Chi sono oggi i mercanti del tempio
Ieri ho partecipato alla santa messa: il brano evangelico dell’omelia del celebrante era quello dei venditori cacciati dal tempio. Ma, francamente, ho avuto l’impressione che l’omelia tenuta dal celebrante con il contenuto e il significato del brano non avesse molto a che fare. Infatti, al ministro del culto, probabilmente mosso in quel momento solo da sue preoccupazioni psicologiche personali, ho sentito dire che il significato del racconto evangelico stava nel fatto che Gesù non gradisce che in chiesa ci vadano quelli che criticano gli altri, quelli che si sentono migliori degli altri, quelli che ostentano la propria fede e le proprie presunte virtù. E’ evidente che questi moniti in sé considerati sono giusti e possono essere certamente tratti da diversi brani evangelici, ma è altrettanto certo che non hanno alcuna diretta relazione con il brano in questione.
Questo sacerdote opera in una diocesi in cui purtroppo nel nome della Chiesa si è rubato, in cui sotto il paravento dei sacri abiti è stato possibile violare gravemente la libertà e la dignità di persone consacrate a Cristo, in cui oltre che con alcuni bravi e degni sacerdoti si ha a che fare anche ordinariamente con un certo numero di sacerdoti presuntuosi e per nulla coscienti dei propri limiti sia teologici sia soprattutto umani: ora, questo sacerdote, il cui atteggiamento non è sempre mite come forse lui stesso a torto ritiene, non ha trovato niente di meglio da fare, per spiegare il no di Gesù ai mercanti del tempio, che prendersela con i poveri parrocchiani che hanno sicuramente delle colpe e saranno pure incapaci di pregare adeguatamente il Signore ma che in questo caso specifico non dovevano certo costituire il bersaglio principale e anzi unico della sua omelia.
Perché? Perché il senso del brano evangelico sta altrove e, volendo attualizzarlo, si può e si deve senz’altro dire che la Chiesa di Cristo, che è il cuore spirituale del mondo, il luogo della presenza sacramentale di Dio, non può essere trasformata in un luogo di affari personali, di mercanteggiamento con Dio e con gli uomini, di scambio di favori. Essa deve rimanere cosí come l’ha concepita e l’ha voluta Gesù: lontana dalla ricchezza, dalle preoccupazioni mondane, da patteggiamenti servili e indecorosi, da calcoli personali e da meschine aspettative psicologiche. I sacerdoti devono esercitare in essa il loro ministero per servire e solo per servire il Signore e i fratelli, dicendo la verità e tutta la verità, non usando in modo parziale o distorto la parola di Dio, non servendosi strumentalmente del Vangelo per sfogare il proprio risentimento o disappunto con fedeli che magari non sono intimamente contenti di certi loro pastori, né usando la Chiesa per scopi ancora più perversi, cosí come i fedeli in chiesa devono andare per manifestare a Dio un amore non etereo ma concreto e appassionato che non si riesca a manifestare verso nessun altro se non per amore di Dio, e non per chiedere a Dio piaceri o favori particolari ritenendo che egli possa o debba ben concederli per via delle loro preghiere o di un’assidua partecipazione al sacramento eucaristico.
Le grazie possono essere chieste, ma non presumendo più o meno inconsciamente che la nostra presenza in chiesa e le nostre preghiere o le nostre offerte in denaro debbano indurre necessariamente il Signore a concedere grazie. C’è anche e soprattutto una qualità della preghiera, del chiedere perdono al Signore e ai fratelli da noi offesi, della partecipazione quotidiana al banchetto eucaristico, del nostro modo di condividere con la comunità il pane eucaristico, di mettere in pratica ogni giorno la volontà divina, e solo Dio un giorno svelerà qual è stato il grado qualitativo della fede e della vita di ognuno di noi. Inoltre, i fedeli si devono amare ed aiutare reciprocamente ma disinteressatamente, onestamente e nella verità della parola di Dio correttamente intesa ed interiorizzata. In chiesa il rapporto con Dio e con gli uomini non può essere mercanteggiato, non può essere oggetto di trattative, di compromessi o di pratiche ambigue e prive della necessaria nitidezza spirituale. Solo cosí la casa di Dio, per riprendere le parole di Gesù, potrà veramente essere una «casa di preghiera» e di amore gratuito.
Nella Chiesa di Cristo, non potrà rimanere chi abbia una mentalità mercantile, chi si aspetta di avere diritto alla luce eterna di Dio, all’eterna beatitudine solo perché si è fatto prete o si è consacrato a Dio o è molto impegnato in opere caritatevoli o in ricorrenti pratiche liturgiche ed ecclesiali. Con Dio non si mercanteggia: siamo tenuti a pregarlo, a compiere i nostri doveri, a fare il bene, a sacrificarci per il prossimo, senza mai pretendere che la nostra salvezza dipenda irreversibilmente da tutto questo. Ci vuole molto di più, ci vuole molto di meno: ci vuole un amore inesausto, un abbandonarsi completamente a Dio quale che sia il nostro destino terreno, un ricominciare sempre daccapo la nostra ricerca di verità e di umana fratellanza nel suo nome quale che sia il nostro status spirituale e la nostra collocazione gerarchica o la nostra funzione in seno alla Chiesa e alle nostre chiese locali o particolari.
Una volta ha scritto bene padre Lino Pedron in una sua omelia del 21 novembre 2003: «A differenza dei suoi sacerdoti, Dio non vende i suoi favori a chi cerca di conquistarselo con prestazioni religiose o addirittura con il denaro. Il peccato più grave contro di lui è quello di voler comperare il suo amore: è come trattarlo da prostituta. Egli è il Padre pieno di grazia e di misericordia. La salvezza è suo dono gratuito al quale rispondiamo con un amore filiale gratuito. Questo è il vero culto spirituale, gradito a Dio (cfr Rm 12,1). La cattiva immagine di Dio è l'origine di tutti i mali dell'uomo».
E anche un presbitero come Paolo Curtaz, in una sua omelia di pari data, ha giustamente osservato che tante volte le «nostre riserve mentali, i nostri piccoli mondi non si aprono al respiro poderoso dello Spirito», per cui Dio continuiamo a percepirlo come un Dio lontano che va convinto ad avvicinarsi a colpi di blandizie e di adulazioni e sulla base di false e malcelate aspettative che vorremmo soffocare e non riusciamo a soffocare nella nostra intimità. Ma «Gesù, con rabbia, si scaglia contro questa visione. Ma come, lui viene a rivelarci un Dio compassionevole, pieno di tenerezza e noi ancora» abbiamo la tendenza a raffigurarcelo come lontano o come accessibile solo a colpi di imbrogli spirituali e di moine religiose di nessuna efficacia? «Attenti amici, chiediamoci se alle volte non facciamo, in tutta incoscienza, lo stesso ragionamento, se non abbiamo lo stesso atteggiamento di chi mercanteggia un po’ con Dio. Non si acquista la sua benevolenza: ci è donata gratis. Non chiede prezzo colui che ci ama senza misura. Attenti a non avvicinarci a lui con il cuore stretto e piccolo di chi deve mercanteggiare: colui a cui ci rivolgiamo è un Padre, e Gesù» anche come uomo «sarà disposto a morire per affermare questa verità».