Presbiterato: una vexata quaestio

Scritto da Primo Didimo on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Non c’è niente da fare: questo papa, che pure ad inizio di pontificato aveva solennemente dichiarato che non avrebbe fatto valere le sue idee e i suoi convincimenti personali ma le giuste istanze provenienti dall’intera comunità ecclesiale, ha deciso di non prendere in considerazione la reiterata e motivata richiesta, che viene espressa in modo tambureggiante da una parte ormai consistente e significativa del popolo di Dio, di una revisione della legge ecclesiastica che riguarda il sacerdozio.

Fermo restando che il papa ha perfettamente ragione di manifestare la sua contrarietà alla possibilità che un uomo già ordinato sacerdote possa successivamente contrarre matrimonio con una donna e alla possibilità che i sacerdoti dispensati dall’esercizio del loro ministero possano successivamente essere riabilitati e richiamati al servizio ministeriale, giacché lo scegliere di stare solo con Cristo e vivere e servire solo per Lui non può che essere un atto irrevocabile e incompatibile con esigenze e ripensamenti postumi di altro genere, quello che proprio non si capisce né da un punto di vista teologico né da un punto di vista pastorale è la sua irriducibile avversione all’idea che la legge sul celibato ecclesiastico, che è notoriamente una legge umana e non divina, possa mutare anche in relazione alla possibilità che uomini anziani sposati con o senza figli possano accedere all’ordine sacerdotale al fine di ripristinare un’antichissima, accantonata ma mai rinnegata, prassi della Chiesa che oggi potrebbe avere anche la sua bella utilità.

 Nessuno disconosce la «diversità fondamentale fra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune» ed è condivisibile e auspicabile «evitare la secolarizzazione dei sacerdoti e la clericalizzazione dei laici» (I preti facciano i preti, i laici facciano i laici, in “L’Osservatore Romano”, 18 settembre 2009), ma non sembra né ragionevole né utile usare queste affermazioni di principio, come fa Benedetto XVI, semplicemente per dire che ognuno debba rimanere al suo posto e che «i preti devono fare i preti e i laici devono fare i laici», ma in sostanza, visto che i preti di politica e di altro ancora ne fanno lo stesso, soprattutto per ribadire caparbiamente che i laici non devono avanzare istanze che mirino a cambiare norme essenziali del diritto ecclesiastico, tra le quali principalmente quelle relative ai requisiti richiesti all’aspirante prete per poter essere ordinato sacerdote.

Benedetto XVI ancora una volta non chiarisce affatto per quale divieto evangelico un laico, ma diciamo più esplicitamente un laico già sposato con figli, non possa e non debba far presente a santa madre Chiesa che si sente chiamato da Dio al sacerdozio e che intende chiedere ad essa di ammetterlo allo stato presbiterale. Solo questo e non altro, il papa dovrebbe spiegare: se in un caso del genere si violi o non si violi minimamente un precetto divino. Qualche volta il papa, che su questo argomento sembra piuttosto incerto nell’usare la sua proverbiale puntigliosità esegetica, si limita a ricordare che Gesù era celibe. Ma Gesù, a parte il fatto che egli è anche Dio e rispetto a noi semplici uomini può aver avuto qualche ragione in più per non sposarsi, non sembra aver mai detto ai discepoli: chi di voi è già sposato non mi può seguire e non può fare apostolato, non può farsi presbitero e non può né annunciare il vangelo né amministrare i sacramenti. Al contrario, ha esortato a lasciare tutto per lui: casa, moglie, figli e via dicendo.

Francamente questa chiusura del papa non è facilmente comprensibile e non appare per niente giustificabile, anche se si possono capire i timori, le preoccupazioni di un pontefice che dovrebbe assumersi il grave onere di cambiare un’antica norma della Chiesa e di ribaltare la decisione presa diversi secoli prima per motivi del tutto contingenti da un papa suo predecessore. Anche perché questo papa è un vero e proprio cultore della verità e proprio la verità, quali che siano le sue remore psicologiche, dovrebbe indurlo ad un atteggiamento più aperto e coraggioso e quindi a riconoscere chiaro e tondo che: 1. i primi presbiteri cristiani, e per circa quattro secoli, erano tenuti non già al celibato ma all’astensione dai rapporti sessuali; 2. la Chiesa non ha trovato nel vangelo e in tutto il Nuovo Testamento un solo passo, un solo elemento che le consentisse di poter affermare in sede teologica la obbligatorietà del celibato per gli aspiranti preti; 3. al contrario, i testi paolini offrono molti e rigorosi appigli a chi chiede insistentemente che la via del sacerdozio sia aperta anche a chi è anziano con moglie e figli; 4. come è possibile ridurre allo stato laicale un prete ritenuto indegno, cosí dovrebbe potersi promuovere allo stato presbiterale un laico che, sposato o non sposato, abbia quegli essenziali requisiti spirituali e teologici che lo rendano degno aspirante prete agli occhi della Chiesa.

D’altra parte, il papa ha ragione di osservare che non è la carenza crescente di preti che può giustificare certe avances dei laici, ma ha ragione solo nel senso che il via libera non si potrebbe dare ai laici per un motivo del genere. Il via libera può concedersi soltanto perché la volontà di Dio non si oppone al ripristino di una delle più antiche tradizioni della Chiesa, ovvero quella per cui uomini felicemente sposati e puri di spirito e di corpo potessero essere iniziati al ministero presbiterale.

Dopodiché rimarremo sempre obbedienti a papa Benedetto, pur non potendo condividerne la posizione, da fratello a fratello, da semplice fedele a sommo pontefice, alla luce dei testi evangelici e neotestamentari e dell’antica prassi della Chiesa, su un punto cosí delicato e rilevante.