La Chiesa e la condizione omosessuale

Scritto da Alberto Tentor on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Quando un individuo normodotato, privo di malformazioni e di alterazioni ormonali, e di disturbi psichici manifesti, si sente attratto non occasionalmente ma persistentemente ed esclusivamente da individui dello stesso sesso, si può dire che egli, al pari di chi invece presenti evidenti anomalie di natura bio-psichica, sia affetto da omosessualità. Questa definizione è probabilmente quella che aiuta ad inquadrare il problema nella sua dimensione più nascosta e nel suo significato più serio e degno di essere tenuto in considerazione in ordine alla posizione espressa dalla Chiesa sull’omosessualità. La Chiesa ritiene giustamente che, sia nel caso in cui un uomo si senta attratto dagli uomini, sia in cui una donna si senta attratto dalle donne, in maniera stabile o definitiva, ci si trovi in presenza di casi patologici e come tali da non confondere, in malafede o per semplice ignoranza, con casi di normalità. E ciò vale anche quando non si voglia parlare dell’omosessualità come di una malattia vera e propria ma come il sintomo di un grave stato di disagio o di disordine esistenziale. Tuttavia, la Chiesa non liquida il problema come irrilevante ma si preoccupa, soprattutto per quanto riguarda le forme più nascoste o meno appariscenti anche se non meno cruente di omosessualità, di esprimere osservazioni e valutazioni che possano consentire ad uomini di buona volontà di meglio capire la problematica e di adoperarsi efficacemente su un piano terapeutico e spirituale.

Bisogna premettere che la Chiesa non pensa affatto che, ove l’omosessuale sia “contento” della sua omosessualità esercitandola tranquillamente, non sia lecito parlare appunto della sua omosessualità come di un’anomalia o di un vizio più o meno grave della personalità. Che uno possa sentirsi gratificato da atti omosessuali non implica affatto una condizione di normalità, allo stesso modo di come non sono condizioni di normalità quelle del sadico o del masochista, del tossicodipendente o dell’alcolista, dell’esibizionista o dello stupratore. 

La Congregazione per la dottrina della fede si esprimeva nel 1986 in questi termini (Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, del 1° ottobre1986): la condizione omosessuale va compresa con molta attenzione e «la colpevolezza degli atti omosessuali deve essere giudicata con prudenza», perché una cosa è la condizione o tendenza omosessuale in generale, una cosa sono invece «gli atti omosessuali che in nessun caso possono essere approvati». Chi ha un’inclinazione omosessuale non è, già per questo, autore di un comportamento abnorme e riprovevole dal punto di vista morale; tuttavia la sua predisposizione lo rende molto vulnerabile ed occorre un notevole impegno personale per evitare che le pulsioni sessuali finiscano per produrre realmente effetti o situazioni che lo allontanerebbero decisamente da una accettabile seppur sofferta normalità di vita.

In questo senso, la Chiesa giudica riprovevole la condotta o pratica omosessuale e basa tale giudizio su un’interpretazione delle sacre scritture che non contraddice «la vivente Tradizione della Chiesa». La storia di Sodoma e Gomorra (Gn 19, 1-11), l’esclusione dal popolo eletto di coloro che hanno un comportamento omosessuale (Lv 18, 22 e 20, 13) sono per la Chiesa episodi su cui, per chi voglia vedere e capire onestamente, essa non può non fondare giudizi di riprovazione dell’omosessualità e di ogni altra pratica sessuale innaturale e disordinata. Inoltre, essa non può prescindere da san Paolo che pone «tra coloro che non entreranno nel regno di Dio anche chi agisce da omosessuale (cf 1 Cor 6, 9)» e che, «fondandosi sulle tradizioni morali dei suoi antenati, ma collocandosi nel nuovo contesto del confronto tra il cristianesimo e la società pagana dei suoi tempi, presenta il comportamento omosessuale come un esempio della cecità nella quale è caduta l’umanità» (Ivi). La disarmonia originaria creatasi tra Creatore e creature a seguito della primordiale rivolta idolatrica dell’uomo contro Dio avrebbe portato «a ogni sorta di eccessi nel campo morale» ivi comprese quelle relazioni omosessuali che sono per Paolo «l’esempio più chiaro» di tale disarmonia (Rm 1, 18-32), per cui, in linea con l’insegnamento biblico, Paolo non esita a collocare tra i peccatori quelli che «compiono atti omosessuali» (1 Tm 1, 10).  

Per la Chiesa «scegliere un’attività sessuale con una persona dello stesso sesso equivale ad annullare il ricco simbolismo e il significato, per non parlare dei fini, del disegno del Creatore a riguardo della realtà sessuale. L’attività omosessuale non esprime un’unione complementare, capace di trasmettere la vita, e pertanto contraddice la vocazione a un’esistenza vissuta in quella forma di auto-donazione che, secondo il Vangelo, è l’essenza stessa della vita cristiana. Ciò non significa che le persone omosessuali non siano spesso generose e non facciano dono di se stesse, ma quando si impegnano in un’attività omosessuale esse rafforzano al loro interno una inclinazione sessuale disordinata, per se stessa caratterizzata dall’autocompiacimento. Come accade per ogni altro disordine morale, l’attività omosessuale impedisce la propria realizzazione e felicità perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio. Quando respinge le dottrine erronee riguardanti l’omosessualità, la Chiesa non limita ma piuttosto difende la libertà e la dignità della persona, intese in modo realistico e autentico» (Ivi).

