei fenomeni umani, per accentuata vocazione spirituale ad interrogarsi tanto sulle ragioni prossime quanto sulle ragioni ultime del vivere individuale e collettivo. La sua fede incondizionata e totalizzante in Dio si muove sempre all’interno di un complessivo orizzonte esperienziale fortemente caratterizzato da un innato e inesausto spirito di ricerca. La fede mariana è, in altri termini, fondata sulla ragione, sui sensi e sulla coscienza morale, pur non esaurendosi in essi ma proiettandosi verso campi indefiniti di possibilità esistenziali e spirituali che sono governati dalla sapienza divina.

Apostola e maestra è dunque Maria sia della fede immediata e spontanea che intuitivamente coglie in Dio il principio e lo scopo di tutto, sia della fede convinta e riflessiva che in Dio culmina passando attraverso una sistematica meditazione sulle cose del mondo e della vita. Apostola e maestra, altresì, dei “semplici” incolti come i pastori che vegliano davanti alla grotta in cui nasce Gesù o come molti suoi apostoli, e dei semplici “colti” come i magi orientali o come Nicodemo e Giuseppe di Arimatea o lo stesso san Paolo: Maria è apostola e maestra di tutte le forme sincere, intuitive o meditate di fede, quali che siano i particolari percorsi personali o comunitari per giungervi. Ha scritto JoseMaría Escrivá de Balaguer: «Come Madre, insegna; e, sempre come Madre, le sue lezioni non fanno rumore. Occorre avere nell’anima una base di finezza, un tocco di delicatezza, per comprendere ciò che Ella esprime, più che con le parole, con le opere» (Ivi, p. 492). Maria serbava piccole e grandi cose, meditandole nel suo cuore, annota Luca 2, 19: «Cerchiamo anche noi di imitarla, parlando con il Signore, in un dialogo innamorato, di tutto ciò che ci succede, anche degli avvenimenti più minuti. Non dimentichiamo di doverli soppesare, valutare, vedere con occhi di fede, per scoprire la Volontà di Dio. Se la nostra fede è debole, ricorriamo a Maria … La Madre nostra intercede continuamente presso suo Figlio», come a Cana, «perché ci ascolti e si manifesti anche a noi, cosicchè possiamo proclamare: “Tu sei il Figlio di Dio”» (Ivi, p. 493).

Ella fu maestra di speranza anche nelle situazioni più disperate, e fu maestra di carità anche quando venne a sapere che suo Figlio avrebbe dovuto dare nella forma più ingloriosa la propria vita per amore delle sue creature e ancora quando ricevette da lui, morente sulla croce, il compito divino ma in quel momento umanamente straziante, di fare da madre tanto ai suoi discepoli quanto a tutte le creature umane. Ma Gesù avrebbe assegnato un compito dolce ma altrettanto oneroso anche alla sua Chiesa e, più in generale, all’umanità: quello di amare Maria come propria madre, di rivolgersi a lei per qualunque, piccola o grande, necessità, di onorarla sempre e di frequentarla quotidianamente, «esprimendole il nostro affetto, meditando nel nostro cuore le scene della sua vita terrena, raccontandole le nostre lotte, i nostri successi e i nostri insuccessi», senza dimenticare che per lei «saremo sempre piccoli, perché la Madonna ci apre la strada del Regno dei Cieli, che sarà donato a chi si fa bambino», come si legge in Matteo 19, 14 (Ivi, p. 494).

Essere cristiani si può apprendendone i modi certamente da Cristo ma, in senso esclusivamente creaturale, dalla madre sua santissima, per il suo spirito di sottomissione e di servizio a Dio, di carità verso il prossimo, di umile nascondimento e di pubblica testimonianza religiosa. Osservava il celebre teologo svizzero Hans Urs von Balthasar che «senza la mariologia il cristianesimo minaccia di disumanizzarsi inavvertitamente. La Chiesa diventa funzionalistica, senz’anima, una fabbrica febbrile incapace di sosta, dispersa in rumorosi progetti. E poiché in questo mondo dominato da uomini si succedono in continuazione nuove ideologie che si soppiantano a vicenda, tutto diventa polemico, critico, aspro, piatto e infine noioso, mentre la gente si allontana in massa da una Chiesa di questo genere» (Ivi, p. 719). Sì, però il cristianesimo minaccia di disumanizzarsi non senza la mariologia, che potrebbe costituire una disciplina teologica specialistica non priva di errori, abusi ed esagerazioni esegetiche, ma piuttosto, e non è affatto la stessa cosa, senza la provvidenziale presenza di Maria vergine di Nazareth nel piano divino della salvezza.

C’è infatti una mariologia allusivamente portata ad interpretare proprio la verginità fisica e spirituale, la natura immacolata della Madre di Dio, in senso più teologico-simbolico che in senso storico-oggettivo, senza tuttavia spiegare Dio, al quale nulla è impossibile, dovrebbe dar luogo ai suoi prodigi solo su un piano teologico e simbolico e non proprio in una forma insuperabilmente realistica, integrale, oggettiva, allo stesso modo di come realistici, integrali, storici e oggettivi, sono l’incarnazione divina e la divina risurrezione da morte nella persona storica di nostro Signore Gesù Cristo. Certa mariologia, portata a reputarsi presuntivamente come più sapiente della fede comune e a fare sfoggio di razionalità teologica proprio là dove la razionalità dovrebbe tacere, nel senso wittgensteiniano del termine, per misurarsi nel silenzio dello stupore mistico sul tema della incommensurabilità del sapere e del potere assoluti e sconfinati di Dio, non comprende di arrecare alla causa della fede più danni che benefici.

Le creature erano costituite originariamente da anima e corpo e la conseguenza della loro ribellione a Dio sarebbe stata la corruzione della loro anima e del loro corpo. Per redimerle Dio onnipotente e riportarle alla loro originaria integrità, alla loro iniziale innocenza, avrebbe concepito e posto in essere un piano salvifico capace di liberare tanto l’anima che il corpo dalla corruzione e dalla morte. Tutto quello che sarebbe accaduto in funzione di questo straordinario progetto divino, l’incarnazione e la risurrezione divine, l’Immacolata Concezione e la perpetua verginità di Maria, la sua maternità divina e la sua Assunzione in Cielo, oltre che i numerosi e prodigiosi miracoli di Gesù in vita, possiede un oggettivo e incontrovertibile fondamento storico, da cui l’uomo di fede e l’uomo di ragione solo arbitrariamente hanno potuto, possono e potranno prescindere sino alla fine della storia umana.