Il regno di Dio come gioia e come sacrificio

Scritto da Anna Geronsi on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Il regno di Dio viene manifestandosi concretamente in occasione delle nozze di Cana come un regno di gioia, di grande felicità. La vera protagonista è Maria, che è l’unica ad accorgersi che gli sposi e con loro tutti i commensali sono rimasti senza vino, l’elemento senza cui la festa non può aver luogo. Una mensa senza vino è infatti una mensa senza allegria, senza calore, senza coinvolgimento affettivo e gli invitati danno per scontato che il vino ci sia e ci sia in grande abbondanza. Il regno di Dio è questo: un grande banchetto in cui si festeggia l’amore di Dio per i suoi commensali con vivande deliziose e fiumi di vino raffinato.

Però a questo banchetto che in cielo si ripropone continuamente non possono partecipare tutti indipendentemente dal fatto che abbiano o non abbiano i requisiti per parteciparvi. Vi partecipano solo coloro cui il Signore ha concesso la sua benedizione per aver essi ascoltato ed osservato praticamente la sua parola. In altri termini, cosí come ad un pranzo di nozze vengono invitati familiari, conoscenti ed amici, allo stesso modo verranno invitati al pranzo celeste solo coloro che si saranno resi degni della misericordia di Dio sino a diventarne familiari, conoscenti e amici. E chi sono costoro se non coloro che già ora si accostano correttamente alla mensa eucaristica? Ecco: non potrà eternamente gioire chi non si sarà messo nella condizione di partecipare in modo sempre più degno al banchetto eucaristico, che come è noto è un banchetto durante il quale non viene condiviso semplicemente l’amore di Dio ma anche il sacrificio di Dio per noi. Gesù dice: “questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi” e poi “questo è il mio sangue versato per molti in remissione dei peccati” con l’invito ben preciso a “fare questo in memoria di me”. Come dire: vi dò il mio corpo, cioè i miei pensieri, le mie intenzioni, il mio cuore, ma ricordatevi che questo corpo, questo pane celeste, io lo dò non per fare quello che mi pare ma ponendolo al servizio delle vostre necessità umane e spirituali, e questo sangue (significativamente simboleggiato dal vino), ovvero l’origine e la sostanza stessa della vita, ciò senza cui né pensieri né intenzioni né affetti potrebbero sussistere, sono venuto a versarlo solo in funzione della vostra salvezza. Se volete nutrirvi di questo pane-corpo e di questo vino-sangue prelibati per l’eternità, se volete che il vostro essere mortale si trasformi poco per volta in un essere immortale per mezzo del mio corpo e del mio sangue, ricordatevi di fare quello che sto facendo io, di offrire non solo ritualmente anche voi, sia pure in virtù del mio sacrificio, il vostro corpo in sacrificio per altri e di versare il vostro sangue, sia pure in virtù del mio sangue versato, per sopperire alle deficienze di tutti quei fratelli che potrete aiutare. 

Dunque, il regno di Dio a Cana viene preannunciato con una cena gioiosa, perché la festa è il suo tratto ontologico essenziale, ma viene reso accessibile a Gerusalemme con una cena mesta durante la quale ne viene definitivamente svelato il contenuto oblativo, perché l’accettazione consapevole e responsabile della sofferenza è il suo principale tratto esistenziale. Gesù, anche perché fiduciosamente pressato da Maria, è la nostra festa, ma questa festa richiede che anche noi ci sobbarchiamo le responsabilità di una vita personale da offrire più che da custodire gelosamente per se stessi, da perdere più che da salvare in questo mondo. E, nonostante Gesù sia morto su una croce per noi, Maria continuerà a ricordargli di riempire in modo illimitato del suo amore salvifico le caraffe sempre e di nuovo vuote della nostra esistenza.