Alla pressione sempre più forte su essa esercitata, anche al suo interno, per indurla ad accettare come naturale la condizione omosessuale e a legittimare gli atti omosessuali, la Chiesa risponde che una siffatta richiesta, se reiterata, è chiaramente indicativa di «un’ideologia materialistica, che nega la natura trascendente della persona umana, così come la vocazione sovrannaturale di ogni individuo» (Ivi), donde la necessità per i ministri della Chiesa di vigilare con molta attenzione affinché non si diffondano tra i fedeli idee e convinzioni errate, fuorvianti e pericolose. Può anche darsi che una pressione cosí forte e insistente sia dovuta al fatto che si cerchi di tutelare la posizione di molti cattolici omosessuali, tra cui probabilmente non pochi presbiteri e vescovi della Chiesa, che non sanno rinunciare ai propri vizi e alla propria vita di peccato. Ma questo tentativo, posto spesso in essere non da persone sprovvedute ma da persone intellettualmente dotate, tra cui preti e teologi, è gravemente distorsivo della verità insegnata da Cristo, per il quale non c’è situazione umana che possa autorizzare o giustificare la trasgressione dei princípi divini e naturali dell’uomo e quindi una vita di peccato.

Lungi dunque dal voler “discriminare” gli omosessuali, che sono e restano figli della Chiesa come tutti gli altri suoi figli, la Chiesa si preoccupa di preservare la legislazione divina da indebite adulterazioni o falsificazioni, facendosi carico «sinceramente anche dei molti che non si sentono rappresentati dai movimenti pro-omosessuali, e di quelli che potrebbero essere tentati di credere alla loro ingannevole propaganda. Essa è consapevole che l’opinione, secondo la quale l’attività omosessuale sarebbe equivalente, o almeno altrettanto accettabile, quanto l’espressione sessuale dell’amore coniugale, ha un’incidenza diretta sulla concezione che la società ha della natura e dei diritti della famiglia, e li mette seriamente in pericolo» (Ivi).

Detto questo, la Chiesa tuttavia non può assumersi anche la responsabilità morale di quei comportamenti malevoli, sprezzanti e violenti che vengono spesso messi in atto verso gli omosessuali, giacché la dolorosa circostanza storica di una persecuzione antiomosessuale non dipende in alcun modo dal giudizio che la Chiesa è tenuta ad esprimere su questa come su altre materie cosí delicate. E’ un peccato perseguitare gli omosessuali, è un peccato altrettanto grave voler disconoscere, teoricamente o praticamente, la verità della condizione omosessuale e la peccaminosità degli atti omosessuali.  

Quello che proprio non sembrano in grado di capire i sostenitori dei cosiddetti “diritti omosessuali”, che sarebbero giustificati dal fatto che il comportamento omosessuale delle persone omosessuali sarebbe obbligato e quindi privo di colpa, è che «anche nelle persone con tendenza omosessuale dev’essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità. Come in ogni conversione dal male, grazie a questa libertà, lo sforzo umano, illuminato e sostenuto dalla grazia di Dio, potrà consentire ad esse di evitare l’attività omosessuale» (Ivi). E allora ecco la domanda centrale con relativa risposta: «Che cosa deve fare dunque una persona omosessuale, che cerca di seguire il Signore? Sostanzialmente, queste persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, unendo ogni sofferenza e difficoltà che possano sperimentare a motivo della loro condizione, al sacrificio della croce del Signore. Per il credente, la croce è un sacrificio fruttuoso, poiché da quella morte provengono la vita e la redenzione. Anche se ogni invito a portare la croce o a intendere in tal modo la sofferenza del cristiano sarà prevedibilmente deriso da qualcuno, si dovrebbe ricordare che questa è la via della salvezza per tutti coloro che sono seguaci di Cristo. In realtà questo non è altro che l’insegnamento rivolto dall’apostolo Paolo ai Galati, quando egli dice che lo Spirito produce nella vita del fedele: "amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé" e più oltre: "Non potete appartenere a Cristo senza crocifiggere la carne con le sue passioni e i suoi desideri" (Gal 5, 22.24). Tuttavia facilmente questo invito viene male interpretato, se è considerato solo come un inutile sforzo di autorinnegamento. La croce è sí un rinnegamento di sé, ma nell’abbandono alla volontà di quel Dio che dalla morte trae fuori la vita e abilita coloro, che pongono in lui la loro fiducia, a praticare la virtù invece del vizio» (Ivi).

Pertanto, l’attività pastorale di vescovi e presbiteri dovrà essere particolarmente attenta, premurosa e delicata nei confronti delle persone omosessuali ma «occorre chiarire bene che ogni allontanamento dall’insegnamento della Chiesa, o il silenzio su di esso, nella preoccupazione di offrire una cura pastorale, non è forma né di autentica attenzione né di valida pastorale. Solo ciò che è vero può ultimamente essere anche pastorale. Quando non si tiene presente la posizione della Chiesa si impedisce che uomini e donne omosessuali ricevano quella cura, di cui hanno bisogno e diritto» (Ivi).

Inoltre e principalmente la Chiesa fa bene a ricordare che essa si rifiuta di considerare un essere umano «puramente come un "eterosessuale" o un "omosessuale" e sottolinea che ognuno ha la stessa identità fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio, erede della vita eterna» (Ivi). Questa è la verità e bisogna che, anche in questo caso, la verità venga eseguita in spirito o con spirito di carità; cosí come, anche in questo caso, i cattolici dovranno esercitare il loro spirito di carità rimanendo rigorosamente fedeli alla verità. Questa era l’opportuna e ineccepibile conclusione del messaggio inviato ai vescovi in data 1° ottobre 1986 da Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.