Presbiteri per servire in Cristo e non per dominare

Scritto da Aldo Bortoli on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Il 12 settembre scorso, nel conferire l’ordinazione a cinque nuovi vescovi, il papa si è rivolto a tutti e in modo particolare a preti e a vescovi per delineare ancora una volta l’identità spirituale del sacerdote. In realtà, spiega papa Benedetto, la Chiesa ordina e consacra i sacerdoti nel nome e per conto di Cristo, che essendo «l’unico Sommo Sacerdote che ha offerto l'unico sacrificio per tutti noi», concede loro «la partecipazione al suo Sacerdozio, affinché la sua Parola e la sua opera siano presenti in tutti i tempi» (Servi fedeli, prudenti e buoni, in “L’Osservatore Romano” del 13 settembre 2009).

Per colui che viene consacrato sacerdote bisogna chiedere che lo Spirito Santo si effonda copioso su di lui e lo accompagni sempre nel corso del suo ministero. Egli dovrà portare la buona novella di Cristo ai poveri del mondo, a tutti coloro che sono materialmente poveri e a coloro che poveri si sentono spiritualmente perché veramente bisognosi dell’amore di Cristo.

Egli non deve esercitare il sacerdozio assecondando tendenze psicologiche e gusti personali ma operando secondo lo spirito di Cristo e al modo di Melchisedek il cui sacerdozio consisteva nel portare tra gli uomini un regno universale e indefettibile di giustizia e di pace. Egli non può non tenere a mente le parole di Gesù secondo le quali un ministro di Cristo non deve essere servito ma deve servire, sforzandosi di essere credibile in questo senso attraverso il concreto e sofferto esempio della propria vita. Egli sa che non è già vicino a Dio in quanto sacerdote ma che sarà sempre vicino a Dio solo se egli sarà e farà di tutto per essere un sacerdote all’altezza del compito, un sacerdote degno di Cristo: non necessariamente un sacerdote perfetto, ma certo un sacerdote sinceramente desideroso di perfezione e di perfezione evangelica: «Il suo Sacerdozio», ha detto il papa, «non è dominio, ma servizio:  è questo il nuovo Sacerdozio di Gesù Cristo al modo di Melchisedek» (Ivi).

Quali sono le caratteristiche essenziali del presbitero? Il papa ne indica tre:  la prima è la fedeltà. Egli deve essere fedele a qualcosa che non è suo e non gli appartiene. Infatti, «la Chiesa non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio» (Ivi). Il servo dovrà rendere conto di come ha amministrato quel che gli è stato affidato: se ha amministrato con vero spirito di servizio oppure per esercitare un potere psicologico sugli altri e procurarsi semplici gratificazioni mondane come quelle che sono legate alla ricerca di prestigio e stima per se stessi. Egli non deve cercare di creare tra i fedeli rapporti di dipendenza dalla sua persona e dalla persona di coloro che gli sono più vicini, non deve aspettarsi l’immediata gratitudine degli altri anche per cose che è tenuto a fare per puro e semplice dovere ma deve agire sempre disinteressatamente solo allo scopo di ottemperare alla volontà del Signore. Non si deve indispettire quando viene contraddetto o criticato, specialmente se le critiche sono fondate, ragionevoli e giuste, ma essere riconoscente a chi in buona fede e in spirito di verità lo costringe a guardare dentro di sé e a fare i conti con se stesso.

Né si deve limitare al servizio liturgico, pure fondamentale e centrale nel suo ministero, ma deve sforzarsi di stare vicino a tutti i suoi parrocchiani e a tutti i fedeli senza discriminare nessuno ma valorizzando le qualità e i carismi di ciascuno e dando a ciascuno la possibilità di essere utile e cooperare alla crescita soprattutto qualitativa della comunità e della Chiesa di Cristo. Purtroppo, lamenta il papa, non solo nella società civile ma anche nella Chiesa «molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità, per il bene comune» (Ivi).

La seconda caratteristica indicata da papa Benedetto è la prudenza. Prudenza da non intendere come astuzia, ma come capacità della ragione di non lasciarsi «abbagliare da pregiudizi» e di andare sempre, sollecitati in modo pressante dalla chiara e severa parola di Cristo, al cuore delle cose, anche se ciò comporta il rischio dell’impopolarità e l’incomprensione della gente.

Infine, la terza caratteristica è la bontà. Dice testualmente il papa: «solo se la nostra vita si svolge nel dialogo con Lui, solo se il suo essere, le sue caratteristiche penetrano in noi e ci plasmano, possiamo diventare servi veramente buoni» (Ivi). Solo se il sacerdote non imbroglia se stesso nei modi più sottili ed astuti, nei modi più artificiosi e subdoli, e non si crea alibi puerili o inattendibili per i suoi sbagli o per la sua supponenza spirituale, può essere servo irreprensibile di Cristo e sperare di poter essere un giorno riconosciuto da lui anche come suo carissimo amico.

Quello che vale per il comune credente, a maggior ragione deve valere per il sacerdote: che la sua fede deve produrre effetti visibili, opere buone non necessariamente eclatanti ma concrete e riscontrabili. Il brano di san Giovanni Crisostomo, citato recentemente dal papa, può riferirsi alla condizione di entrambi:  «uno può anche avere una retta fede nel Padre e nel Figlio, cosí come nello Spirito Santo, ma se non ha una retta vita, la sua fede non gli servirà per la salvezza» (Benedetto XVI, Il Papa: senza opere pure, la fede non basta per salvarsi, in “Zenit”, 13 settembre 2009).