Il servo inutile

Scritto da Simonetta Fedele on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Chi ha fede in Dio si considera suo servo anche se confida nelle parole di Gesù secondo le quali egli ci tratterà da amici, e non da servi quali noi siamo nel migliore dei casi, se obbediremo ai suoi comandi. Essere servi significa non avanzare alcuna pretesa nei confronti del Signore: non vantarsi di nulla, non ritenersi utili o indispensabili, non presumere di poter meritare chissà cosa da Dio solo perché ci sforziamo di compiere il nostro dovere, di ottemperare alla sua volontà. Essere servi significa mettersi al servizio del prossimo e della causa del regno celeste senza presumere o pretendere niente che possa farci sentire più di quel che siamo: servi che gratuitamente cercano di dare amore in tutte le manifestazioni della loro vita cosí come gratuitamente sono amati dal loro Signore, il quale non ama i suoi figli per i loro ipotetici meriti ma li ama semplicemente o già perché figli, cioè per se stessi. Al confronto della giustizia e dell’amore di Dio, come possiamo sentirci, limitati e fallibili come siamo, in qualche modo capaci di compiere azioni buone e virtuose, se non per grazia di Dio stesso, e di meritare con le nostre sole forze l’amore di Dio? Noi siamo “servi inutili” (Lc 17,10), cioè privi di valore e di meriti oggettivi, anche se quel che facciamo dovesse, per volontà e grazia di Dio, tornare utile a qualcuno o a qualcosa.

Noi siamo “servi inutili” perché dobbiamo essere testimoni di Gesù senza vanità nascoste, senza inconfessata saccenteria, senza fanatismi, senza furbizie di sorta: se non ci sentiamo sinceramente inutili e sempre attenti peraltro a mettere in pratica i suoi insegnamenti, non possiamo ottenere l’aiuto e l’amore di Dio. Solo quel che ha fatto il Signore, per mezzo di suo Figlio, è utile: utile alla nostra salvezza. Tutto quel che noi di buono riusciamo a fare serve solo alla nostra personale salvezza, è utile solo a noi stessi che, pur operando il bene, continuiamo ad avvertire la nostra inutilità e a confidare interamente nella misericordia di Dio. Se noi saremo in parte strumenti di salvezza altrui, in realtà sarà stato Dio ad usarci paternamente come mezzi della sua misericordia salvifica, come servi appunto che agiscono secondo gli ordini ricevuti e confidano unicamente nell’amore divino.

E’ con questa consapevolezza non finta di essere unicamente suoi servi (sempre sobri, modesti, umili e leali) che dovremo allora opporci a tutti quei comportamenti superficiali o iniqui che portano disordine e discordia nella grande famiglia umana di Dio, nella sua Chiesa e nella comunità ecclesiale; è con questo spirito realmente e totalmente disinteressato di servizio che ognuno di noi, con i doni e i carismi ricevuti da Dio, potrà combattere sino alla fine dei suoi giorni terreni “la buona battaglia della fede” (Paolo, seconda lettera a Timoteo 4, 7).

Il cristiano deve fare quel che gli è stato comandato non per apparire, non per organizzare grandi cose o eventi spettacolari, non per ricoprire a tutti i costi cariche o ruoli importanti nella società come nella Chiesa, non per esercitare potere magari in forme molto sottili o subdole, non per sentirsi qualcosa o qualcuno, ma semplicemente per amore, per amore vissuto e praticato: assolvendo l’obbligo di offrire tutto quel di cui dispone con onestà e abnegazione, senza impazienza e senza superbia, senza ostentazione e senza personalismi di sorta, sempre fidando nell’aiuto e nella provvidenza di nostro Signore. Il che significa anche che in questo mondo ognuno deve servire come e quando Dio lo chiama a servire e non come o quando vorremmo noi o come altri vorrebbero che noi servissimo. Significa altresì che se anche in questo mondo ci venisse più o meno artatamente impedito di servire in ciò per cui noi ci sentiamo chiamati dall’alto a servire, non dovremmo né disperare né assumere atteggiamenti risentiti e violenti verso alcuno, ma confidare sempre e comunque nell’amore divino e continuare a servire quanto più umilmente possibile nei modi e nei limiti in cui oggettivamente ci sia possibile servire.

“Servi inutili”: ovvero noi siamo semplici servi, siamo appena servi, per cui, proprio come tali, non possiamo reclamare alcun particolare riconoscimento, alcun premio, e anzi dobbiamo confidare che il nostro “padrone”, che però è anche e soprattutto un padre giusto e misericordioso, continui a tenerci e ad usarci come suoi servi fedeli ai quali forse un giorno vorrà elargire in misura e forme sorprendenti tutto il suo amore paterno. “Servi inutili”, perché, quali che siano le nostre opere e i nostri stessi meriti umani, essi sono cosí infimi, cosí irrilevanti, cosí insignificanti in rapporto alle opere e all’amore di Dio, che altro non possiamo fare se non aver fiducia nelle parole di quel Dio che un giorno, sulla terra, si mise a servire i suoi discepoli lavando loro i piedi e sacrificandosi per tutti sino a morire sulla croce: “Bene, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25,21). 

Solo i servi che hanno coscienza di essere inutili, di non poter e saper fare abbastanza, di valere poco, di non essere sufficientemente utile agli altri, ai bisognosi, ai sofferenti, sono anche capaci di implorare sinceramente il loro padrone di non abbandonarli mai e di esprimere una genuina e non artefatta gratitudine a quello stesso Signore che sa riconoscere e non mancherà di riconoscere i suoi servi buoni e fedeli. Sono questi i servi che l’evangelista chiama “beati”: «Beati quei servi che il padrone, al suo ritorno, troverà svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (Lc 12, 37).

Perciò, come è stato ben detto molti anni or sono, «il sentirci inadeguati ci dà gioia e fiducia, non smarrimento; ci fa proclamare il primato di Dio. Siamo consapevoli del fatto che non sta a noi salvare il mondo e non dobbiamo caricarci tutto il peso del mondo sulle nostre spalle. Solo Dio salva e dà pace. Il sentirci servi inutili e inadeguati ci rende umili e insieme grati … Umili - e lo diciamo come cristiani - perchè siamo stati deboli e fragili, e sappiamo di essere stati ben poca cosa di fronte alle grandi esigenze di ogni epoca. Grati e riconoscenti perché, pur nella nostra debolezza, tante cose Dio ha fatto per le nostre mani e ha ispirato ai nostri cuori» (C. M. Martini, Alla fine del millennio: servi inutili, liberi, umili e grati. Discorso per la festa di S. Ambrogio. Milano, 5 dicembre 1997).