Il punto di vista cattolico sull'omosessualità

Scritto da Alberto Tentor on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Il punto di vista cattolico su qualunque questione, ivi compresa quella dell’omosessualità, si può certo esprimere in molti modi diversi quanto a forma e ad argomentazioni che, di caso in caso, possono risultare più o meno efficaci, più o meno persuasivi. Ma, per quanto riguarda la sostanza, non dovrebbe esistere una pluralità di punti di vista cattolici, sebbene i cattolici non disdegnino purtroppo di essere spesso divisi anche su tematiche di primaria importanza. Una è la fede in Cristo, uno fondamentalmente può e dev’essere il punto di vista che, presupponendo l’acquisizione corretta del suo insegnamento, voglia valere universalmente in rapporto alle diverse problematiche della realtà. Cercherò dunque di esprimere sull’omosessualità il mio punto di vista di credente cattolico certo che esso coincida sostanzialmente con il punto di vista cattolico quale può emergere dai risultati più recenti delle scienze umane e naturalmente dal magistero della Chiesa che ha anche il compito di riflettere sui risultati delle scienze medesime per poi elaborarli ed interpretarli adeguatamente.

Scrive san Paolo: «Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sí da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo cosí in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento» (Rm 1, 24-27). Ecco: un cattolico non può che sottoscrivere queste parole di Paolo di Tarso.

Ma, dal punto di vista scientifico, come stanno le cose? Possono convergere con l’atto di fede? Alcuni biologi ritengono che il comportamento omosessuale non sia un comportamento anomalo, perché non sarebbe frutto di cattive abitudini liberamente scelte oppure subíte contro la propria volontà, ma una condizione biologico-cerebrale innata. Si tratta dunque di un’impostazione deterministica che però a tutt’oggi è priva di riscontri sperimentali significativi. Su un fronte antideterministico, uno dei massimi studiosi dell’omosessualità come lo psichiatra olandese Gerard J. M. van den Aardweg ritiene invece che, a certe giuste condizioni terapeutiche ed ambientali, la condizione omosessuale sia almeno in parte reversibile con effetti di soddisfazione psicologica nei soggetti curati e rieducati, e che, ove si tratti di pazienti omosessuali dotati di una convinta fede religiosa, sussistano maggiori possibilità di cambiamenti radicali in quanto il frequente accostarsi ai sacramenti, in particolare alla confessione, avrebbe un evidente effetto antinevrotico.   

Contro l’ipotesi deterministica della condizione omosessuale come condizione biologica innata e immodificabile, nonché normale, è stato svolto negli anni novanta uno studio molto importante e attendibile, non ancora invecchiato, da parte di J. Michael Bailey della North-Western University e di Richard C. Pillard della Boston University, uno studio da cui risulta in modo inequivocabile come alla genesi del comportamento omosessuale, nella stragrande maggioranza dei casi, non siano affatti estranei il libero arbitrio e le abitudini degli individui interessati. Le ricerche scientifiche non deterministe conducono a vedere come, il più delle volte, alla base di comportamenti omosessuali vi siano esperienze infantili e giovanili particolarmente negative: per esempio, la mancanza di stima del bambino o del ragazzo per il genitore del suo stesso sesso e la mancanza di stima e di amore di tale genitore per il figlio o la figlia, una giovinezza vissuta in termini di cattivo inserimento nella vita di gruppo dei giovani del medesimo sesso.

Esperienze di questo tipo spingono indubbiamente il soggetto a drammatizzare la situazione, a desiderare in modo esagerato o ossessivo l’affetto di quegli individui dello stesso sesso rispetto ai quali si sente sessualmente e umanamente inferiore ed emarginato o escluso. Ciò significa che l’educazione familiare può rivestire un ruolo decisivo anche per quanto concerne la prevenzione dei complessi omosessuali di inferiorità e che un’educazione finalizzata all’annullamento delle specificità maschili e femminili, nonché tipica di certa pedagogia socialista o pseudosocialista e di certo acceso femminismo, e la mancanza a casa di ruoli materni e paterni, possono danneggiare moltissimo la psiche infantile e provocare l’insorgenza e un’evoluzione peggiorativa dei complessi nevrotici omosessuali.

Che da tutto ciò possano derivare conseguenze molto serie e gravi sul piano morale e religioso, è abbastanza facile da capire, per cui appaiono fondati i giudizi di quanti si sforzano di spiegare come l’esercizio dell’omosessualità non può mai portare ad un pieno soddisfacimento di sé e al raggiungimento della cosiddetta felicità. Particolarmente significativo è il giudizio espresso da uno scienziato come E. Moberley:  «Gli atti omosessuali, come altre manovre difensive, possono portare un sollievo temporaneo alla persona; però, a lungo andare, non risolvono i suoi problemi più profondi, incluse le sue aspirazioni di trascendenza [...]. Gli atti omosessuali possono rappresentare una ricerca di qualche bene parziale; ma non corrispondono al bene integrale della persona». 

Anche nel caso dell’omosessualità, i credenti possono ben convenire con ciò che insegna la teologia: cioè che «il  peccato originale ha portato in noi la divisione: ognuno può apprezzare in se stesso l’esistenza di due tendenze. La tendenza a riconoscere e ad approvare la giustizia e la tendenza al piacere disordinato». Se il piacere è contrario a ciò che la retta ragione reputa giusto e, ancor più, se il piacere coincide con ciò che una sana fede religiosa reputa riprovevole, la persona non avrà alcuna possibilità di tendere all’equilibrio e ad una qualche felicità della propria vita, precipitando piuttosto nell’abisso del vizio e del peccato.

La Chiesa, lungi dal mostrarsi indulgente verso pubbliche apologie del vizio che imperversano nelle società occidentali, cerca di stare vicina alle persone omosessuali parlando loro con molto tatto ma con il linguaggio della verità e sollecitandole amorevolmente a vivere come gli altri cristiani la castità attraverso il sacramento della penitenza e la frequente comunione eucaristica con Cristo Signore. Le persone omosessuali, come ribadisce opportunamente il Catechismo della Chiesa cattolica, «attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana». 

I comportamenti degli esseri umani possono essere “devianti” ma, sia secondo ragione sia secondo fede, non può darsi comportamento più deviante di quello che consiste in una ostinata negazione della innaturalezza e della nocività psichica, morale e spirituale di tutte le devianze sessuali persistenti o permanenti ivi comprese quelle relative all’omosessualità, anche se la grazia di Dio penetra continuamente e salvificamente persino nelle situazioni umane e personali più disastrose e compromesse.